Rafa Benitez, addio e a presto

Finisce una bella storia d'amore. Si poteva diventare grandi insieme, così non è stato. Buona fortuna, non ti dimenticheremo mai. E tu non ti scorderai di noi.
  • di Boris Sollazzo

    Era finita. Lo avevo capito da questi ultimi due mesi. Avevi perso il sorriso, l'ironia, la voglia di corteggiarci e di essere corteggiato. Parlavamo appena, quando ci incrociavamo. Non ti facevi più bello per me, non ti impegnavi più a sembrare l'unico. Ti trascinavi. Queste ultime partite, che sofferenza: quello sguardo, quell'atteggiamento, tipico di chi ormai nota solo i difetti dell'altro. E io, per carità, Rafa, facevo lo stesso. Non mi andava più bene una sostituzione, non sorridevo più a pensare #cipuòstare quando un terzo incomodo, spesso un arbitro cornuto (sì, le corna in una storia d'amore che finisce ci sono sempre) rovinava i nostri sogni. Non ci piaceva più guardare il Marek insieme.

    E allora, quand'è così, meglio finirla subito. Provare a rimanere amici, senza (troppi) brutti ricordi. Che poi magari si torna insieme. O magari no. E quanto sarà “strano incontrarti di sera

    in mezzo alla gente, salutarci come due vecchi amici, ehi ciao come stai”. Magari sarà un martedì d'autunno, chissà, e saremo felici entrambi. Chissà.

    Però che peccato, Rafa. Perché questo era un grande amore, 'na cosa grande. E non l'abbiamo capito, non abbiamo avuto il coraggio di viverlo fino in fondo.

    Noi, che volevamo tutto e subito. Tu, che preferisci una ricca e bona al fascino eterno e caotico di una donna unica e difficile. Sarà che tra noi c'era pure uno che si ostinano a chiamare pappone e questo, in una storia d'amore, non aiuta.

    Guardo le foto del nostro album dei ricordi. Ci siamo amati tanto, all'inizio: eri così sexy con quel gioco spregiudicato, sempre pronto a sedurci. E noi, sempre così eccitati dalle tue sorprese, dai tuoi regali. Tanto che quando nelle nostre gite a Roma, i nostri primi viaggi importanti, tutto è andato storto, mano nella mano, spalla a spalla, abbiamo superato tutto. Quell'amore superava ogni ostacolo. Anche le sconfitte più ingiuste: ricordi la sera di Napoli-Arsenal? Gonzalo piangeva, i nostri rivali ci applaudivano, tu ci consolavi. Noi eravamo pazzi di te, anche se il dolore era tanto. Quanto eravamo belli? Avevamo il mondo in pugno. E poi quei 104 orgasmi insieme, chi se li dimentica? S'è goduto tanto insieme noi.

    E poi, pure quel 3 maggio. Un giorno triste, ma noi ti abbiamo sentito nostro. Napoletano, arrabbiato, indignato. Ciro era anche figlio tuo, te lo leggevamo negli occhi. Abbiamo vinto anche per lui.

    Poi è arrivata l'estate. E la prova costume non l'abbiamo passata mi sa. Oddio, tu è da un pezzo che non la superi, ma io ti trovo da sempre bello e magro. C'è da dire che quello che t'ha comprato il presidente, proprio non ti andava bene. Tu ne volevi un altro, magari anche con la Maschera(no). Niente, ti bastava un anello di fidanzamento di quelli preziosi, t'hanno rifilato della bigiotteria. E tu là, non hai avuto il coraggio di sbattere la porta, di farti valere. Di dire che volevi il meglio per te, per noi. Forse pensavi alla tua prossima amante, quella che hai sempre desiderato, forse alla moglie d'un tempo da cui volevi tornare. Ma ti piacevamo ancora e sei rimasto. Ci hai pure detto qualche bugia, di quelle che si dicono per superare le crisi: che eravamo più belli dell'anno precedente, che ci avresti portato in Europa, magari non a Berlino, ma che ci saremmo avvicinati. Poi, alla fine, neanche un low cost per Varsavia s'è preso insieme. Che è sempre così, ci si lascia prima dei viaggi più fighi.

    E niente: Bilbao, Udine, neanche più a Napoli stavamo bene insieme. E poi contro il Chievo abbiamo fatto cilecca. Trentadue volte. L'amore dov'era? Pure nostro figlio Gonzalo era distratto, mesto (non Mesto, per fortuna), apatico. Però quel sentimento ci ha aiutato, tra Svizzera e vecchia Cecoslovacchia, così come in Russia, Turchia e Germania, nel nostro Interrail un po' sfigato ci siamo tolti belle soddisfazioni. Lì sembrava essere tornata la passione. Fino all'Ucraina. E in effetti le ucraine sono delle rovinafamiglie, lo sappiamo bene qui in Italia. E nel frattempo nella penisola alla fine le altre si facevano così brutte, che noi continuavamo a sembrar belli, per quanto ci truccassimo male e ci vestissimo peggio. Ci bastavano un po' di serate delle nostre e tornava l'illusione di un futuro insieme. Ma sul più bello, eccolo lì, il coito interrotto.
    Non eravamo più quelli d'un tempo, ma ci provavamo. L'amore è così, non si arrende.

    E ora cosa ci rimane Rafa mio? Un pensiero stupendo. E basta. Potevi essere il D10S della panchina: uno che rimaneva qui e ci faceva arrivare al vertice massimo del piacere. E tu, qui, saresti diventato l'uomo ideale, l'amore eterno, il principe azzurro. Potevamo vivere felici e contenti. Invece ci rimangono delle sere meravigliose insieme, indimenticabili, irripetibili.
    Ti ricordi quando sembrava che avessimo superato tutto, con l'amplesso più lungo e più bello? Una fuga d'amore a Doha, 120 minuti di passione purissima e selvaggia. Anzi, qualcosa in più. Un tuo bacio, allora, sembrò trasformare in principe persino il ranocchio Rafael. Fece un doppio passo De Guzman, nel ballo più bello. Sembrava quello del nostro matrimonio che appariva maturo, ormai. Era invece uno degli ultimi fuochi di questa nostra emozione.

    Due anni. Non abbastanza per l'amore di una vita, sufficienti però a essere importanti nell'esistenza l'uno dell'altro. Vai, Rafa, cercaci negli occhi delle squadre “che nel mondo incontrerò

    e dentro quegli sguardi mi ricorderò di noi chissà se si chiamava amore”.

    Vai. Ti rifarai una vita, più prevedibile e forse più soddisfacente. Ma non sarà come questa. Ti annoierai, ti ameranno solo se porterai a casa quello che vogliono. E pure subito.

    Ti chiedo solo un favore. Facciamo l'amore, un'ultima volta. Domenica sera. Che sia la nostra notte più bella. Che sia degna di noi. Godiamo insieme. Tanto. Tantissimo. Più volte.
    Magari con il pianto negli occhi, come successe con il Pocho. E poi salutiamoci con qualche lacrima e un sorriso. Alla faccia di cornuti, presunti papponi, guardoni, traditori, malelingue e pettegolezzi.
    Non mi deludere, Rafa mio. Ci siamo tanto amati e per questo ci meritiamo un gran bel regalo d'addio. Tutti e due.

    P.S.: non sai quant'è brutto e cattivo quello che prenderà il tuo posto. Ma magari, chissà, si trasformerà in cigno. Ah, una cosa: se ti porti via Bigon, gli alimenti non te li paghiamo. Ma dai un bacio anche a lui: l'abbiamo spesso trattato come l'amica brutta di turno, ma gli abbiam voluto bene.
     

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