E invece io dico che il nostro “re nudo” non ne azzecca una

La favola insegna che pur di compiacere il sovrano si arriva a negare l’evidenza: questo fanno i consiglieri di De Laurentiis, e lui dovrebbe cambiarli. Anche perché i napoletani considerano il Napoli una loro proprietà, e non perdoneranno altri errori
  • di Nello Del Gatto

    “Un imperatore vanitoso era completamente dedito alla cura del suo aspetto esteriore, e in particolare del suo abbigliamento. Un giorno due imbroglioni giunti in città spargono la voce di essere tessitori e di avere a disposizione un nuovo e formidabile tessuto, sottile, leggero e meraviglioso, con la peculiarità di risultare invisibile agli stolti e agli indegni. I cortigiani inviati dal re non riescono a vederlo; ma per non essere giudicati male, riferiscono all'imperatore lodando la magnificenza del tessuto. L'imperatore, convinto, si fa preparare dagli imbroglioni un abito. Quando questo gli viene consegnato, però, l'imperatore si rende conto di non essere neppure lui in grado di vedere alcunché; attribuendo la non visione del tessuto a una sua indegnità che egli certo conosce, e come i suoi cortigiani prima di lui, anch'egli decide di fingere e di mostrarsi estasiato per il lavoro dei tessitori. Col nuovo vestito sfila per le vie della città di fronte a una folla di cittadini i quali applaudono e lodano a gran voce l'eleganza del sovrano, pur non vedendo alcunché nemmeno essi e sentendosi essi segretamente colpevoli di inconfessate indegnità. L'incantesimo è spezzato da un bimbo che, sgranando gli occhi, grida con innocenza: ‘Ma il re non ha niente addosso!’; una variante della frase fatidica è ‘il re è nudo!’. Ciononostante, il sovrano continua imperterrito a sfilare come se nulla fosse successo”. (da Wikipedia)

    Questo è il sunto di una favola scritta da Handersen nel 1837, come metafora del fatto che per asservire e compiacere il potente di turno, si taccia l’ovvio. Nel mondo anglosassone è in uso anche l’espressione “non vedere un elefante nella stanza”, come di cosa impossibile da non vedere e tacere.

    Nel nostro caso, il re non solo è nudo, ma è anche solo. È nudo perché chi gli sta intorno non gli racconta la verità. È solo, perché chi gli sta intorno se li è scelti lui. E probabilmente non ha fatto un’ottima scelta. Il re in questione (il cui ruolo di monarca non gli dispiace, anzi) è ammalato di protagonismo, di annuncite. E per questo ha scelto il palcoscenico più adatto, quel Napoli che riesce ad innalzare all’Olimpo o buttare chiunque nella polvere in nanosecondi. Il nostro re ha pensato di diventare un novello Lauro, ma del Comandante gli manca la capacità comunicativa. Nonostante sia uomo di comunicazione, non buca, non sfonda. Anzi, sbaglia. Intorno dovrebbe avere professionisti in tal senso, che invece sbagliano strategia. Insieme al suo omologo della Sampdoria (entrambi provenienti dal mondo del cinema, ci sarà qualcosa in comune?) sono i più ricercati dalle televisioni, facendo notizia anche quando restano in silenzio e si eclissano, come accaduto nello scorso campionato. Il nostro re ha il merito di essere un ottimo imprenditore, uno che, come tale, vuole guadagnare dall’investimento che fa. A parte la parentesi l’anno scorso, l’investimento lo ha ripagato. Ma un imprenditore quando sbaglia si assume le responsabilità dei propri errori. Un re no. Le scarica sugli altri. Come se io fossi un produttore cinematografico, sbaglio regista, soggetto e attori (anche solo uno dei tre) e se il film non incassa do la colpa al pubblico che non va allo stadio o ai gestori dei cinema. L’imprenditore sa che il primo errore è quello di accettare consigli da persone sbagliate e il primo pregio è di cambiare quelle persone. Sa che con i manager giusti al posto giusto si va avanti, non al contrario. Sa che se si mette il motore di una cinquecento su una Ferrari non si fa molta strada o, comunque, la si fa male e troppo lentamente, sprecando le risorse dell’acquisto dell’auto e le sue potenzialità. Al re queste cose non interessano. Lui è contento dei suoi giullari, di coloro che continuano a dirgli che è vestito benissimo quando invece è nudo.

    Io parto dal presupposto che il re in fondo parta con le migliori intenzioni. Ma non si rende conto di chi ha accanto. Lo suppongo per il fatto che un investimento sbagliato lo porterebbe alla rovina. E nessuno vuole essere rovinato. Non solo: da re populista, vuole essere ricordato come quello ha fatto del bene, non certamente come quello che ha affossato il regno. A Napoli si è amato Gioacchino Murat, che si è addirittura messo contro suo cognato (un certo Napoleone, mica Giggino il cantiniere) e Francesco II, due agli antipodi, ma capaci di infiammare le piazze. Cosa che manca al nostro re in particolare per il fatto di non aver saputo, soprattutto negli ultimi tempi, fatto seguire i fatti alle parole. Forse per i suoi consiglieri, forse per sua testardaggine, il nostro re si è incaponito con riforme che ne hanno limitato il regno: prima fa tutte quella dei diritti di immagine, scoglio spesso insormontabile per accaparrarsi i migliori ufficiali. Il nostro re non ha capito, forse, che nel suo regno i sudditi credono di essere i proprietari del regno (così sono abituati a pensare) e lui ridotto ad essere colui che deve finanziare i loro sogni. Non è impossibile da realizzare: basta saperlo comunicare, basta avere intorno le persone giuste.

    Il re parla di progetto (e non mi riferisco a quello dell’ammodernamento della reggia), ma fino ad ora non si è vista molta progettualità. Si è passato da un progetto internazionale ad uno legato all’italianità e ai giovani. Durerà?

    Il re è nudo e solo, e sono sicuro che lo sappia. È un abile imprenditore e certamente non uno stolto. E allora, perché continua a frequentare cattive compagnie che, tra l’altro, lo espongono ad assurde e ridicole situazioni indegne di lui e del suo regno? Perché si ostina su progetti che, ad oggi, si sono rivelati fallimentari rispetto alle premesse? Si sente dire in giro che molti ufficiali non vogliono entrare nel nostro esercito. Perché? Mi vengono in mentre tre ragioni: ambiente, contratto o motivazioni squadra. Due su tre sono direttamente addebitabili a lui, la prima di rimbalzo.

    Sua maestà, il consenso non è una cosa che si guadagna con la simpatia (cosa che peraltro lei non possiede a secchiate) e neanche con i soldi. Ma con l’impegno e la verità. Incolpare sempre gli altri per errori non è la strada giusta.

    Condividi questo post