Da vittime a colpevoli, l’incredibile parabola dei tifosi del Napoli

Dopo gli spari di Roma si aprono altre ferite: quelle inferte da una stampa nazionale incompetente e superficiale
  • formiche.net

    di Domenico Zaccaria

    Da vittime a carnefici. Da bersagli umani a colpevoli. Da Ciro Esposito a Genny ‘a carogna. Sembra incredibile, eppure è così: dopo gli spari di Roma, in poche ore i tifosi del Napoli hanno dovuto assistere anche a questa assurda parabola. Colpa, innanzitutto, della vergognosa diretta televisiva di cui si è resa protagonista la Rai: un disgustoso misto di incompetenza giornalistica e di ricerca di comodi sensazionalismi. Un punto di vista acritico, incompleto e superficiale sull’intera vicenda che è stato poi cavalcato dalla gran parte della stampa nazionale.

    La bufala della trattativa

    Perché, d’altronde, chiedersi se lo svolgimento della partita è stato davvero a rischio? Meglio cavalcare la tesi della trattativa con gli ultras, di uno Stato impotente, di Genny ‘a carogna che decide per tutti. Possibile che a nessuno dei dieci giornalisti della Rai presenti all’Olimpico sia venuto in mente di contattare direttamente il Prefetto di Roma, come ha fatto alle 19.30 la collega di Repubblica Federica Angeli   (http://www.tuttonapoli.net/in-primo-piano/esclusiva-repubblica-angeli-aeoeho-parlato-col-prefetto-due-ore-prima-del-match-la-decisione-era-gia-stata-presa-nessuna-trattativa-ecco-la-dinamica-d-191946)? Avrebbero scoperto anche loro che la Prefettura aveva già deciso che in nessun caso la partita sarebbe stata rimandata, perché far evacuare 70mila persone dallo stadio sarebbe stato troppo pericoloso. Se anche un solo giornalista del Servizio Pubblico avesse seguito l’esempio della collega, l’intera telecronaca di quei concitati minuti che hanno preceduto il fischio d’inizio avrebbe assunto toni ben diversi. Un conto, infatti, è dire: “La partita si giocherà in ogni caso e lo slittamento è dovuto al fatto che, a seguito dei gravissimi episodi accaduti fuori dall’Olimpico, la Società di De Laurentiis ha ritenuto opportuno verificare le notizie circa la morte di un proprio tifoso, anche per informare i 30mila napoletani presenti allo stadio su ciò che è avvenuto, evitando in questo modo di surriscaldare gli animi con pericolose fughe di notizie”. E un altro conto è dire: “Non si sa se la partita si giocherà o meno…Hamsik cerca di convincere gli ultras a giocare…il capo della curva ha detto sì”. E così l’intera narrazione della vicenda ha preso una piega ben precisa e, per come purtroppo lavora la gran parte dei mezzi di informazione in Italia, una bugia si è propagata trasformandosi in verità assoluta. Il nodo centrale della vicenda non è stato l’agguato a colpi di pistola subito da un gruppo di tifosi napoletani, un fatto che non ha precedenti nella storia del calcio nel nostro paese, ma la maglietta “Speziale libero” di Genny ‘a carogna; lo “scandalo” è stata l’invasione di campo a fine partita di un centinaio di tifosi napoletani (hanno invaso anche ieri nel derby di Milano, ma vuoi mettere, lì lo fanno con stile) e non i cori “lavali col fuoco” che i fiorentini hanno intonato per tutta la partita anche in una situazione del genere, cori ai quali decine di migliaia di tifosi azzurri hanno replicato con applausi ironici. Lo scandalo è stato Hamsik che è andato a rassicurare i propri tifosi sul fatto che Ciro non fosse morto, e non che le forze dell’ordine non siano riuscite a garantire l’incolumità degli spettatori in una finale di Coppa Italia.

    Il senso di responsabilità dei napoletani

    Nessuno ha rimarcato come, se la situazione non è degenerata, lo si deve anche al chiarimento fra il capitano del Napoli e il capo ultras. E al senso di responsabilità mostrato dai tifosi azzurri. Solo chi non ha mai frequentato una curva in vita sua - tutti i giornalisti sportivi della Rai, evidentemente - non può rendersi conto di quanto sia pericoloso il momento in cui, tra migliaia di persone, inizia a spargersi la voce “hanno ammazzato uno dei nostri”. Di quanto, nelle dinamiche di gruppo che lo stadio inevitabilmente esaspera, ci sia il rischio che prevalga la voglia di farsi giustizia da soli. I tifosi del Napoli, fra una ridda di voci incontrollate e con i telefonini andati in tilt, hanno semplicemente chiesto di conoscere la verità. Di sapere se uno di loro era stato ammazzato come un cane per strada e se la propria squadra avrebbe giocato anche se c’era scappato il morto. Senza invadere il campo, senza cercare lo scontro con la tifoseria fiorentina. Sinceramente, che su quella balaustra della Curva Nord ci fosse Genny ‘a carogna o “Peppiniello ‘o gentiluomo”, a me non interessa; e dovrebbe interessare poco tutti coloro che si scandalizzano ogni volta che i capi ultras dimostrano il loro potere, prendendo decisioni che coinvolgono centinaia di ragazzi che li seguono senza batter ciglio. Di Genny ‘a carogna sono piene tutte le curva d’Italia, ma fra un mesetto se ne saranno dimenticati tutti. Il fatto che centinaia di ultras napoletani abbiano deciso, dopo il chiarimento con Hamsik, di non tifare per tutta la partita, di non esporre striscioni e di abbandonare lo stadio per assistere alla premiazione dall’ospedale in cui è ricoverato Ciro Esposito, non fa notizia. Così come ha poco appeal rimarcare il senso di responsabilità degli altri 25mila che hanno tifato in maniera composta e non hanno reagito alle provocazioni dei fiorentini. No, il punto centrale su cui dibattere è la maglietta “Speziale libero” del capo ultrà, oppure l’invasione di campo di cento cretini a fine partita. Nel frattempo è accaduta una delle cose più gravi nella storia del nostro calcio: colpi di arma da fuoco esplosi da un tifoso (o da un gruppo di tifosi?) di una squadra che quel giorno nemmeno giocava. Ma perché parlarne, vuoi mettere quanto fa notizia la trattativa tra lo Stato e uno che andrebbe scritturato per la fiction Gomorra?

     

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