Benitez non ha capito il calcio italiano? Semmai è vero il contrario

Cos'è cambiato dal preliminare di Champions League? Non certo l'allenatore spagnolo, che ha saputo mantenersi calmo e lucido nel mare in tempesta. Il sospetto è che per un calcio come il nostro, uno così sia un lusso. Sia "troppo"
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    di Boris Sollazzo

    “Cos’è cambiato? Fortuna e giocatori”. Il bello di Rafa Benitez è che non lo vedrai mai trascinato dalla contingenza, ma solo ed unicamente consapevole del suo progetto. A chi gli fa notare che nelle ultime sette partite il Napoli ha fatto 17 punti (più di tutti), che negli ultimi 300 minuti non ha subito neanche una rete, che fino a 10 giorni fa volevano esonerarlo tutti – o almeno tre su quattro, secondo un sondaggio sul Mattino di Napoli – e che ora è terzo da solo, lui risponde “siamo gli stessi di Napoli-Chievo: anzi lì giocammo meglio, facemmo 33 tiri in porta”.

    Ha ragione lui. Ha torto solo sulla sfortuna: quella non è passata, anzi. Più di trenta occasioni da rete chiarissime negli ultimi sette giorni hanno portato solo a sei gol, contro Inter e Atalanta i finali sono stati assurdi e irripetibili, Zuniga ormai si è ridotto a trattamenti sperimentali con le staminali e sembra a un passo da una parabola alla Van Basten (si vocifera di un prematuro e travagliato ritiro), Lorenzo Insigne, finalmente trasformatosi da promessa a campione e uomo più in forma della rosa, si è rotto il crociato e tornerà, forse, a fine stagione.

    Il torero Camomillo, deriso nonostante un curriculum che fa impallidire qualsiasi altro suo collega che alleni nella nostra serie A, incalzato da telecronisti tifosi e giornalisti che insultano nuora perché suocera (De Laurentiis) intenda, spesso perché il presidente non consegna più i privilegi di un tempo, è tornato profeta. E’ tornato Matador. Lui è sempre lo stesso, anche se i più spudorati dei suoi detrattori provano a sostenere che il mister li abbia ascoltati e che le loro critiche abbiano permesso a lui di riflettere e correggersi. Svergognati e presuntosi.

    Lo hanno contestato per un modulo granitico? Non lo ha cambiato mai, al massimo ha avanzato Jorginho sulla linea dei trequartisti, soluzione che con la drammatica assenza di Insigne vedremo sempre più spesso.

    Hanno stigmatizzato il suo turn-over? E lui, dopo i sette cambi a Berna, dove il Napoli ha subito una brutta sconfitta, contro lo Young Boys al San Paolo si è trovato così d’accordo con loro che ne ha sostituiti addirittura otto. Stravincendo.

    I soloni volevano Mertens in campo, lui ha tenuto Insigne anche quando tutti lo fischiavano e altri Raffaele lo davano già altrove. Lorenzo è stato il segreto della rinascita e ora è il centro di tutte le preoccupazioni azzurre, proprio perché Dries non dà le garanzie dello scorso anno.

    Lo hanno scherzato per il mercato: ieri i migliori in campo, oltre a Higuain, sono stati Koulibaly e David Lopez.

    Non è cambiato Rafa, però, ma il vento della sorte che ha soffiato sulle banderuole dei potentati del Nord – Mediaset Premium esclusa, perché il Napoli nell’Europa League che ha in esclusiva porta parecchi soldini in cascina – e sui servitori di più padroni che scrivono sui giornali, parlano in radio e vanno in tv sul Golfo.

    Dà fastidio quest’uomo colto e con un carattere forte, che a ogni conferenza stampa (di)mostra la pochezza di chi gli fa le domande, che magari preferisce ai piccoli ras dei quotidiani, agli ex dipendenti della società, a quelli che vorrebbero esserlo, un sito internet. Dà fastidio chi non considera Napoli con la condiscendenza, il fatalismo e la sottovalutazione costante con cui gli stessi napoletani la guardano. Dà noia chi pensa che nel capoluogo campano si possa vincere, diventare grandi e non sperare solo nell’avvento di una divinità come Diego Armando Maradona.

    Il Napoli sta vivendo un progetto ambizioso, a medio e lungo termine. Vincere, senza fallire. Crescere, senza strappi. Essere grandi, senza il campione inarrivabile. E se ripercorrete gli ultimi dieci giorni, troverete i migliori azzurri di questi due anni, con giocatori senza un grande nome ma con un eccellente rendimento. La tripletta europea di De Guzmàn (e i suoi ultimi 20 minuti a Firenze), l’efficacia del bistrattatissimo David Lopez, l’incredibile talento di Kalidou Koulibaly fanno ricredere molti anche sul valore di un calciomercato che comunque manca del pezzo da 90 cercato a lungo e mancato di poco, per colpa del preliminare, trattative forse troppo complesse e l’assenza di grandi patrimoni a cui attingere.

    In mezzo c’è questo allenatore di altissimo livello, morale, intellettuale, tecnico e tattico. Che non si lamenta mai, che non cerca mai giustificazioni. Non lo farà neanche dopo la sosta, quando la rincorsa a un sogno si troverà monca di Zuniga e Insigne, tasselli fondamentali a cui i rinnovi contrattuali non han portato una grande fortuna. Perché i grandi giocano, non piangono. Lamentandosi magari della pioggia

    Benitez è sempre rimasto un fenomeno, il migliore acquisto del calcio italiano negli ultimi anni. Il problema è che la serie A è diventata così squallida, che uno come lui rischia di essere un lusso.

    Hanno detto, in queste settimane, che il buon Rafa non ha capito il calcio italiano. Ma la verità è esattamente il contrario. Un calcio così avvilente non può arrivare a capire lui. Parlano due lingue diverse. 

    (da Il Garantista dell'11/11/2014)

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