«Con Benitez non vinceremo mai». Dialogo sul tecnico del Napoli

Troppo offensivista: a partire da quest’assunto due bloggers mettono a confronto i loro giudizi su Rafa. Uno dice che abbiamo bisogno di lui per credere in noi stessi. L’altro teme che così non andremo lontano
  • di Dario Bevilacqua e Errico Novi

    D. B. – Nell’articolo di Francesco Bruno si fa un elogio di Benitez, sottolineandone le molte qualità e criticando lo spirito autolesionista dei tifosi napoletani.

    Pur apprezzando il pezzo, dissento su alcune cose.

    Trovo giuste le critiche ai critici – è giusto essere onesti e severi, anche con se stessi, ma all’autolesionismo c’è un limite – ed è vero che avere RafaBenitez è un’occasione di sprovincializzazione. Tuttavia, in mezzo a tanti pregi, ha almeno 3 difetti che pesano ancora come macigni.

    1) La sua mentalità vincente e non sparagnina è poco adatta al calcio italiano. Potremmo dire, con una battuta, che è il calcio italiano a non essere abituato a lui, piuttosto che il contrario, ma il problema rimane: si può cambiare la mentalità italiana allenando una squadra che non sia Milan, Juve e Inter? A me pare di no. La storia dice di no.

    I fallimenti di Zeman ce li ricordiamo tutti. E solo Sacchi è riuscito a fare qualcosa di nuovo. Ma sappiamo tutti che ci è riuscito con una squadra formidabile e una società pesante. Inoltre, con quella corazzata, ha vinto solo uno scudetto.

    Quindi, in Italia, con il Benitez attuale, non si vincono scudetti. Chiaro e tondo.

    Unica eccezione possibile: uno stadio di proprietà. E una rosa della madonna. E tante coincidenze perfette. Le condizioni cominciano a essere tante e non tutte a portata di mano.

    2) La scarsa cattiveria. Anche questa è un retaggio del cosmopolitismo di Benitez. In Spagna e in Inghilterra, quando giochi contro le piccole, spadroneggi. Quindi prendi le partite con relax, tiri il fiato, gestisci e qualche volta maramaldeggi. In Italia questo non si può fare.

    Se Rafa è intelligente – come è – lo deve capire e preparare la partita col Sassuolo come preparerebbe quella con la Juve. E anche qui, se non vinci contro le piccole, in Italia, lo scudetto non lo vinci.

    3) Infine, il modulo. Ora mi direte che lui cambia modulo anche durante la partita. Sì, ma io per curiosità lo vorrei vedere un centrocampo con Inler, Jorginho e Behrami e poi davanti Hamsik dietro le punte. Così, per fare un esempio. Magari contro la Juve che a centrocampo ha sempre il sopravvento. La duttilità è un’altra chiave per vincere le partite e per sorprendere avversari che – dovunque in Italia – sono maestri di tattica.

    Detto ciò, per carità, mica lo deve vincere per forza il Napoli lo scudetto. E il campionato di quest’anno è positivo, però, a pensarci, basterebbe poco, se pensiamo a società, patrimonio tecnico, tifoseria e rivali non eccelse, a parte una.

    E. N. – Rispondo con un paradosso: sono d’accordo e proprio per questo sono ultra-rafaelita. Voglio dire che sono d’accordo sul fatto che con il gioco di Benitez non vinceremo mai lo scudetto. Sento già il coro: ma allora che vuoi? Ecco, voglio che Rafa cambi la testa di noi napoletani. Voglio che lui porti qui da noi un trauma, sì, un trauma che in quanto tale comporta i suoi fastidi e le sue crisi di rigetto. Non chiedo altro che un allenatore come lui: uno che ci dice, con le parole e con i moduli tattici, siete forti, siete molto più forti di quello che credete. Perché? Perché la totale disillusione di poter combinare qualcosa di buono, come comunità, è il guaio di noi napoletani. Siamo così perché abbiamo sviluppato il senso del fatalismo come nessun altro popolo al mondo. Abbiamo la scena più incantevole che si possa desiderare, ce l’abbiamo davanti agli occhi tutte le mattine che ci svegliamo e ci affacciamo sul mare. Ma abbiamo anche una Natura spesso matrigna alle spalle che punisce e distrugge tutto, in un attimo. E così abbiamo sviluppato una visione del mondo tutta nostra, fatta di bellezza da cogliere furtivamente, senza porsi il problema del domani che forse non vedremo. Perciò non programmiamo nulla. E perciò diffidiamo di qualunque tentativo di costruire qualcosa di buono e di duraturo. E quindi diffidiamo di noi stessi, del nostro lavoro, della possibilità di cogliere il successo.

    Lui Rafa viene, ci prende, e come se niente fosse ci dice: voi siete i più forti. Voi, cioè noi, se siamo in giornata possiamo battere pure il Chelsea, il Barcellona, il Paris-Saint Germain. Un trauma. Da cui nasce un disperato rifiuto. Che a volte assume le fattezze delle maschere grottesche di certi commentatori, come dice Francesco Bruno.

    Che voglio dunque? Che Rafa ci faccia crescere. Abituarci, almeno un po’, a credere nel lavoro, e quindi in noi stessi. Poi non vincerà lo scudetto, ma preparerà il terreno per chi verrà dopo di lui.

    2) Ma perché, non si potrebbe vincere subito, cioè prendere subito un altro allenatore, possibilmente pragmatico e cazzimmoso, come dici tu, Dario, e saltare il passaggio? Non potremmo andarci a prendere direttamente il tricolore senza passare prima per il trauma? E no. Perderebbe anche uno pragmatico, ora. Voi direte che no, non è così, e forse lo diresti anche tu, Dario. Ma pensate questo solo perché una volta, almeno una volta, abbiamo vinto sul serio. Ma vedete, c’era Lui. E quindi non vale, non conta. Con Lui abbiamo vinto solo perché lo abbiamo preso, giustamente, come il Messia. E questo è l’unico caso in cui possiamo vincere: quando interviene la Provvidenza a salvarci. Non crediamo in noi stessi, ma umilmente ci rimettiamo al Cielo perché ci salvi dalle fiamme. Solo allora non siamo così restii a credere in noi da distruggere ciò che è bello, ma solo perché è Qualcun Altro a provvedere. E poiché Diego, cioè il Messia, non tornerà (concordo anche in questo con Bruno), non vinceremmo neppure con un allenatore pragmatico: faremmo a pezzi anche lui.

    3) Il modulo. Sì, il modulo scellerato di Benitez. Vedete, lui non l’ha fatto apposta. Giocava con il 4-2-3-1 pure prima. Ma poiché come dici tu, Dario, è intelligente, ha capito chi siamo. E ha pensato che proprio quel modulo sfrontato e offensivo servisse, come parte integrante della terapia. Non lo cambierà. Almeno quest’anno non lo cambierà. Poi forse l’anno prossimo, se vedrà che siamo migliorati almeno un po’, arretrerà Hamsik sulla linea di Jorginho e (speriamo) Mascherano. Ma solo se faremo progressi. (Postilla: Giulio Spadetta pensava di essere un estremista del paradosso, con quella battuta sull’Europa League da lasciar perdere. Come vedi, caro Giulio, qua sfidiamo le colonne d’Ercole, in fatto di paradossi…).

    Condividi questo post