Una barca senza capitano

Marek Hamsik non esce dal tunnel della crisi personale e l’intera squadra ne risente
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    di Antonio Moschella

    C’è una maledizione che perseguita il Napoli in questa stagione e riguarda che indossa la fascia di capitano. Dopo l’esclusione di Paolo Cannavaro era stato Marek Hamsik ad essere insignito con i galloni di massimo responsabile la squadra. Un inizio folgorante, poi la lenta e strutturale flessione fino all’infortunio. Anche Cristian Maggio, capitano ad interim, è stato autore di prove sfortunate e bersaglio facile di critiche varie. Ora però, che lo slovacco ha recuperato dalla lesione, la fascia è tornata sul suo braccio.
    Ed è proprio questa responsabilità che pesa moltissimo su Marekiaro. Lo slovacco, oltre a non trovare né i tempi giusti né le giocate adatte, è la brutta copia di sé stesso e sembra tremare di fronte alla possibilità di dover trascinare da solo la squadra. Ieri sera, Reveillere a parte, è stato probabilmente il peggiore tra i suoi nella rocambolesca sfida con la Roma e il fatto che Mertens, entrato al posto suo, abbia sparigliato le carte in campo ed acceso il Napoli, fa pensare. Hamsik non è più un intoccabile. In campo è timido e le giocate propositive scarseggiano, così come le iniziative, personali o corali che siano. Il riassunto del suo match all’Olimpico è stato l’ennesimo alleggerimento all’indietro quando si trovava nella trequarti avversaria, che per poco non scatena un contropiede letale da parte dei giallorossi.
    La sua uscita con la cresta scomposta dal fitto acquazzone ha ritratto impietoso il suo sconforto. Impotente, lo slovacco batteva le mani verso i tifosi azzurri presenti allo stadio, mentre dentro di sé forse pensava dove avesse perso la sua verve. Perché di crisi di gioco Hamsik ne ha sempre patito, ma non sono mai durate così tanto, nonostante l’attenuante dell’infortunio che lo ha tenuto 2 mesi senza sentire l’odore di un prato verde, corsette a parte. Il momento deludente del Napoli corrisponde anche con la sua mancata capacità di ritrovarsi. Perché se lui è il capitano della barca, che deve reggere il timone durante le tempeste, allora la deriva è una logica conseguenza.Si può parlare di diversa posizione in campo: quel fazzoletto di terra tra le linee non è un luogo a lui congeniale in quanto Hamsik preferisce partire da lontano, per poi spiazzare gli avversari senza dargli punti di riferimento. Un po’ come un centravanti mobile.
    Fare il trequartista lo imbriglia, evidentemente. Magari uno schieramento a tre in mezzo lo favorirebbe, sempre e quando Benitez intenda provarlo, ma il problema non risiede solo nella posizione. Il capitano azzurro ha perso mordente, non sfoggia gli occhi della tigre e tantomeno fa sentire il suo urlo mostrando la spigolosa dentatura che lo contraddistingue. Deve, per ciò, guardare dritto negli occhi i suoi compagni e capire che loro hanno bisogno di lui non solo in quanto calciatore, ma in quanto leader. Anche i tifosi lo chiedono a gran voce. Egli ha giurato eterna fedeltà ai colori azzurri. Adesso sta a lui dare uno scossone all’ambiente.


     

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