Dieci motivi per cui a Madrid ha perso solo Aurelio De Laurentiis

Il presidente dopo la partita al Bernabeu ha parlato troppo e male. E ora le conseguenze potrebbero essere devastanti
  • di Boris Sollazzo

    1. Maurizio Sarri è il cardine, la colonna su cui costruire un Napoli vincente. E se il nostro presidente non vuole entrare nella storia per le plusvalenze ma per le vittorie, non può non saperlo. Anzi, se vuole anche solo le prime, Maurizio Sarri è la sua priorità. Si lamenta di Pavoletti e dei soldi spesi inutilmente? Bene. Diawara, Mertens, Koulibaly, Zielinski, Hjsay, Ghoulam sono costati in tutto 45 milioni di euro, forse 50. Ora, rivendendoli, ne faresti almeno 250, grazie alla crescita avuta sotto la sua guida. Senza contare che prima di Sarri Gonzalo Higuain non riusciva a venderlo alla metà di quella clausola pagata sull’unghia dopo appena un anno con il mister toscano.
    2. Maurizio Sarri è il Napoli in questo momento. Ne incarna lo spirito, proletario e ribelle; la voglia di rivalsa e la capacità di sognare; la capacità di andare, con fantasia e una nuova concezione del lavoro, oltre i propri limiti. Perderlo - e denigrandolo e delegittimandolo nella notte più importante della sua carriera la più logica conseguenza è il suo addio - vuol dire tradire, dopo Benitez (che pretendeva di trattarci come una capitale), tutto ciò che rappresenta questo Napoli in questo momento storico. In una città che prova a rinascere.
    3. Maurizio Sarri è l’allenatore perfetto per il progetto De Laurentiis. Non pretende campioni, si “eccita” ad allenare i giovani. Mentre De Laurentiis prometteva per anni una scugnizzeria mai realizzata, mentre rimproverava Mazzarri perché non faceva giocare neanche un ventenne Insigne, l’allenatore dello scudetto sfiorato un anno fa si è presentato nel tempio del calcio con Diawara, 19 anni e migliore in campo, e mezza squadra nata dopo il 1990. Attaccarlo, per di più per non aver messo un 28enne, non è solo un tradimento al miglior allenatore della sua storia da presidente del Napoli e alla squadra. E’ un tradimento a se stesso.
    4. Maurizio Sarri in questo momento ha tutti dalla sua parte: i tifosi, mai così d’accordo, e i giocatori. Pepe Reina - e persino la moglie del portiere - ha mostrato denti e artigli per difendere il suo condottiero. Lo fece dopo Sassuolo-Napoli 2-1 e Napoli-Samp 2-2 - l’inizio choc del coach con gli azzurri -, figuriamoci dopo un tempo passato a far paura al Real. E il suo “non perdiamo da ottobre e il presidente non ha mai parlato, ora perdiamo e parla” è la vergogna più grande per ADL. Perché viene da un uomo d’esperienza internazionale, un leader dello spogliatoio e un innamorato di Napoli, che ha in scadenza il contratto nel 2018 e vuole rinnovarlo. Ma che non ha paura di ritorsioni e fa la scelta di campo meno conveniente ma più giusta. E mostra tutta la sua insoddisfazione per chi toglie di mano la Supercoppa ad Hamsik ma non si butta mai sulle spalle i fallimenti.
    5. Ad Aurelio De Laurentiis sembra essere bastato qualche giro in elicottero durante il ritiro e qualche esternazione pittoresca per sentirsi Berlusconi e simularne l’incontinenza verbale. E dire che il patron rossonero a Montella telefona in privato e che di Suso dietro le due punte, unico appunto pubblico al mister napoletano, parla davanti a tutti dopo varie vittorie. E in ogni caso se vuoi essere Silvio Berlusconi, devi vincere quanto lui, non solo scimmiottarne le parole e le ingerenze tecniche e tattiche (che poi di calcio il rossonero se ne intende, va detto). Ah, Aurelio: Silvio ha difeso Sacchi per 4 anni e l’ha lasciato solamente per farlo andare in nazionale. Quando Van Basten ne chiese la testa gli rispose che piuttosto avrebbe ceduto proprio lui. E il buon Sacchi ebbe da Sua Emittenza ogni ben di dio in campagna acquisti. Così, per dire.
    6. Nicola Lombardo, capacissimo capo della comunicazione, ha fatto di tutto per smentire le parole del suo principale. Per dimostrare, contro l’evidenza, che avevano tutti capito male.
      Ha provato a spiegare il senso di un monologo che probabilmente anche lui stentava a capire. Anzi, a credere. Ecco, se un tuo dipendente, che sa di comunicazione come pochi altri in Italia, ti rinnega più volte prima della fine delle conferenze stampa (non per slealtà, ma per proteggerti), qualche domanda devi fartela.
    7. C’erano tutti in quell’aereo. Registi, attori, politici, campioni del passato, i nostri eroi del presente. Ma non c’erano dirigenti. Andare a pranzo con Florentino Perez, non vuol dire che sai mangiare alla sua tavola. Serve una classe dirigente che vada oltre la gestione familiare attuale (visto che il migliore, Luigi, si occupa solo di cinema), serve chi ci metta la faccia con competenza e sobrietà quando le cose vanno male. Accentrare prima, forse, era una necessità, ora rende solo ipertrofico un ego che comincia a fare danni importanti.
      Non pretendiamo Valdano, sia chiaro, ma che so, per lo meno un Ausilio. L’organigramma della dirigenza partenopea è povera per quantità e qualità. A fare il padre padrone, anche negli anni ’80 dopo anni buoni si finiva in disgrazia. Figuriamoci ora.
    8. Mercoledì 15 febbraio non abbiamo perso per colpa di Maurizio Sarri. No. Siamo passati in vantaggio per merito suo: si riveda, presidente, la lezione di calcio, tecnica e genio che diamo sul primo gol, con una trama di passaggi e geometrie, con pennellata raffinata del Magnifico a chiudere il capolavoro. Poi abbiamo perso perché tecnicamente e individualmente tra noi e loro passava la differenza che c’è tra i campioni dell’NBA e quelli dell’A1 di basket italiana. Uniti dalla forma del campo di gioco, dalla palla e da qualche regola. Ma giocano due sport diversi. Con quell’”umiltà” che chiedeva a Sarri (definito da lui, a Madrid, presuntuoso, ma solo a dicembre umile, un maestro e pochi giorni fa uno scienziato), il presidente dovrebbe capire che se si è perso è perché Ghoulam e Koulibaly, non sono Marcelo e Varane, e perché Callejon, Mertens e Insigne non sono Benzema, Cristiano Ronaldo e Bale o Jaime Rodriguez. Perché Zielinski non è (ancora) Modric. E perché manca un Sergio Ramos forse non più stellare, ma ancora cazzutissimo: Rafa Benitez chiedeva Mascherano per questo, per dire. Insomma, se un colpevole c’è - ma nessuno pretende dalle limitate finanze di De Laurentiis un tale sforzo - è la società che non ha costruito una rosa di campioni, ma “solo” di splendide promesse. Non mancava il gioco a Madrid: mancavano centimetri, chili, piedi, esperienza. 
    9. Un uomo della sua intelligenza e della sua arguzia avrebbe dovuto notare una delle cose che avrebbero dovuto renderci orgogliosi e davanti ai microfoni delle tv avrebbe dovuto dire questo: “Zidane ci ha studiato e neutralizzato, cambiando il suo gioco. Abbiamo costretto il Real a modificare le sue abitudini e questo è solo merito del nostro mister. E siamo stati in partita per più di un tempo. Bravi tutti, ora a Napoli dimostriamo di poter dare ancora di più. Magari con qualche colpo a sorpresa, usando uno dei nostri campioni ancora poco utilizzati”. 
    10. Siamo una grande squadra. Ma un presidente che dopo tre giorni di Maradona, Perez, premi Oscar, si entusiasma così da dire qualcosa che potrebbe rompere un giocattolo perfetto e destinato a vincere presto, è un piccolo presidente incapace di gestire l’alta quota. Se lo fa per delegittimare il prossimo partente - come già fatto con Lavezzi e Cavani - o l’appena partito - come Quagliarella, Mazzarri, Benitez e Higuain -, sappia che i tifosi non la bevono più. Che le coincidenze a un certo punto diventano prove. A carico. E chi usa queste strategie non è un grande presidente.  Neanche quando ha ragione.
      Nessuno pretende un Napoli Real. Ma glielo dico da tifoso grato per questi 12 anni, da giornalista che ha sempre ammirato i suoi risultati e le sue capacità manageriali, da opinionista che l’ha spesso difesa, credendoci, nonostante farlo fosse impopolare. Non vogliamo una squadra Galactica, vorremmo che lei fosse almeno coerente con le sue promesse, con le sue intenzioni. E Sarri, gliel’assicuriamo è l’unico modo per esserlo. Forse l’ultimo.
      Gli chieda scusa, riconosca di aver sbagliato come solo i grandi uomini fanno. E si tenga stretto quell’uomo che ci farà vincere. Presto e spesso. Se lei non rovinerà tutto: ora ci aspetta una partita al San Paolo contro il Real Madrid e ancora una piccola speranza di qualificarci. C’è una semifinale di Coppa Italia da giocare, un campionato aperto e un posto Champions da non farsi sfuggire. Ma continuando così non arriverà nulla e nel giro di poco non varremo la Lazio di Lotito. E proprio lei ci ha insegnato che possiamo e dobbiamo puntare più in alto.

     

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