Tu chiamale, se vuoi, emozioni

Come una semplice fotografia puó far scattare le lacrime
  • di Antonio Moschella

    Sette anni fa, mentre passavo oziosamente le ore di forzato ‘riposo’ dopo la laurea triennale, nell’accidioso incontro per una birra con gli amici di sempre, che ancora non avevano preso, come me, la valigia dell’emigrante, appresi dell’arrivo a Napoli di due calciatori, più giovani di me, ma piuttosto sconosciuti. I due, ritratti in questa foto scattata ieri sera, si presentavano a una folla di tifosi inferociti dalla mancanza di un mercato adeguato. In effetti, alzi la mano chi in quel preciso istante aveva immaginato che Marek Hamsik ed Ezequiel Lavezzi avrebbero scritto la storia del nuovo Napoli.

    Numero 7 e 17. Il primo, argentino, con una chioma lunga e ribelle e un abbozzo di sorriso, veniva da una realtà simile a quella napoletana, ma a parte qualche spezzone di video su Youtube si sapeva ben poco di lui. Il secondo, primo slovacco della storia partenopea, veniva da Brescia, tutto un altro mondo. Bastò pochissimo per imparare ad amarli. Le scorribande del purosangue di Rosario inziarono a far vibrare il San Paolo come non accadeva da 17 anni: in lui si rivedeva lo spirito di colui che mai sarà eguagliato quando si caricava il peso della squadra sulle spalle, veniva atterrato e si rialzava. I gol del futuro capitano, che ebbe un impatto fenomenale sul gioco della squadra, aumentavano ad oltranza i fenomeni di bradisismo di Fuorigrotta.

    I due arrivarono bambini, poco più grandi del Napoli, e lo fecero crescere insieme a loro, riportando gloria in una realtà culturalmente annichilita dalle vicende extra calcistiche. Lavezzi, che non poteva vivere fuori dalla sua prigione dorata di Posillipo, tenne duro per cinque anni, consapevole di dover regalare qualcosa ai napoletani. Lo fece nell’ultima partita, quella di Roma contro la Juventus, quando il suo scatto provocò il rigore che Cavani avrebbe trasformato in gol, sbloccando una partita tignosa. Le sue lacrime miste a grida alla William Wallace, mentre i tifosi gli strappavano finanche le mutande, compongono, per me, la seconda immagine più emozionante che il Pocho ci ha lasciato. La prima resterà per sempre quella dell’urlo dopo il 3 a 1 al Chelsea, quando lui, Hamsik e Cavani, fischiato ingiustamente ieri, raggelarono la mia pelle e fecero esplodere il mio cuore.

    La foto presa ieri mostra i due che si sorridono con una complicità da vecchi amici. Perché il calcio è un veicolo di umanità: spesso le migliori relazioni nascono passandosi un pallone, sia esso di spugna, di plastica o di cuoio. Festeggiare un gol, poi, moltiplica i sorrisi di chi lo ha fatto e di chi lo ha ideato, oltre a quelli del pubblico in estasi. In quella foto presa ieri c’è tutta la felicità di milioni di persone, che hanno gridato, pianto di gioia ed esultato a profusione grazie proprio al sorriso di Ezequiel e Marek, due figli di Napoli. Tu chiamale, se vuoi, emozioni.

     

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