Gonzalo, la paella, il Napoli: sin prisa, sin voce. Storia di una trasferta molto particolare

Il cantautore-tifoso, Alessio Capone, ci fa una cronaca appassionata e ironica del suo Busto Arsizio- Torino- Busto Arsizio, seguendo il suo cuore azzurro. Messo a dura prova da un Napoli brutto ma vincente
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    di Alessio Capone

    Solo che questa volta è lunedì, si lavora. Mi sveglio, mando qualche comunicazione a clienti e colleghi, poi vado verso Bergamo a controllare qualche punto vendita. L'appuntamento è alle 16.20 a Milano. Questa volta si va in auto, perché il bus organizzato dal club parte troppo presto e alcuni di noi non si possono permettere troppe ore di permesso dal lavoro. Quasi da scriverci una canzone, anzi, la scriverò; qualcosa tipo: "Io pensavo ai ragazzi e li vedevo d'azzurro vestiti e al 17 del mese i nostri Rol erano già finiti". Siamo quasi tutti in ritardo e ovviamente c'è anche mio fratello Nicolò. Anche perché se dovessi permettermi di andare allo stadio senza di lui, in quel caso, la canzone già ci sarebbe e dovrei solo cantarla: "Mio fratello è figlio unico".

    Ore 16.40. Si parte. Siamo distribuiti in due vetture e, insieme a me e mio fratello, ci sono Armando e Alessandro che, a differenza di Bologna, questa volta non ha preparato i casatielli. Eh sì, le trasferte in settimana sono diverse. Ovviamente guido io, oramai la manopola del cambio della mia auto è un prolungamento del mio corpo. Se andrò all'inferno la mia punizione sarà quella di pensionare Caronte e traghettare le anime su di un’auto aziendale. E ci saranno code anche lì. Ma chi se ne frega, se poi Gonzalo nostro sarà la mia Beatrice? Non c'è tempo per alcuna sosta in Autogrill, siamo in mega ritardo. Imboccata la tangenziale di Torino, ovviamente, troviamo coda per un veicolo fermo. Secondo me, lo ha fatto apposta ed è Mazzoleni in avaria in mezzo alla strada.

    Arriviamo a partita già iniziata, per la seconda volta entro nel settore ospiti in ritardo e senza tessera: la mia prima volta accadde nella Genova di sponda rossoblu e poi andò bene. Lo stadio Olimpico di Torino è uno stadio bellissimo e affascinante. La partita e i cori, invece, sono una noia totale. Tra i reciproci "Siete come la Juve" e i vari "chi non salta è", "Torino puzza di merda" e "noi non siamo napoletani", penso che di questo passo, a furia di cantare cosa non siamo, dimenticheremo tutti per che squadra tifiamo. Che palle. Intanto il mio Napoli sembra aver mangiato mele cotte dalla flemma che ci mette in campo. Palo del Toro, non so chi abbia tirato perché vedo i giocatori come in quel gioco del game boy, "Kick off": sono dei puntini. Io sto soffrendo tantissimo. Fine primo tempo. Veronica tira fuori la frittata di maccheroni. Non ce la posso fare, sono teso e giochiamo malissimo, sai che incubi se la butto giù!

    È di te, è di te, è di te. Io mi nutro di te.

    Il secondo tempo decido di guardarlo in piedi, a costo di cantare solo, perché cazzo altrimenti me ne andavo in tribuna, dove avrei avuto i posti riservati dal mio biglietto. Mi sembra vada meglio. Secondo palo del Torino. Ho veramente una percezione di merda di ciò che vivo. L'ultima volta che andai allo stadio e che gli avversari presero due pali era la mia prima al San Paolo contro la Samp. Anche in quel caso poi andò bene. Mertens ci sta provando da ovunque adesso (che potrebbe anche passarla ogni tanto). Questa volta, a differenza di quella volta al San Paolo, non ho bevuto birra belga; infatti, Mertens il belga non segna. Però chissà, Gonzalo nostro, quanta paella si è mangiato in tutti quegli anni a Madrid. La sera prima la Francy Pi mi ha fatto il riso gamberi e zucchine: è una mezza paella e infatti, all'ultimo minuto, Pipita mio tira fuori un mezzo gol, sporco, con le unghie e con i denti. "Higuain" a ripetere, anche questa volta, come a Bologna, mi ribalta da dentro. Mi dà una forza pazzesca, quel mantra. Sono letteralmente senza fiato, dopo quell'urlo, al punto che non riesco nemmeno a cantare "alé alé alé Napoli alé". Batto solo le mani e guardo in alto respirando profondo per recuperare ossigeno. "Oi vita mia": per quello ci sarà sempre fiato.

    Dopo una lunga attesa, finalmente aprono i cancelli e possiamo tornare alle auto. Alle 00.40 varco la porta di casa. Mi sveglio, il mio motto di oggi è "sin prisa pero sin voce". Arrivato ai quarant'anni credo proprio mi toccherà scegliere se smettere di tifare o smettere di vivere.

    È per te, è per te, è per te. Io lo faccio per te.

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