Riccardo Bigon: il campione sottovalutato a gennaio si gioca il suo scudetto

Il ds più maltrattato e criticato, è l'unico che quest'anno non ha sbagliato nulla. E a gennaio ha la possibilità del salto di qualità: con 30 o forse persino 50 milioni di euro
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    di Boris Sollazzo

    Siamo un popolo di allenatori, presidenti e soprattutto direttori sportivi. Chiedete nell'ambiente del calcio di Riccardo Bigon: sentirete parole come "genio", "grande", espressioni come "uno dei migliori". Ma a Napoli i tifosi lo considerano poco più di uno yesman. Sentono la nostalgia di Pierpaolo Marino che, in fondo, a esser sinceri, ha azzeccato una sola sessione di calciomercato: estate 2007, arrivano Marek Hamsik ed Ezequiel Lavezzi. E se vogliamo essere generosi, pure Gargano. L'anno dopo è la volta di Maggio, due anni dopo di Hugo Campagnaro, pagati però a caro prezzo in uno dei giardini preferiti del grande ds avellinese, la Sampdoria.

    Il grande Napoli, quello delle Champions, è nipote di Marino, insomma, ma figlio di Bigon jr e De Laurentiis. Ma tutti accusano Riccardo di essere freddo (ma basterebbe ricordare un paio di sue espulsioni), con poco carattere (come potrebbe, tenendo testa da 4 anni a uno come Aurelio?) e di non essere mai stato determinante. Ma la verità è che il ragazzo è un campione. Sottovalutatissimo, ma lo è. Ad esempio, ricordate chi aveva puntato tutto su Vidal? Già, proprio lui, che trovò anche l'accordo economico con il Bayer: il presidente, in ossequio al fair play finanziario, non soddisfò le esose richieste del cileno e arrivò la Juventus. E chi, peraltro, ottenne Criscito a una valutazione persino bassa rispetto alle solite di Preziosi? Sempre lui. E non fu certo per colpa sua se l'affare sfumò.

    Ok, direte: è l'uomo delle grandi intuizioni evaporate. Non è vero, il meglio degli azzurri degli ultimi anni è opera sua anche se obbedendo al suo understatement e a una filosofia professionale che lo porta a essere collaboratore necessario e strettissimo di presidente e allenatore e non protagonista solista, di volta in volta il merito dei colpacci di calciomercato sono stati dati ad altri. Normalmente era l'allenatore a prendersi il grosso delle gratificazioni delle campagne acquisti, lasciando l'asso al presidente che con abilità comunicativa senza pari alzava il telefono e chiudeva tutto (vedi il modello Cavani). Due ego notevoli, che lui sapeva mettere allo stesso tavolo. Se abbiamo "evitato" Gasperini e abbiamo raggiunto Coppa Italia e seconda qualificazione in Champions lo si deve alla paziente azione di cucitura di rapporti di questo dirigente. E lo stesso vale per l'affaire Hamsik-Milan, sgonfiato proprio da lui.

    Sue sono le ultime quattro campagne acquisti. Fatte di molte soddisfazioni e qualche bidone. Ma, per dire, Santana, Donandel, Uvini, Sosa e Dumitru sono costati, tutti insieme, meno di Rinaudo, una delle zavorre che il ds si è trovato a dover smaltire in ogni calciomercato. E Fideleff, Chavez (un regalo di Mazzoni, più che altro) e Rosati solo un milione di euro in più rispetto a Erwin Hoffer. Laddove, insomma, l'attuale direttore sportivo dell'Atalanta spendeva molto per i brocchi, almeno il nostro si limita. E quando uno dei suoi affari, quasi sempre a buon mercato, non va bene, lui rivende quasi al prezzo dell'acquisto: Sosa al Metalist è andato via per 200.000 euro in meno di quanto fu pagato al Bayern Monaco, Ruiz al Valencia per la stessa cifra a cui era stato acquistato dall'Espanyol (riuscendo anche a mettere a bilancio la cessione della metà di Datolo, ultimo regalo del collega).

    E non parliamo di Vargas, Fernandez e Britos. Il primo in Brasile fa sfracelli e in Russia vorrebbero pagarlo quasi a quanto l'abbiamo comprato, il secondo è un nazionale argentino che di sicuro vale più dei tre milioni scarsi che l'abbiam pagato, il terzo sarà anche costato la folle cifra di 10 milioni di euro (dietro grande insistenza di Mazzarri, come d'altronde per Inler la cui trattativa fiume sfibrò il ds), ma alla fine quando non è in infermeria finisce praticamente sempre nell'undici titolare. Vero è che noi sugli spalti ce ne stupiamo sempre, ma sia Walter che Rafa non riescono a farne a meno. Anzi, in queste settimane ci è persino mancato.

    Al suo attivo Bigon ha quel Cavani pagato a comodissime rate, un Pandev in due soluzioni, Dzemaili, Inler e Behrami (che se non fossero così soli sarebbero ottimi elementi: anzi, il terzo è un top player), El Kaddouri (che dopo un anno di transizione a Napoli, in prestito al Torino è titolare fisso e con Cerci e D'Ambrosio è il migliore dei granata) e infine la gestione zemaniana di Insigne, tornato al momento giusto. E, siamo, onesti: i 100 milioni di euro delle clausole interamente pagate dal PSG per Lavezzi e Cavani in due anni, saranno anche merito suo. Tutto ciò gli è valso un contratto rinnovato con penale decisamente alta, perché Aurelio uno così sa che non lo ritrova facilmente. E la corte del Milan in queste ultime settimane lo conferma.

    Il suo capolavoro, però, l'ha fatto quest'anno. Di fronte a una rifondazione totale - tecnica, tattica e persino filosofica - non ha avuto paura, ha buttato cuore e professionalità oltre l'ostacolo e lui, che veniva dalla Reggina e finora trattava al massimo con Palermo, Parma, Sampdoria, Fiorentina e Bologna, si è messo al tavolo con il Real Madrid, dove ha speso quasi tutti i soldi presi dalla clausola di Cavani pagata dal Psg (37 per Higuain, 10 ciascuno per Callejòn e Raul Albiol, più bonus eventuali). Ora c'è da giurarci, ci farebbe almeno una ventina di milioni in più a rivenderli, se non trenta. E, attenzione, mentre i soldi dai francesi li ha presi tutti e subito, ai galacticos li darà un po' per volta.
    Poi il piccolo folletto Mertens l'ha preso al Psv, sempre per 10 milioni. A giudicarlo ora, un affare, anche se tutti sparavano su Benitez e Bigon che l'avevano voluto, a inizio stagione. E ancora Zapata, l'unico bidone che ancora sospettiamo che sia tale, ha comunque regalato con un eurogol il fondamentale successo a Marsiglia. Reina, in prestito e con parte dell'ingaggio pagato, è stato un capolavoro se si pensa allo scherzo fatto da Julio Cesar, che ora è fuori rosa al QPR e rischia di non fare i mondiali (ma noi eravamo subito pronti a criticare Bigon e DeLa per esserselo fatto scappare). Di Rafael, infine, si dice un gran bene: tanto da far "scappare" uno come Morgan De Sanctis. Insomma, il ds quest'estate non ha sbagliato nulla (e che gusto se dovesse riuscirgli anche il colpo Reveillere), se è vero che il tecnico spagnolo si è dichiarato pienamente soddisfatto del suo operato, tanto da dire che a Napoli "hanno rispettato le promesse, all'Inter no". Ma al San Paolo tutti a dire che è merito di Quillon, il manager amico di Benitez, che c'è il clan dei colombiani e quello degli spagnoli. E che lui il campione non lo scova mai: già, ha il difetto di ascoltare il suo allenatore, non di imporgli schemi di gioco e calciatori, guarda un po'. E comunque i Lasicki e i Novothny, su cui ha puntato, stanno crescendo bene.

    Ora, però, Bigon jr deve fare il definitivo salto di qualità: Aurelio De Laurentiis ha allargato i cordoni della borsa. Non paga più salari risicati, ha persino fatto qualche eccezione calcolata sulla giustissima pretesa dei diritti d'immagine. E i soldi per i cartellini ci sono. Se a gennaio arriveranno i campioni, da Mascherano alla coppia Agger-Skrtel, passando per Gonalons, allora nessuno potrà neanche più fiatare, se non per elogiarlo.

    Chi scrive è convinto che, insieme a Pradé, il buon Riccardo sia il migliore ds della serie A. E non vede l'ora che lo dimostri un'altra volta.

     

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