Che tristezza la retromarcia sulla chiusura di San Siro

La mobilitazione di stampa e istituzioni sportive per evitare che i cori anti-Napoli costassero caro al Milan ci ricorda che il principio di legalità, nel nostro Paese, vale zero
  • di Francesco Bruno

    Come volevasi dimostrare. Dopo una settimana all’insegna dei distinguo e delle discettazioni semantiche sulle differenze tra razzismo e discriminazione territoriale, la chiusura di San Siro viene posticipata. La Corte di giustizia federale ravvisa la necessità che la Procura federale svolga ulteriori indagini. Andrebbe chiarita la reale offensività e la portata dei cori intonati dai tifosi milanisti durante Juve-Milan. La Corte sospende inoltre, nelle more, «il provvedimento sanzionatorio oggetto di reclamo». Per Milan-Udinese quindi San Siro riaprirà i battenti. Nel frattempo la Federcalcio cambierà probabilmente le sanzioni, e poi si vedrà, con buona pace delle regole e del loro rispetto.

    D’altronde lo si era capito da subito quale sarebbe stata l’antifona. Già dal postpartita di Juve-Milan giornalisti e addetti ai lavori avevano avviato l’offensiva per dimostrare che i cori intonati da quei simpatici goliardi dei milanisti altro non erano che meri sfottò campanilistici. Si sono poi fatti sentire i dirigenti di club, che hanno iniziato a formulare disquisizioni giuridiche sulla incongruità della sanzione della chiusura degli stadi in conseguenza dei comportamenti teppistici di, a loro dire, pochi pseudotifosi. Con il passare dei giorni si è inoltre palesemente manifestato il rischio, già materializzatosi domenica scorsa, del ricatto delle tifoserie più estremistiche: intonando cori discriminanti in ogni stadio avrebbero di fatto potuto bloccare il sistema calcio. Le istituzioni calcistiche infine hanno prontamente prospettato l’opportunità di ridiscutere le regole che avrebbero potuto causare conseguenze, a loro parere, aberranti.

    Insomma, siamo alle solite italiche manfrine. Come in ogni aspetto della nostra società anche nel mondo pallonaro non si riescono a far valere i più elementari principi di legalità. Ma come è possibile che, dopo anni di leggi, tornelli e presunte assegnazioni di posti nominali allo stadio, sia ancora possibile, per centinaia di tifosi, cantare ogni domenica cori che offendono non solo la squadra avversaria, ma anche la città e i suoi abitanti? Sì, è possibile. Anzi, visto che non riusciamo a mantenere in piedi un sistema imperniato sull’osservanza di poche basilari norme sportive, espressione di civiltà, queste norme, allora, le aboliamo proprio. Ma, d’altra parte, come la facciamo pesante noi napoletani, questi cori esistono da cinquant’anni, vuoi vedere che adesso, improvvisamente, non ci possono più chiamare colerosi e terremotati?

    Chi mi conosce sa che da anni cerco di persuadere mia moglie a trasferirci armi e bagagli a Punta del Este, per vivere beati  e sereni al sole del Sudamerica, sperando di costruire un futuro migliore per i nostri figli. Sarà dura convincerla, ma, prima o poi, ci riuscirò.

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