L'albero dei gufi stavolta è diventato delle scimmie

Il calcio dovrebbe prendere le distanze da simili fenomeni, occorre andare oltre le parole.
  • di Lucio Fava Del Piano

    Questa settimana non ho voglia di occuparmi di gufi. Anzi, questa settimana non ho voglia di occuparmi di calcio. E non c'entrano Benitez, una Roma in versione Chievo, Tagliaventus travestito da Rizzoli, il fu José Mattia Callejòn e il risorto De Sanctis, Hamsik malinconico in panchina e gli infiniti signor io l'avevo detto della stampa napoletana.
    Questa settimana tocca occuparsi di un'altra specie animale, dalle vaghe sembianze umane, che ogni 15 giorni scende dall'albero per andare a riempire la curva sud dello stadio Olimpico, o altre curve di altri stadi. E canta cori, e mostra striscioni, e tollera gli uni e gli altri, ponendosi al di fuori dei confini della razza umana.
    Perdere un figlio è un tragedia. Perdere un figlio per una partita di pallone è una cosa inimmaginabile. Perdere un figlio sparato a caso fuori da uno stadio è una roba talmente immane da giustificare qualsiasi dolore e qualsiasi reazione.
    Il dolore di Antonella Leardi è stato di una compostezza fuori del comune, la sua reazione è stata condita non da parole di odio, ma da parole di perdono. L'unica cosa che chiede è che quello che è accaduto a suo figlio Ciro non possa accadere mai più.
    Insultarla come è stato fatto ieri all'Olimpico, accusarla di "lucrare" e di fare "business" sulla morte del figlio - ignorando peraltro, o fingendo di ignorare che i fondi raccolti con libri e in altri modi sono dati in beneficienza, anche all'ospedale di Roma presso il quale Ciro è stato ricoverato prima di morire - è un comportamento di una tale miseria, di una tale infamia, di una tale violenza da non lasciare spazio a ulteriori commenti.
    E francamente uno stadio che non prende le distanze, una società che si lava pilatescamente le mani e rifiuta di commentare e una tifoseria che sui social si arrampica sugli specchi per spiegare, giustificare o addirittura difendere non sono tanto diversi da chi ha pensato, scritto ed esposto certi striscioni.
    Certe persone non devono mettere piede in uno stadio mai più. E lo Stato, il sistema calcio, le società e le tifoserie sane (se ancora esistono) devono avere questo obiettivo come priorità assoluta. Unica.

     

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