Non sappiamo più tifare? Colpa della parola “Nàpoli”…

Ancora discussioni sulle curve del San Paolo che non sono più quelle di una volta. Ma invece di entrare nella polemica sugli ultras, vorremmo far notare un piccolo problema di metrica. Che ci penalizza non poco…
  • di Errico Novi

    Ma insomma questa storia che siamo nella top five mondiale delle tifoserie è una balla? Chiariamoci una volta per tutte. Perché se la letteratura continua ad assegnarci primati assoluti (vedi l’hit parade delle curve pubblicata dal magazine francese So foot) noi stessi avanziamo frequenti dubbi. «I napoletani non sanno più tifare» l’abbiamo sentita spesso. Di recente la questione è stata rilanciata dal Napolista con un articolo di Gianluca Dati. L’ennesima stroncatura.

    Non c’è dubbio che il tifo dei napoletani sia molto cambiato rispetto a vent’anni fa. Non c’è più lo stile festoso e colorato della curva B di Palummella, si è imposto quello più rabbioso e duro della curva A. Tutto vero, tutto risaputo. Ma qui vogliamo aprire un altro discorso. Terra terra. Sui cori, appunto. E in particolare sulla parola che amiamo di più: Napoli. È una parola che non va bene per i cori. O almeno crea un sacco di problemi. Perché? È una parola sdrucciola, cioè ha l’accento sulla terzultima sillaba, e questo comporta delle complicazioni non da poco in fatto di metrica. E tra l’altro è sempre stato così. Ce la siamo cavata in passato con degli artifizi, che continuiamo a usare: per esempio nei cori diciamo spesso “azzurri” al posto di “Napoli”. Rimedio valido fino a un certo punto. E insomma, prima di sparare sui pianisti della situazione, che sarebbero gli ultras partenopei, varrebbe la pena di fare un breve excursus sull’ostilità delle parole sdrucciole, e in particolare della parola Nàpoli, nei cori da stadio.

    All’epoca della prima vera espansione del fenomeno ultrà (così si scriveva allora) i napoletani fanno una cosa abbastanza semplice, in fatto di cori: copiano la curva sud della Roma. Azzeccata, come mossa. In quel momento (siamo tra fine anni Settanta e primi Ottanta) i maestri sono loro. Circolano leggende su una regia occulta di Antonello Venditti, dietro la prolificità canora dei romanisti. Mai smentito del tutto. Sono i Cucs comunque a imporre praticamente a tutta Italia la Marcia trionfale dell’Aida. Adottarne il ritornello come base dell’incitamento diventa praticamente obbligatorio. E noi? Lì per esempio possiamo copiare fino a un certo punto: “Alééé/ forza Roma alè…” viene benissimo. Ma “Alééé/ forza Nàpoli alé…” viene una schifezza. Quindi la cantiamo ma al posto delle parole ci abbandoniamo a un indistinto “la la la”, che poi diventa rapidamente “oh-oh-oh”. Che ci vuoi fare. C’è un altro motivetto che pure tira tantissimo, nei primi heighties, ed è Stars and stripes forever: marcia militare ufficiale degli Stati Uniti, è il coro più cantato da tutti i tifosi inglesi. I romanisti hanno gioco facile: “Romalé/ Romalé Romalé…”. Noi lì proviamo con un malriuscito “Ciuccio alé/ Ciuccio alé” che però fa un po’ ridere e gira pochissimo. Potremo finalmente adottare anche noi questa canzone solo con l’arrivo di Diego, e la dedicheremo appunto a lui: “Maradòòò/ Maradò Maradò…” impazza da subito, soprattutto nei primi due anni azzurri del Nostro Eroe.

    Insomma le difficoltà non mancano. I romanisti sembrano un coro polifonico, noi siamo sempre un po’ disordinati e spesso non si capisce cosa diciamo. Ricapita anche nell’anno del nostro scudetto. Pochi mesi prima, alla fine del campionato 85/86, il solito Cucs sforna un altro “disco d’oro”: riprende il motivetto de L’Armata Brancaleone e ne fa una canzoncina così trascinante che in un memorabile Roma-Juve la cantano pure in tribuna Monte Mario. “Siamo i tifosi della Roma/ siamo del Commando ultrààà/ forza Roma alé alé…”. Adesso, complimenti anche ai laziali che rigirano la cosa per infierire dopo lo scudetto perso dai cugini in casa con il Lecce (“siete i tifosi della Roma/ state ancora a rosicààà/ Roma due Lecce tre/ alé alééé…”) ma noi ci troviamo di fronte al solito problema. Con quella parola sdrucciola, Nàpoli, il coro non viene bene. “Siamo i tifosi del… Nàpoli/ siamo del Commando ultrààà/ forza Nàpoli alé alé…”, suona peggio di una canzone del Lucio Battisti periodo Carlo Panella. Che fare? Ci rifugiamo nella parola-surrogato: azzurri. Bene, benissimo. Metricamente va. Ma l’effetto? Sentita da lontano, con quella “u” che è una specie di buco nero sonoro, sembra che diciamo “forza Juve alé alééé”. Cioè ovviamente noi lo sappiamo che è per i nostri, il coro. Ma questo agghiacciante fraintendimento mi appare chiarissimo l’anno dopo il primo scudetto, una domenica a Firenze.

    Siamo a una settimana esatta dal nostro giorno nero. La domenica precedente il Napoli forse più bello e forte di tutti i tempi ha perso 2-3 in casa col Milan. Scudetto quasi andato. Con un amico però decidiamo di compiere un estremo atto di fede e ci mettiamo in viaggio per Firenze, dove si gioca la penultima di campionato. In fondo abbiamo solo un punto di distacco dai rossoneri e non è così impensabile che la banda Sacchi ne lasci almeno uno per strada. Ci affidiamo male per i biglietti però: lo zio di Andrea, che vive a Perugia, li ha comprati di curva Fiesole. E vabbè, se dobbiamo soffrire soffriamo. Ci  accorgiamo di non essere proprio gli unici partenopei a essersi avventurati nella fossa dei Viola, ma non è questo il punto perché la disperazione per il tricolore buttato via prevale su ogni altra paura. A un certo punto Ciro Ferrara pareggia. I quindicimila napoletani della curva Ferrovia, nostri dirimpettai, cominciano a intonare appunto il coro dell’Armata brancaleone: “Siamo i tifosi degli azzurri/ siamo del Commando ultrààà/ forza azzurri alé alééé…”. Un fiorentino che sta di fianco, e che ha capito chi siamo, si volta e fa: “Ma che cantate, forza Juve?”. Ecco. Cioè lui ci fa così contorti da credere che dopo un nostro gol a Firenze cantiamo “forza Juve” per far dispetto ai viola notoriamente antijuventini. Follia. Capisco quel giorno che noi con i cori abbiamo un problema.

    Sarebbero venute altre vittorie, per fortuna. E altri cori bellissimi. Tutti nostri (lo era già stato per esempio “O mamma mamma mamma”, fantastica invenzione di Tony Faiella copiataci da tutta Italia) o anche ripresi dai sempre prolifici romanisti, ma con un tocco di geniale ironia da parte nostra. Esempio recente: La partita di pallone di Rita Pavone è stata adottata per la prima volta dalla solita curva sud con la variante “perché perché/ la domenica mi lasci sempre sola…/ perché, perché, tifo Roma tifo Roma alé alé”. Noi che abbiamo fatto? Avevamo la solita rottura della parola sdrucciola e quindi non potevamo risolvere con “tifo Nàpoli tifo Nàpoli alé alé”. No. Perciò la curva A si è inventata una soluzione che supera per inventiva l’originale: “Perché, perchééé…/ perché il Napoli lo amo più di te!”. Chiusura del cerchio, gioco partita e incontro. Ma quanta fatica.

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