Guagliù, non è il trofeo Berlusconi, è la Supercoppa!...

Non sottovalutiamo una grande impresa, che ha stordito gli juventini e che entra di diritto nella storia dei nostri trionfi indimenticabili, spesso arrivati proprio contro la Vecchia Signora
  • di Francesco Bruno

    “Vabbè, ma è una coppetta”. “E’ stata una bella vittoria, ma la vera finale l’abbiamo persa ad agosto, contro il Bilbao”. Parole in libertà, in un caffè napoletano, all’indomani della magica notte di Doha. Ma come è possibile lasciarsi andare a queste considerazioni, all’indomani di una soddisfazione così immensa? E’ proprio vero, il virus del disfattismo si è propagato in modo irreversibile nell’organismo di molti tifosi azzurri. Ma io non mi faccio contagiare, e dopo aver bevuto il mio caffè sono uscito dal bar fischiettando allegro e contento. Sì, perché questa partita all’antivigilia di Natale ha avuto per me un fascino particolare. E anche la location estera si è rivelata appropriata. Giocare la finale al San Paolo o allo Juventus Stadium avrebbe tolto il fascino del campo neutro, imprescindibile in partite del genere. E l’impresa in una cornice estera è stata anche la soluzione perfetta per proseguire sulla strada dell’internazionalizzazione del brand partenopeo. In Qatar poi, per una volta, pur giocando contro i bianconeri, non abbiamo ascoltato i soliti beceri cori anti-Napoli, anche se, a dire il vero, l’atmosfera, più che di una partita di calcio, sembrava quella di una tranquilla serata a teatro.

    Insomma, sarò pure provinciale, ma per me è stata una notte da Champions. Vincere una finale, come si diceva un tempo in eurovisione, battendo la Juve ai rigori dopo aver rimontato per due volte. Ma cosa si può chiedere di più a Babbo Natale? Quello contro i bianconeri è sempre stato il nostro personalissimo clasico. Sarà che la Juventus ha sempre rappresentato la Torino nebbiosa delle fabbriche verso cui esternare la nostra totale diversità partenopea, fatto sta che i nostri ricordi più belli riguardano quasi sempre epiche sfide contro la Vecchia Signora. Il primo flashback calcistico che mi viene in mente ad esempio è quello dell’esultanza da ragazzino in Curva B al pareggio dello sfortunato Gianni De Rosa nel Napoli-Juve dell’83-84. E mi commuovo ancora se penso al graffio maligno di Diego del 3 novembre del 1985 o se ritorno indietro al memorabile 3-0 in Coppa Uefa, con gol di Renica al 119esimo minuto. Se il coro più gettonato al San Paolo è ancora adesso “chi non salta bianconero è…”, negli anni ’80 e ’90 durante ogni partita casalinga a un certo punto, a prescindere dall’avversario, partiva “il lunedì che umiliazione, andare in fabbrica al servizio del padrone…”.

    Ma la vera novità da un po’ di stagioni a questa parte è che, anche se a Torino le prendiamo spesso e volentieri, fuori dal loro stadio li battiamo sempre noi. Come l’anno del rigore su Zalayeta e della serpentina di Gargano, come quando il Matador segnò una tripletta, come la finale di Coppa Italia con Lavezzi, come il campionato scorso. L’ha sottolineato anche Buffon, in una partita unica siamo avversari capaci di qualsiasi impresa. Glielo ricorderemo ancora il prossimo 11 gennaio, quando gli sventoleremo in faccia la Supercoppa fresca fresca di vittoria. Il fatto di avere instillato nelle menti juventine questa convinzione mi rende questo Natale davvero stupefacente, per dirla alla De Laurentiis. Ecco perché a Doha non abbiamo vinto il trofeo Berlusconi in versione invernale, ma una Supercoppa che vale un’intera stagione.

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