Unai Emery, filosofia di un tecnico

Faccio l'allenatore, analizzo squadre non individui. Così vede il calcio l'obiettivo numero uno per la prossima panchina del Napoli.
  • di Francesco Albanese

    Spulciando nella rete abbiamo raccolto un frasario piuttosto indicativo di Unai Emery, l’allenatore basco in cima alla lista dei desideri di Aurelio De Laurentiis per rilanciare il Napoli dopo la deludente stagione appena conclusasi. Ecco servito l’Emery pensiero, raccolto da El Pais in occasione della vigilia di un Valencia-Real Madrid del 2011.
     
    Il calcio mi piace e sono molto inquieto. Vado a dormire alle due e appena mi sveglio..tac, mi dico “devo parlare con quel giocatore, devo vedere quel video”. Non stacco mai.
     
    Dormo sei ore a notte e mi alzo con un sorriso se la sera prima ho vinto, altrimenti esclamo appena sveglio: “Cazzo abbiamo perso!”.
     
    Per andare avanti occorre essere degli ottimisti incurabili. Per esempio quando mi danno un rigore contro penso: “Ora glielo pariamo”.
     
    Una sostituzione è importante perché trasmette molto: spirito offensivo, paura…
     
    Se prima della partita pensi che andrai a morire, allora morirai due volte.
     
    Sono un perfezionista, ma so che la perfezione non esiste. Bisogna convivere con i difetti.
     
    Angel Cappa (allenatore argentino ndr) ha detto che il calcio lo fanno i calciatori, però come si comportano in campo dipende soprattutto dagli allenatori.
     
    So di essere esposto alle critiche positive e negative, ma devo prendere le decisioni e rimanere equidistante. Poi nel chiuso del mio ufficio posso anche lasciarmi andare a qualche urlo. 
     
    I calciatori devono essere preparati all’ostilità dei propri tifosi: è un pedaggio che devono pagare.
     
    Mi piace il gioco di gruppo, mi fa orrore essere un semplice "autore di formazioni”. Alleno perché tutti i 25 giocatori della rosa siano pronti. Stabilire l’undici titolare è solo l’ultima scelta. Analizzo squadre, non individui. Ci sono allenatori che ragionano così: “Questo gioca bene, questo gioca male e allora sta fuori”. Se un calciatore gioca male, il responsabile sono io che non l’ho messo in condizioni di esprimersi al meglio. 

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