Dieci motivi per cui sulla stampa italiana contro (il) Napoli ha ragione De Laurentiis

Non amiamo le liste di proscrizioni di giornalisti alla Grillo e Di Maio. E non vogliamo nascondere le nostre carenze dietro un atteggiamento pregiudiziale dei media. Ma il presidente, sulla stampa italiana, non solo del nord, ha ragione da vendere
  • di Boris Sollazzo

    Non ci siano equivoci: qui a Extranapoli condanniamo senza se e senza ma l’attacco di De Laurentiis a Mimmo Malfitano, collega stimato e oggetto di una vile aggressione da parte di presunti tifosi. Il presidente, nel dopo Napoli-Real, riguardo alla sua vicenda, per cui la società aveva espresso piena solidarietà con un tweet solo pochi giorni prima, con quel “lo sanno tutti che è juventino” ha pronunciato parole stupide, pericolose e esecrabili.
    Siamo qui, però, ad analizzare quello che rimane di quell’intervista post Napoli-Real Madrid, oscurata da quella che vogliamo definire una grave imprudenza, convinti della buona fede del numero 1 azzurro. Di quell’accusa alla stampa italiana (e del nord in particolare) di avere nei confronti del Napoli un atteggiamento fazioso, dannoso, non di rado insultante e spesso pregiudiziale.
    Niente di strano, peraltro. Succede con tutto ciò che riguarda Napoli. Pensate a Salvini e agli scontri seguiti al suo arrivo, indegni di una città che ha fatto dell’accoglienza e della tolleranza una bandiera. Sono diventate subito simbolo, quelle poche decine di contestatori violenti, di un intero popolo. A Bologna, sempre con Salvini, successe di peggio. Lì si demonizzarono “solo” i centri sociali: nessuno si sognò di accusare una cultura intera, una cittadinanza intera. A Napoli, contro Napoli (e quindi il Napoli) si può. Si può persino tirar fuori un titolo come "Pulcinella impazziti" (c'è mai stato una prima pagina con "Arlecchini impazziti" o "Brighelle impazzite"?).

    1. Intellettuali organici. (O, consentiteci la battutaccia, da buttare nell'organico). De Laurentiis ha conquistato la prima pagina di un grande quotidiano nazionale, forse il più autorevole presso i benpensanti di sinistra che amano nascondere i propri pregiudizi su un'Amaca radical chic, promossa in prima pagina per contrastare il Gramellini pensiero sul Corsera e il migliore dei corsivisti, nonché il più giovane, Mattia Feltri. Lo ha fatto non per i suoi tanti successi da imprenditore, ma per un insulto gratuito. Michele Serra, che di pregiudizi ci vive (basta leggere Gli sdraiati per godere di quelli che ha sui giovani) e che sembra anni luce lontano dal direttore del geniale e feroce Cuore, ha pensato bene di paragonare il presidente del Napoli a Erdogan. Sì, avete sentito bene. “Quello che spaventa in Erdogan è che sembra De Laurentiis dopo una partita del Napoli”. Testuale. Un dittatore sanguinario, antidemocratico, capace di proibire le più elementari libertà personali paragonato a un produttore cinematografico e numero uno di una società sportiva. Avrebbe mai fatto lo stesso con Agnelli, Pallotta o Lotito, che pure a esternazioni, chi più o chi meno, non son messi male? Avrebbe fatto pessima satira su di loro (perché di certo non lo è verso il presidente turco)? Neanche per l’arcinemico Berlusconi ha mai tirato fuori una similitudine così gretta e offensiva. Intendiamoci, non è il solo, né il primo: Cruciani, Mughini, Severgnini ne hanno dette di altrettanto esilaranti, Libero ha fatto uno speciale di quattro pagine con titolo in prima “Piagnistei napoletani” mischiando squadra e città. Una volta, per dire, c’è cascato anche Mentana. 

    2. Associazioni a delinquere. Un tempo si riempirono pagine di giornali per un boss a bordocampo. Al San Paolo. Giustamente. Un tempo si versarono fiumi di inchiostro per un Genny ‘a Carogna a colloquio con giocatori e forze dell’ordine in una drammatica finale di Coppa Italia. Meno giustamente, forse, visto che quell’uomo con una t-shirt urticante per molti, fece per l'ordine pubblico più dell'allora prefetto Pecoraro, evitando altre tragedie oltre alla morte di Ciro Esposito. Ed è proprio quel Pecoraro, che in fondo era l’unico da additare per aver fatto abdicare lo Stato dal suo ruolo, ora procuratore federale ad aver deferito Andrea Agnelli e tre suoi dipendenti. Per cosa? Per una presunta - siamo garantisti, noi - infiltrazione della ‘ndrangheta nella società bianconera e nella sua curva. Non gravi fatti estemporanei, ma un rapporto continuativo e piuttosto stretto, a ciò che si dice. Ora, per carità, noi ci crederemo solo a sentenze emesse. E va detto che non c’è prova né indizio di un incontro con dei boss del presidente bianconero (che sembra piuttosto oggetto della solita voglia di ribaltone di famiglia che già colpì in passato Giraudo e soci, forse Blanc, Lapo Elkann e vari altri). Ma c’è un’inchiesta, c’è stata un’audizione alla commissione Antimafia - e vorrebbero sentirlo anche lì - e appunto un deferimento. Quanto ne sapete? Non troppo, perché la cosa è stata trattata con terrorizzata prudenza, conquistando colonne di pagine importanti solo dopo il messaggio alla nazione del presidentissimo dei cinque, prossimamente sei scudetti. Niente a che vedere con le lenzuolate riservate a noi. E sapevate dei Viking che hanno svuotato un settore del celebrato Stadium in solidarietà con i capitifosi coinvolti nell’inchiesta e per l'impossibilità di esporre striscioni? Un settore, bello ampio, da cui hanno cacciato altri tifosi bianconeri. Una vergogna, per uno stadio di calcio. Qualche fotonotizia, due o tre trafiletti. Immaginate se fosse successo a Napoli: avremmo avuto un’inchiesta di 107 puntate, un doppio dvd, un titolo a tutta pagina con su scritto “Gomorra al San Paolo”. 

    3. La telenovela Adl-Sarri-Insigne-etc. Se Adl fa la fesseria di attaccare il suo allenatore dopo il Real, per i giornali, rosa e non, è tragedia: il Vesuvio sta per eruttare, uno tsunami sta per colpire il molo Beverello, è tutto finito. Non conta che Sarri al rinnovo abbia definito Adl come uno che “l’ha trattato come uno di famiglia” o che spesso il presidente abbia usato parole come “genio” o “esteta” per il suo mister. E se Insigne non saluta Sarri? E’ subito spogliatoio spaccato. Si scrive, si dibatte, si accusa.
    Poi, però, Allegri si insulta con Bonucci fino alle rispettive settime generazioni, sempre Allegri dopo la Supercoppa urla contro tutti i suoi, litiga con Dybala, Lichtsteiner e una volta pure con uno dei suoi collaboratori. La reazione dei media? Che grande società che è la Juventus, certe cose "cementano il gruppo" (Bonucci dixit). E va così anche con rinnovi, sanzioni, proteste in Lega: diventano un caso sul Golfo, un motivo di vanto sotto la Mole. In questo senso vale quello che disse due mesi fa Vialli su Sky, dopo la sconfitta contro la Fiorentina: “la Juventus non perde mai, quando viene sconfitta impara”. Le prime cinque parole dicono tutto.

    4. Dries Mertens e il calciomercato a targhe alterne. Come tutti sapete Dries Mertens è ormai dell’Inter. Il belga, che neanche ora che è un gol avanti a chi ha sostituito senza essere neanche un centravanti di ruolo, mister 90 milioni di euro Higuain, trova spazio nelle prime pagine per le sue gesta sportive, finalmente trova la copertina, in rosa e non solo. Per il calciomercato, ora che ha detto che non vuole rinnovare. Come? Non lo ha detto? Anzi su instagram lancia messaggi d’amore al gruppo? No, no, fidatevi: alla Gazzetta lo sanno, la trattativa è saltata, è tutto finito. Non si sa come, dove e quando lo abbiano appreso, ma lo sanno. Forse gliel’avrà spifferato Bargiggia. Come Mister X al Milan, Marek Hamsik sono almeno 5 anni che è in rossonero, ricordate? E Zuniga prima all’Inter e poi alla Juventus? E Cavani e Lavezzi che dopo essere stati venduti a tutte le squadre del nord son finiti per sbaglio a Parigi? E su, che con Higuain ci hanno pure preso, forse perché sono della stessa pasta.
    C’è, però, sul calciomercato, una bella abitudine, da quelle parti. Parlare di cessioni imminenti e acquisti mancati. Adorano fare la lista dei rifiuti al Napoli, tanto da dimenticare che alla Juventus dopo le cessioni di Pogba e Morata nessun centrocampista di livello ha voluto firmare per loro, così da doversi tenere Hernanes. E che alla Roma dicono di no pure vari allenatori, oltre che molti giocatori. Ma la lista, si fa solo per noi. Poi Milik arriva a Napoli, di persona, e niente. E’ tutto ancora incerto, magari è in vacanza. Poi diventa ufficiale e arriva lo scoop: scandalo, è costato troppo!
    In ogni caso preparatevi, il prossimo anno si faticherà a giocare in 11. Se ne andranno Koulibaly, Albiol, Hjsay, Ghoulam, Zielinski, Diawara, Allan, Jorginho, Mertens e Insigne. In entrata è dato solo Klaassen, ma solo per poi dire che rifiuterà all’ultimo, magari per la leggenda metropolitana dei diritti di immagine e dei contratti di 40 pagine. Ah, pare che Sarri allenerà Roma, Fiorentina e Juventus. Contemporaneamente. 

    5. Presidenti serpenti. Aurelio De Laurentiis dice nel post Napoli-Real solo cose giuste. "La Gazzetta è il giornale di Juventus, Inter e Milan" (come Tuttosport di Juventus e Torino, visto che la rosea in effetti verso i bianconeri spesso non tiene totalmente la linea, e Corsport di Lazio e Roma), "la stampa del nord ce l’ha con me, con il Napoli". Lo fa rovinando tutto con le frasi pericolose e piuttosto stupide su Malfitano (“solidarietà, ma è juventino” quasi a giustificare i suoi aggressori) e arrivando fino a Cavour, alla sua maniera, ma si fa fatica a non dargli ragione.
    Arrivano, poi, un comunicato dell’USSI (Unione Stampa Sportiva Italiana) e un editoriale della Gazzetta. Ma non è questo che conta. Perché se poi Agnelli nel suo messaggio alla nazione dice ai giornalisti “siate testimoni, non siate strumenti” alludendo alla loro incompetenza o malafede o stupidità (tanto da essere strumentalizzati), o anche a tutte e tre insieme, allora va bene. Se lo tengono. Niente comunicati di associazioni di categoria, niente editoriali.

    6. La legge della moviola non è uguale per tutti. Questa fa ridere molto. Dunque. Napoli-Crotone: due rigori e un’espulsione mancata a Rog. Tutti i napoletani hanno riconosciuto, anche con eccessiva contrizione, che il primo era sacrosanto, il secondo regalato e la terza doveva essere comminata. Verissimo. Favori arrivati dopo uno Juve-Milan piuttosto discusso (e con i rossoneri a fare gli squatter allo stadium: non ci stavano che i bianconeri avessero fatto a loro decisamente meno di quanto due settimane prima avessero fatto al Sassuolo, per dire). Cos’è successo? Nicola, allenatore di un Crotone martoriato dai direttori di gara fino ad allora, dopo mesi di olimpica sopportazione francescana, decide di urlare la sua indignazione. E tutti gli danno spazio: radio, tv, giornali, dazebao, mancano solo i periodici femminili. Scandalo, ne parlano tutti. Poi la Roma (non si dica che parliamo sempre e solo della Juventus) gode dell’annullamento di un gol valido a Nestorovski contro il Palermo e la settimana dopo Salah sul 2-1 contro il Sassuolo spinge un avversario prima di calciare a rete, neanche fossimo in una rissa da bar. Indovinate? Un colonnino di minimoviola a pag. 17 e a pag. 11. Già.
    E se poi ci si arrabbia? Beh gli juventini lo fanno #sulcampo, come piace a loro (ma anche Roma, Inter e Milan non scherzano). Circondano l’arbitro neanche fosse un terrorista in procinto di farsi esplodere, lo affrontano faccia a faccia neanche fossero in una guerra tra bande nel Bronx. E tutti a dire “vedi che carattere la Juventus?”. Se lo fa Albiol, da solo, tirandosi la maglietta strappata in area, ammonizione e pubblico ludibrio. Se Giuntoli lo dice civilmente ai microfoni, indovinate un po’. Sì, “piagnoni”.

    7. Proci, pinocchi e puffoni. Non siamo impazziti. Ricordate quando Sarri diede del frocio a Mancini? Roberto - che pochi giorni dopo alzò il dito medio alla fine di un derby verso i tifosi rossoneri (atto ben più pericoloso) - ne chiese la radiazione, Mazzocchi e soci improvvisarono un’inquisizione spagnola per il toscano in diretta televisiva, gli diedero due giornate di squalifica, fecero editoriali di fuoco contro quell’insulto omofobo e persino un’interrogazione parlamentare del senatore Lo Giudice del PD. Pochi giorni fa Luciano Spalletti dà dei finocchi ai giocatori del Lione. Nessuno scandalo - si sa, ti franzosi tanto ommini non son mai stati - nessun editoriale, nessun processo mediatico. Anzi, qualche sorriso e poi tutti a credergli quando dice che lui aveva detto “pinocchi”. Capito? Roba che se il nostro Maurizio avesse avuto la prontezza di spirito di dire che intendeva citare l’Odissea e dare del procio al suo collega, ora lo facevano ministro dell’istruzione. Scemo lui a non ricordarsi del mitico Piero Ricca che alla fine del processo Sme gridò all’imputato Berlusconi “buffone!”. Salvo poi rettificare, denunciato da Silvio, affermando che aveva detto puffone. 

    8. Allenatori maltrattati. Il Napoli è la squadra, in serie A, che da più anni va in Europa, senza interruzioni. La seconda per numero di punti nelle ultime sei stagioni. La seconda italiana (e sedicesima europea) nel ranking Uefa. Eppure i suoi allenatori sono stati sempre criticati aspramente se non insultati dai media. Mitico è rimasto lo scontro Massimo Mauro-Rafa Benitez (due trofei), ma anche Mazzarri ha visto molti attaccarlo - nonostante i miracoli che ha fatto con una rosa limitata: contro il Chelsea se la giocò con Aronica e Gargano -; non parliamo poi di Sarri, che all’estero viene elogiato per il suo gioco da illustri colleghi (e nessun altro mister italiano gode di queste lodi), ma che in Italia trova la possibilità di occupare una pagina di giornale solo se si lamenta - giustamente - dei troppi lunch match o che da noi ci sono troppi campi da gioco indegni di questo sport. Di contro gli altri vengono celebrati e anche quando vengono criticati, ci si mette i guanti bianchi. Da Paulo Sousa al povero De Boer, di cui ancora ricordiamo le tre sostituzioni a Pescara, come se fosse Vittorio Pozzo (che sostituzioni non ne ha mai fatte, perché ai suoi tempi non c’erano). Unica eccezione: la meravigliosa intervista di Paolo Condò al mister.

    9. Cori e goliardia. “Lavali col fuoco”. Se fate qualche trasferta sapete che lo cantano ovunque e quanto faccia male. Ma per i media non è discriminazione territoriale, ma goliardia. E per il giudice sportivo se lo fanno in pochi e per poco tempo, si può fare. Gli stessi, però, e ci mettiamo anche gli opinionisti dei social, si scandalizzano se Dries Mertens segna a Roma e va sotto la curva Sud a esultare alla Finidi, simulando un cane che fa la pipì. La sua cagnetta, Juliet, appena adottata: forse un regalo per una moglie con cui potrebbe essere in crisi, forse l’unica compagnia ora che Kat è fuori. Un gesto innocente e goliardico. Non come quei cori indegni o, rimanendo in quello stadio, l’aver inneggiato a una lavatrice che ha sputato contro una curva intera o l’aver esposto e persino applaudito striscioni di solidarietà a un assassino e di attacchi vili alla madre della di lui vittima. A proposito, come mai il 3 maggio 2014 non viene mai ricordata come la notte della tragedia di Ciro Esposito ma come quella di Genny ‘a Carogna? Serve davvero dirlo? Serve davvero dire che la Rai, lì, fu imbarazzante nel commentare le vicende da un solo punto di vista? Passi per i rigori della Juve, visto che si tratta solo di un gioco. Ma allora fu criminoso, soprattutto trattandosi di servizio pubblico. Per cui Napoli conta solo quando gli fa far soldi con Un posto al sole, evidentemente.

    10. Stadio. E non solo. Perdonatemi se mi permetto di passare a una cosa più seria. Ma per capire che la nostra non è mania di persecuzione, ma constatazione dei fatti, bisogna capire che la stampa del nord non è contro il Napoli, ma contro Napoli e i napoletani. E senza tornare a Cavour e i Borboni, andiamo indietro di 57 anni e spicci. Anzi, facciamo 69 anni. Il consiglio dei ministri stanzia un finanziamento per un nuovo Stadio a Napoli: uno è stato distrutto dalla guerra, l’altro è ormai inadeguato. E’ un’opera monumentale, importante, imponente. Sarà fondamentale per la rinascita del Sud. E' il 1948 e inizia subito una guerra dei grandi giornali, dei politici settentrionali, perché non si faccia. Il progresso sotto Roma non doveva arrivare, un modello vincente men che mai. Cominciano battaglie d’opinione, richiami ai “veri problemi”, un classico che poi è stato rispolverato per gli acquisti di Jeppson e Maradona, tra fotomontaggi con rifiuti e polemiche sul ruolo del Banco di Napoli. Ironie pesanti, bastoni tra le ruote, ma il cantiere iniziato nel 1952 viene portato a termine. Undici anni per tirarlo su, inaugurato nel 1959. Si polemizzò per un decennio sul costo, ma nel 1990, di fronte al vero scandalo, forse perché il comitato dei mondiali era presieduto da un sabaudo, si mantenne il silenzio fino a cose fatte sui miliardi sprecati. E ora mentre si inneggia alla grandezza dei progetti degli impianti privati di Roma e Fiorentina, si ridicolizza Aurelio De Laurentiis. Che ce la mette tutta, per farsi prendere in giro, va detto: in due anni è passato da volere un impianto di 41000 posti a uno di 20.000 (con 5000 ingressi gratuiti per “poveri istruiti e di provata rettitudine”). E forse, è qui il punto, caro il mio presidente. Smettiamo di rispondere loro come si aspettano, con dichiarazioni eccessive e folkloristiche, con gesti eccessivi. Facciamo interviste sobrie e feroci, rispondiamo punto per punto, inchiodiamoli ai loro errori e alla loro malafede. Aurelio, anche nella comunicazione, smetti di fare come Penelope: nel calciomercato, in società (dove sono gli investitori cinesi, la squadra americana, la scugnizzeria?), nelle battaglie arrivi sempre a un passo dal finire la tua tela, e poi ogni anno la disfi e la ricominci. Ci dici sempre di essere un vincente, e allora dopo aver dimostrato di essere un grandissimo imprenditore e un ottimo presidente (checché ne dicano i papponisti), ora diventa comandante. Diego ce l'ha insegnato: vincere contro tutto e tutti è il trionfo più bello e ti fa diventare leggenda. E a Napoli si è vinto nonostante tutto e tutti. Rifacciamolo, senza piegarci.

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