Ma gli sfottò a Paolo per il gol di Insigne non li posso sentire

Com’è possibile cancellare sette anni e mezzo così? Come si fa a deridere Cannavaro nonostante l’esempio di dignità con cui ha lasciato Napoli? L’avvelenata di un tifoso che non dimentica
  • di Alessio Capone

    Sono pronto a scommettere che se quella finta (che io ho potuto cogliere e apprezzare solo grazie a un replay e non in diretta) l’avesse fatta Higuaìn contro un Gastaldello o un Felipe, i giorni successivi avremmo letto di una grande finta di corpo a sbilanciare l’avversario: e invece siamo proprio stronzi. Così stronzi da andare a sminuire il grande gesto di Lorenzo per scaricare responsabilità che non esistono sul nostro ex Capitano, e dare libero sfogo al nostro essere stronzi. Perché Insigne è in grado di dribblare sia sulla destra che sulla sinistra e Cannavaro, ben più lento rispetto al suo ex-compagno e amico, ha fatto l’unica cosa che poteva fare: temporeggiare.

    Cannavaro, allo stato attuale delle cose, non era più all’altezza del progetto. Questo è palese e siamo tutti concordi. È andata come doveva andare, ma noi siamo proprio stronzi. Addirittura ci siamo sprecati in critiche nei confronti di chi lo ha ringraziato (sul web e nei vari blog), una volta appresa la notizia della sua partenza verso la Romagna. Ebbene, io sono uno di quelli che lo ha ringraziato scrivendo: “Semplicemente grazie, Capitano”.

    Sette anni e mezzo fa Paolo Cannavaro decise di scendere di categoria e di diminuirsi lo stipendio per giocare nella squadra della Sua città, nella Sua squadra del cuore. Lo fece accettando un contratto con miliardi di clausole bulgare, alcune delle quali il suo procuratore, stronzo anche lui, deve ancora capire; clausole che legavano il suo stipendio a un tot di presenze e a determinati livelli prestazionali. Clausole che non sono mai state riviste in meglio. Nonostante i sette anni e mezzo, nonostante la crescita, nonostante la sua palese e perduta monogamia. Ha sudato, lottato, pianto e gioito, per la Sua maglia. Era lui il nostro capitano, il giorno del sospirato ritorno in Serie A. Era lui il nostro capitano, il giorno in cui ci qualificammo per la prima volta nella moderna Champions League. Ed era sempre lui il nostro capitano, il giorno che vincemmo la Coppa Italia. Il primo e unico trofeo dell’era post Diego. Ma non mi voglio dilungare troppo, sarebbe inutile. Voglio dedicare al mio Capitano il giusto tributo, ma in poche parole; perché, come si dice a Napoli, “non basta un po’ di rum, per trasformare uno stronzo in babà” e, dunque, non basterebbero trattati per far diventare dei babà certi smemorati.

    Tempo fa scrissi che in qualsiasi rapporto (d’amore, di lavoro, di amicizia) non conta come ci si presenta, ma come ci si congeda. Tu ti sei congedato in un silenzio assordante. Con la dignità e l’eleganza che ti hanno sempre contraddistinto, hai capito e ti sei fatto da parte, soffrendo, immagino. Mentre tutti intorno a te (compreso il tuo procuratore) blateravano commenti e parole inutili, vomitavano opinioni, tu, hai continuato a indossare la Tua maglia dalla panchina, in silenzio. Con onore. E mentre in quelle concitate terribili ore si trattava la tua partenza, tu ti chiudevi sempre di più in un silenzio ammirevole, per il bene tuo e della Tua squadra. Ma che ci vuoi fare, Capitano? In questo mondo si dedicano più attenzioni a uno che piange e regala scarpette davanti a una telecamera e che sta per andare a prendere più soldi in un’altra squadra per sua scelta, piuttosto che a un uomo di cuore, affezionato e innamorato. Fa più chic. È più cool. Sei solo uno che è stato scartato e che è partito contro la sua volontà, tu. Scusami, ma avevo bisogno di far tacere quel silenzio assordante e ammirevole con il quale ti sei congedato. Ricordati che per ognuno di quelli che ti hanno esaltato mentre guidavi la difesa in quelle notti magiche da Champions, e poi ti hanno sputato, c’è qualcuno che ti sarà per sempre grato. Ricordati che rimarrai ancora per lungo tempo il mio Capitano.

    Grazie ancora, Paolo.

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