E se diciamo che questo Napoli è più forte di quando c'era Diego, per voi è una bestemmia?

Mai visto tanto equilibrio tra fuoriclasse e organizzazione di gioco. Neanche negli anni 80, quando battere il supercollettivo di Sacchi a S. Siro era il nostro tabù
  • Foto: ilcatenaccio.es

    di Errico Novi

    Non è una partita qualsiasi. Sarà un classico per sempre. Perché le sfide scudetto tra il Napoli di Maradona e il Milan di Sacchi resteranno nei libri di storia del calcio. Ma oggi, a 27 anni di distanza dall’ultima vittoria, il profumo di quei big match torna più intenso. Siamo forti, possiamo puntare allo scudetto, la sfida col Borussia ce lo ha detto chiaro chiaro. E se siamo così convinti, se andiamo a San Siro con la sensazione che questa può essere la volta buona, se insomma proviamo un’ebbrezza che ci mancava proprio da tanto, forse possiamo azzardare una domanda: ma non è che siamo più forti oggi di quando c’era Diego?

    Direte che una bella vittoria in Champions può dare alla testa. Proviamo a convincervi. Partiamo da un dato. Con il Napoli degli scudetti a San Siro le abbiamo prese spessissimo, e di brutto: l’anno in cui regalammo il tricolore al Milan innanzitutto, cioè l’87-88 (4-1); l’anno dopo ancora (un altro 4-1); l’89-90 fu il campionato del tricolore bis, rifilammo 3-0 ai rossoneri in casa e ce ne uscimmo 3-0 per loro dal Meazza al ritorno; nel 90-91 ricominciammo con i 4-1 (e Maradona c’era ancora). Strano, eh? In casa, per carità, spesso rispedivamo Gullit e compagni con molte pive nel sacco, ma insomma batterli era sempre un’impresa epica e in casa loro non ci riuscivamo mai. Come Francesco Albanese ricorda in un altro articolo, per trovare una nostra vittoria a San Siro bisogna risalire all’85-86, la stagione precedente a quella del nostro primo scudetto.

    Cos’è che mancava a quel Napoli, pure così forte, per espugnare il Meazza? Il punto è che di fronte avevamo un avversario che faceva del collettivo, prima ancora che dei suoi pur celebrati campioni, la propria vera forza. E noi che pure eravamo una squadra straordinaria potevamo soffrire parecchio l’altrui organizzazione di gioco, almeno in condizioni ambientali particolari: di fronte a formazioni come il Milan si svelava infatti il nostro limite, quello di essere un eccezionale combinato di campioni, ma non un proprio un modello quanto a sistema di gioco.

    Ecco qual è il punto. Oggi noi siamo forti in egual misura per il valore dei singoli e per l’efficacia del sistema di gioco. Non c’è Maradona, che è unico e irripetibile, ma ci sono comunque campioni di spessore internazionale, forse più di quanti ce ne fossero allora. Diego a parte, i nostri nazionali erano Bagni, Ferrara e Carnevale. Oggi abbiamo il centravanti dell’Argentina, un portiere e un difensore centrale campioni del mondo con la Spagna, due titolari della nazionale italiana (Maggio e Insigne), senza considerare l’arruolamento dell’intero centrocampo titolare svizzero e, soprattutto, il capitano della piccola Slovacchia che è forse il calciatore più forte del campionato. Benitez ha portato una mentalità da “squadrone” che nei mitici anni Ottanta spesso franava (in Europa, per esempio). Giochiamo con un modulo che i giocatori hanno assimilato benissimo e a tempo di record, persino in  difesa dove pure scontiamo gli unici veri punti deboli.

    Ci può stare il paragone, eccome. L’equilibrio tra qualità dell’organico e organizzazione è molto più solido oggi. Quello era un altro calcio, certo, in cui l’applicazione tattica non era ancora così esasperata, e in cui il fatto di avere in squadra almeno un grande campione bastava a fare la differenza. Questo è chiaro. Ma la tentazione di dire che sì, oggi siamo ancora più forti, c’è. È una bestemmia, direte. E chissà forse lo è. Bisogna dimostrare di essere forti con le vittorie, potrete aggiungere. E qui la parola va lasciata agli azzurri. Facciamo fare a loro. E se il sogno si realizza, ci sarà modo per tornare a fare i confronti e discutere. Non vediamo l’ora.

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