Aurelio compraci Marcello Lippi

La squadra è forte, l'allenatore è il migliore, il presidente - checché ne dicano in tanti - fa miracoli. Ma tutto questo in una società fantasma. E allora, caro Aurelio De Laurentiis, senti a me, prendi Marcello Lippi
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    di Boris Sollazzo

    Aurelio De Laurentiis è di fronte a un bivio. E non perché una tifoseria ingrata e senza memoria lo contesti o perché media disonesti (intellettualmente e forse non solo: urlano all'affare per Pogba, ma non per Higuain. Parlano di rifiuti in serie per i partenopei, poi fan finta di niente se tre centrocampisti che giocano in campionati periferici o fanno la panca in grandi squadre rifiutano i bianconeri). E neanche perché la Juventus ha tradito la sua strategia economica e sportiva - o meglio, ha recuperato quell'arroganza del Potere che ha avuto per decenni - per provare a demolire il progetto Napoli. E neanche perché debba qualcosa a una città o a una tifoseria a cui ha dato più di quanto ha ricevuto. Sono ridicole le urla di indignazione per i compensi del cda: in ogni azienda che si rispetti i bravi manager vengono pagati e se questi corrispondono a proprietà e famiglia, poco importa. Guardatevi i compensi di Thohir, Bolingbrok, il fu Zanzi o Baldissoni, per tacere di Nedved, Marotta e soci e capirete che non c'è nulla di strano e sbagliato in quei lauti stipendi. Sono grottesche le analisi sul bilancio che puntano alle plusvalenze record recenti senza ricordare gli investimenti a fondo perduto del primo quinquennio (quelli del compianto Pierpaolo Marino che i tifosi, gli stessi che ora lo rimpiangono, chiamavano PierPanza), che accusano il nostro di finanziare la Filmauro con il Napoli, quando i vasi comunicanti hanno funzionato in entrambe le direzioni. E se è arrivata in 12 anni una dozzina di milioni alle casse della casa di produzione cinematografica, è fin troppo.

    Aurelio De Laurentiis deve decidere cosa vuole essere. Un ottimo presidente o uno che vuole entrare nella storia. Un eccellente manager ed imprenditore o uno che verrà ricordato nei prossimi decenni. Ha sempre detto, a ragione, che il suo Napoli è uno dei pochissimi modelli virtuosi in un territorio, ma direi anche in uno Stato, che ne offre di pessimi. Ok, giusto e vero. Ma ha il talento e la lungimiranza per essere un esempio imperituro, non solo un modello d'investimento. E il Napoli può consegnargli quel salto di qualità, a un'età in cui il denaro è meno importante della gloria, che anche al cinema, a causa di un'industria asfittica, non gli è riuscito.

    E allora, caro Presidente, costruisca una società vera. Che possa essere la sua eredità, una visione e non solo un esempio di numeri. La smetta di accentrare tutto su se stesso: il fatto che lei abbia (quasi) sempre successo in ciò che fa, non basta. Le danno del fortunato per questo, ma chiunque abbia un minimo di competenza sa che in un'impresa così aleatoria e complessa, la sorte ha un ruolo marginale. Serve costruire qualcosa, non solo la soddisfazione di poter lasciare dei rimpianti nei tifosi che come i romanisti con Viola e Sensi, arrivano sempre troppo tardi. 

    Aurelio, quindi, cominci una nuova stagione. Un nuovo ciclo. Un nuovo modo di affrontare questa sfida calcistica a cui ha dedicato gli ultimi 12 anni. Centro sportivo, stadio e dirigenti, prima che campioni e qualificazioni in Champions League. Teste, prima che piedi.

    So cosa mi dirà: le amministrazioni non mi aiutano, sono solo. Castelvolturno in affitto grida vendetta così come quel San Paolo fatiscente. Ma ora ha i soldi. Ora può metterli sul tavolo e dire: al diavolo la burocrazia, dovete rifiutare i miei progetti, concreti, che consentirebbero alla squadra ma ancora più alla città di crescere. Niente tarantelle con De Magistris e soci, ora può condurre Lei il gioco. Non è uomo da accontentarsi delle vittorie morali, del "vorrei, ma non posso". Alzi la voce, non verso un tifoso troppo focoso o verso un altro presidente, la alzi per farsi sentire. Da tutti.

    E cominci a cercare chi è alla sua altezza. Giuntoli è bravo, ma come Bigon è lì perché non può farle ombra. Non lo mandi via, gli metta vicino chi ha rapporti internazionali, chi sa, come succede in altre società, guardare su altri mercati e trattare da pari a pari. Lo faccia crescere, senza che sia Lei a dover puntare i pugni sul tavolo quando chi ha solo il Carpi nel suo curriculum non ha lo spessore, l'esperienza, l'autorevolezza per farlo. 

    Ecco perché può cominciare questa nuova epoca con un atto semplice, forte, immediato. Qualcosa che rappresenti il primo scalino verso un Napoli diverso e possibile.

    Mi prenda, ci prenda, si prenda Marcello Lippi.

    Come direttore tecnico. Sa anche lei - nonostante l'autocritica, ammettiamolo, non è tra le sue doti migliori - che se Benitez, Mazzari, Higuain e Cavani se ne sono andati dicendo tutti più o meno la stessa cosa - "mi ha promesso un progetto che non si è realizzato" - qualcosa di vero c'è. La sua potenza di fuoco economica è limitata, anche se l'ha sempre abilmente nascosta con la sua abilità imprenditoriale, i suoi sogni di grandezza hanno impedito a molti tifosi di capire che noi eravamo i Robin Hood della serie A, quelli che dovevano con l'intelligenza e la forza delle idee e del gruppo conquistare ciò che altri ottengono grazie al potere dei soldi. Ha sbagliato a promettere scudetti, quando doveva invece dire "lottiamo insieme per andare sempre oltre le nostre possibilità". Ha sbagliato a prendersi sulle spalle, spesso, il ruolo di leader della società, del calciomercato, dello spogliatoio, persino a portare avanti, solitario, un attacco a Platini. Non può fare tutto questo contemporaneamente, magari stigmatizzando i comportamenti non professionali dei suoi stipendiati. Perché ciò che le porta risultati da una parte (magari a breve termine, vedi il chilo e mezzo in più del Pipita), le toglie autorevolezza dall'altra. E a lungo termine, logora lei e chi le sta vicino.

    Manca, in maniera smaccata, una figura che faccia da filtro nel rapporto tra chi mette il denaro e chi se lo prende. Manca qualcuno che sappia parlare con i dirigenti e urlare a Castelvolturno contro chi non si impegna in campo. E Marcello Lippi sarebbe perfetto.

    Siete simili: uomini di carattere forte, non avete paura di nessuno, tranne in rarissime occasioni non avete mai fallito. 

    Lui, in più, a Napoli c'è stato, nel suo momento più difficile. A Napoli ha lasciato un bellissimo ricordo, tanto da essere applaudito al San Paolo persino con lo stemma delle zebre sulla giacca. Lui ha la carriera e il carisma per parlare con Sarri senza che quest'ultimo si senta invaso ma piuttosto capito e sostenuti, da lui penderebbero i tanti giocatori viziati che ora chiedono rinnovi, cessioni, ricollocamenti. Ragazzini non di rado avidi - e sia chiaro, non parlo di Insigne che merita di veder riconosciuto il suo ruolo centrale nel progetto Napoli ma che deve dimostrare il suo amore per la maglia facendolo fare nel momento giusto - che come Higuain si battono il cuore per poi strappartelo. Lui potrebbe essere il suo interlocutore perfetto: saprebbe essere abbastanza duro con loro, ma anche con lei, quando necessario. A lui dovrebbe lasciare le comunicazioni sportive, lui potrebbe andare ai sorteggi europei. Lui, che scovò Pecchia e Cannavaro, saprebbe farle capire che la "scugnizzeria" non dovrebbe solo essere uno slogan ormai diventato disco rotto, lui potrebbe occuparsene in prima persona, guidando gli allenatori delle giovanili e facendo da anello di congiunzione tra le tante anime della società, anche quelle che non hanno mai preso vita. Lui potrebbe parlare alla città, ai giocatori, ai tifosi quando il suo silenzio, presidente, dovrà essere d'oro. Lui, campione del mondo, potrebbe alzare il telefono e dire a campioni e promesse "Napoli è un'occasione unica per te". E gli crederebbero.

    Quindi, caro Aurelio, non le chiedo un nuovo acquisto (anche se sarei tentato di chiedergliene tre: Marquinhos, De Sciglio e Rog, ma so che è un sogno). Le chiedo di avere lo sguardo che dichiara da sempre di avere, quello verso il futuro. Ero d'accordo quando urlava "siete delle merde", sono sempre stato d'accordo quando con disprezzo ha rilevato quanto il calcio italiano sia conservatore, vecchio, ormai in un gorgo di mediocrità e assenza di progettualità che lo porterà a un inesorabile fallimento. Ma lei non può surfare su questo mare inquinato. Non è da lei cercare un'alleanza con Tavecchio e Lotito che infatti non ha saputo mantenere (chi mai ci riuscirebbe?). Lei deve costruire un galeone e navigarlo, per arrivare all'Isola, alla società che ora non c'è.

    E, si fidi, il suo nostromo non può che essere quell'uomo con i capelli argentati. L'uomo che ha voglia di fare la sua ultima grande impresa - lo ha dimostrato mettendosi a disposizione della FIGC -, di solcare i mari e andare oltre le colonne d'Aurelio. Pardon, d'Ercole. 

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