Napoletani en Barcelona, la nostra saudade raccontata da Marco Rossano

Abbiamo visto il documentario dell’autore partenopeo al Napoli film festival: c’è tutta la nostalgia dei nostri fratelli in giro per il mondo, aggrappati alla speranza che le vittorie degli azzurri possano riportarli a casa
  • di Errico Novi

    C’è una scena del film di Marco Rossano che non posso dimenticare perché l’avevo vissuta già. Davanti al Camp nou, prima di Barcellona-Napoli, l’amichevole dell’estate 2011, i ragazzi del Napoli club Barcelona si raccolgono dietro lo striscione a cantare “la nostra unica fede/ si chiama Napoli”. Li vedono altri tifosi azzurri che pur senza conoscerli si avvicinano e si mettono a cantare con loro. Avevano altre sciarpe, venivano da altri posti, ma in quel preciso istante nella loro testa si accende questa scintilla: “Io sono Napoletano, Napoli mi manca, è una ferita nel cuore, però questi ragazzi vivono la stessa cosa, sono Napoletani come me, e anche se cantare con loro per il nostro amato Napoli non potrà riportarmi là dove sono nato, basterà stare insieme e la nostra città riapparirà per magia”. La conosco bene quella scena perché mi capitò all’Olimpico, nel settore ospiti, durante quel Roma-Napoli del 2011 che vincemmo 2-0 con doppietta di Cavani. Al nostro secondo gol i ragazzi che stavano sparpagliati nella tribuna Monte Mario non ce la fecero più e cominciarono a correre verso il plexiglass che li divideva dal nostro pezzetto di curva. Batterono le mani sul divisorio,  ci riconobbero e si fecero riconoscere, e in quel momento è come se ci fossimo trovati tutti a piazza Trieste e Trento a cantare, ballare e piangere di gioia.

    Marco Rossano è un sociologo, regista e documentarista napoletano. Ha presentato il suo Napoletani en Barcelona al Napoli film festival, che si conclude domani. Proiezione al Pan, il Palazzo delle arti di via dei Mille, molti applausi e una bella discussione finale. Ha colto negli occhi dei suoi intervistati una cosa che dice tutto di come noi viviamo il pallone: la ricerca della bellezza di Napoli nella gioia per il calcio. Una scoperta che è anche il disperato tentativo di liberare l’anima della città dalla sua dannazione. Se questa cosa è vera e vale per tutte le volte che il Napoli gioca al San Paolo, o comunque davanti ai suoi tifosi, è molto interessante cogliere lo stesso sentimento nei napoletani che se ne vanno a cercare la loro vita altrove. A Barcellona in fondo c’è l’inganno di una distanza sopportabile, anche grazie al costo dei voli aerei sempre più contenuto. Ma è comunque una rinuncia, un distacco, anche se uno dei primi intervistati di Napoletani en Barcelona, un giovane farmacista, dice che “qui abbiamo ricreato una bella comunità”. Nel suo tono, nei suoi occhi e in quelli di Chiara, Marcello, Diego, si trova in realtà una malinconia che lo stesso regista a fine proiezione definisce “qualcosa di molto simile alla saudade dei brasiliani”. Tutte queste persone, almeno nel film, cambiano faccia solo in un preciso momento: quando si ritrovano al bar-pizzeria “Blau” per vedere le partite degli azzurri. Quando esultano per i gol, si abbracciano e cantano. Come se il Napoli fosse anche la speranza che potrebbe riportarli a casa.

    In fondo questa non è una suggestione così insensata: se il Napoli riesce a farsi rispettare persino nella massima competizione europea – quelle immagini risalgono alle partite della Champions con Mazzarri – allora vuol dire che c’è una possibilità di far rinascere la città anche in altri campi. E se questa possibilità si realizzasse, potere giurarci che tanti dei nostri, dei miei, coetanei che se ne sono andati tornerebbero di corsa. Quella gioia per i gol di Hamsik non è solo la celebrazione di un’appartenenza, ma è anche l’accendersi della speranza di un ritorno. Ed è tanto più vero questo segreto, quanto più ricorre nel documentario di Marco Rossano la sentenza di Erri De Luca, il suo epitaffio sul destino dei napoletani “emigrati” proposto in Napolide: se te ne vai da Napoli, non potrai mai più essere di nessun altro posto. A leggere le parole dello scrittore, in Napoletani en Barcelona, è Matteo Manfredi, un amico di Extranapoli, sociologo, ricercatore e fotografo partenopeo che ora da Barcellona se n’è andato addirittura a Guayaquil, in Ecuador. Appena arrivato nella “sua nuova città”, Matteo è andato nell’archivio-emeroteca comunale e ha ritrovato il Guerin sportivo mese di giugno 1987, con la “Moviola Samarelli”, cioè i disegni di tutti i gol del nostro primo scudetto. La nostra unica fede, si chiama Napoli.

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