Napoli ti ricordi di Andrea Esposito?

Una sua doppietta stese la Roma di Herrera nella stagione 1971-72. Una meteora azzurra con un cuore lucano grande così. Da Zoff a Juliano in esclusiva per Extranapoli i suoi ricordi agrodolci sotto il Vesuvio.
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di Francesco Albanese

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Premessa

Questa intervista è stata realizzata il 25 agosto del 2016, esattamente nel giorno dei sorteggi di Champions League. Incontro Andrea Esposito in un bar di Sant’Arcangelo (Potenza), il suo paese natale. Fino ad allora mai c’eravamo parlati prima. Appena lo vedo gli chiedo a bruciapelo: “Hai visto come sono andati i sorteggi di Champions?”, “No”, mi risponde. “Noi chi abbiamo preso?” ed io “Chi intendi per noi?”, “Noi, il Napoli!”. 

Quella risposta, e le birre che sono seguite, hanno reso il tutto molto più agevole.

Allora Andrea raccontami: come arrivasti al Napoli?

Ci arrivo nella stagione 1971-72, avevo ventuno anni. La stagione precedente mi ero messo in mostra nelle categorie inferiori segnando 34 gol in 22 partite con il Policoro. Fu Gianni Di Marzio a segnalarmi al Napoli.

Ti fecero un provino?

Sì, una sorta di provino di gruppo al San Paolo. Il primo pallone che mi arriva lo scaglio all’incrocio dei pali e batto Zoff. Da quel momento un terzinaccio arrivato da Messina, pure lui sotto esame come me, inizia a picchiarmi con violenza. Decido che così non può continuare e me ne vado sotto lo sguardo incredulo di mister Chiappella.

E quindi?

All’allenatore dissi che a Policoro avevano bisogno di me e che non potevo rischiare le gambe per colpa di quella “bestia” che mi stava marcando. Se mi volevano, sapevano dove trovarmi. E fu proprio così che andò: mi fecero un secondo provino non solo con Zoff in porta, ma con tutti i titolari del Napoli in campo e così mi presero. 

Raccontami della trattativa.

Trattativa? Non avevo certo il procuratore. Ferlaino fu abile a tirare la cosa per le lunghe così alla fine il Policoro dovette “accontentarsi” di 30 milioni invece dei 60 che aveva sparato. In ogni caso una bella cifra per quei tempi. 

E a te quanto davano?

L’accordo prevedeva un ingaggio di quattro milioni (non esistevano contratti pluriennali ndr) più i premi. Erano proprio questi ultimi a fare la differenza: quelli migliori si ricevevano in caso di vittoria in trasferta. 

Che Napoli era quello?

Una bella squadra ricca di talento. C’era gente come Sormani, Montefusco e Altafini. Tutti amici coi quali si usciva la sera a mangiare insieme. Eravamo molto affiatati e per giunta con la città ai nostri piedi. Che cosa si poteva desiderare di più?

Non hai nominato Juliano, il capitano.

Juliano faceva storia a sé, viveva in disparte. Non amava troppo frequentarci. Aveva un ruolo diverso, a metà tra il calciatore e il dirigente. Quando era il momento di pagare gli stipendi capitava a volte che fosse Juliano in persona a staccarci gli assegni al posto di Ferlaino. Appena arrivato mi prese subito in simpatia, poi il nostro rapporto si guastò e la mia avventura a Napoli cominciò ad avere i giorni contati.

Andrea, ma tu che calciatore eri?

Un bel talento, con poca voglia di correre, ma se c’era di mezzo un pallone ero sempre in prima fila. Ero dotato di un mancino d’oro. Un tiro potentissimo e fulmineo. Spesso in allenamento Zoff mi sfidava a tirargli in porta. Voleva capire il segreto della mia rapidità d’esecuzione, ma io ero così abile nella conduzione del pallone che riuscivo a nascondere il tiro fino all’ultimo istante e per Dino non c’era nulla da fare.

Arriviamo all’esordio in serie A.

Chiappella con me fu chiaro, io ero il numero 12: insomma se qualcuno usciva ero io quello designato ad entrare. All’epoca era consentita una sola sostituzione tra i giocatori di movimento. Ricordo che stavo per debuttare a Torino contro la Juventus. Eravamo sul 2 a 2 e il mister mi fa cenno che tocca a me, ma io mi rifiuto.

Rifiuti? E perché?

La Juventus ci stava dominando, il pareggio era assolutamente casuale. Per di più sarei dovuto subentrare ad Altafini che aveva pure segnato. Mi feci due calcoli e capii che non mi conveniva e così me ne rimasi in panchina. 

E allora quando hai  debuttato?

A Vicenza, il giorno che perdemmo 6 a 2! Nonostante tutto giocai bene e Chiappella mi propose allora di giocare titolare contro la Roma di Herrera che arrivava a Napoli da capolista. Non me lo feci ripetere due volte e mi buttai nella mischia.

Il tuo giorno di gloria.

Esatto. Battiamo la Roma 4 a zero. Realizzo una doppietta, il primo e il terzo gol. Di quel giorno ricordo tutto. Conservo ancora i ritagli dei giornali. Sono molto legato a una foto che mi ritrae mentre corro incontro ai tifosi con Sormani e Altafini che m’inseguono per abbracciarmi. 

Che effetto fa uno stadio intero che urla soltanto per te?

Il gol è bello sempre, anche nei campetti delle serie minori, certo l’urlo del San Paolo te lo porti dentro per tutta la vita anche perché allora lo stadio conteneva quasi novantamila persone, mica come quello di oggi. Segnare regala emozioni più forti del sesso. 

Insomma il momento più alto della tua carriera che però resta isolato. Come mai?

L’Italia intera inizia a parlare di me, ma proprio contro la Roma comincio ad avvertire un fastidio alla coscia che mi trascinai per tutta la stagione e che si presentò in maniera ancora più dolorosa durante una trasferta a Bergamo.

Infortunio a parte, quali sono glia altri ricordi di quella stagione?

Pensa che il quotidiano La Stampa mi dedicò la rubrica “100 domande a…”. Quell’anno fecero altrettanto con Chinaglia e Boninsegna. Una delle 100 domande riguardava il mio tifo calcistico. Io senza starci a pensare su troppo risposi che ero del Milan, la mia squadra da bambino. Non avevo però riflettuto che di lì a pochi giorni il Napoli avrebbe disputato proprio contro i rossoneri la finale secca a Roma di coppa Italia (persa per 2 a 0 ndr). Negli spogliatoi dell’Olimpico m’incrociò il Paròn Nereo Rocco e battendosi la tempia con l’indice mi disse: “Ti sei matt’!”. 

Poi che accadde?

I dissapori con Juliano e l’infortunio che non mi dava tregua mi spinsero lontano da Napoli. Finii alla Reggina, poi in Sicilia, quindi alla Juve Stabia. Ovunque ho giocato mi sono fatto rispettare, e quando ebbi l’opportunità di tornare a Napoli mi bloccò Vinicio che non mi aveva perdonato un rifiuto di qualche anno prima. La mia carriera è proseguita dove era cominciata nei campi polverosi della Lucania. E’ stata una bella avventura.

PS Andrea Esposito, classe 1950, vanta 8 presenze in serie A con la maglia del Napoli e due gol all’attivo. Ancora oggi insieme a Franco Selvaggi e Simone Zaza è considerato l’orgoglio del calcio lucano. 

(Ha collaborato Egidio Inguscio)

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