C'era un ragazzo che, come me, amava i Beatles e il Napoli...

Ci voleva un cantautore per rendere poetica la divisione in atto tra ottimisti della volontà e pessimisti della ragione partenopei. E per farlo, vola alto: altro che Higuain e Hamsik, qui arriviamo addirittura ai Fab Four
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    di Alessio Capone

    Uno degli elementi fondamentali che fa sì che i Beatles siano da sempre la mia band preferita, senza se e senza ma, va individuato nella presenza di due personalità forti, molto diverse fra loro, ma ben assortite come Lennon e McCartney. Uno scontro fra titani, non solo musicalmente, ma anche come filosofie di vita e di pensiero. Il primo sognatore, sì, ma estremamente pessimista e il secondo, invece, emblema dell'ottimismo e della freschezza. E questa dicotomia beatlesiana viene perfettamente riassunta e immortalata in quel pezzo dove il canto di McCartney "it's getting better all the time" viene seguito e rincorso dal controcanto di Lennon che sembra un vero e proprio ribattere "it can't get no worse" ("Getting better", da "Sergent Pepper's lonely hearts club band", 1967). Canzone firmata da McCartney dove il nostro, appunto, canta di un momento, una vita, che sta andando sempre meglio e dove Lennon gli fa da contraltare in quella seconda voce che ribatte decisa e graffiante: non può andare peggio.

    Ho sempre vissuto il Napoli dell'ultimo decennio con filosofia McCartiana, con la freschezza e il positivismo che si respirano nelle sue ballate e marcette incalzanti, ma da un po' di tempo, complice anche l'influenza dei tifosi più negativi, ho dei dubbi. Di sicuro so che i tifosi del Napoli si possono tranquillamente dividere in due grandi fazioni: da una parte i Lenonniani e dall'altra i McCartiani. Da una parte gli incontentabili, papponisti che si angosciano per un mercato che stenta, che non potrebbe andare peggio e per un presidente che non cacc' e sord' (ma badate bene, sono comunque dei gran sognatori, come Lennon appunto) e dall'altra gli accontentabili, aureliani, filo-presidenziali che vedono positivo, convinti del fatto che andrà sempre meglio e che trasmettono solarità e freschezza. I primi tacciano i secondi di essere degli illusi, di vivere con gli occhi chiusi, di mal interpretare la realtà dei fatti, come in quella canzone di Lennon, appunto: "living is easy with eyes closed, misunderstanding all you see" ("Strawberry Fields Forever", da "Magical Mistery Tour", 1967). I secondi, invece, in maniera più serena tentano di trasmettere un po' di positivismo per scacciare le angosce dei primi (o almeno così sperano), ricordando a tutti il passato, esortando tutti a godere di una nuova iurnata e sole, sostenendo di avere qualcosa di cui ridere ed essere positivi. Come in quella canzone di McCartney, guarda caso: "Good day sunshine! I need to laugh, and when the sun is out I've got something I can laugh about" ("Good Day Sunshine", da "Revolver", 1966).

    In mezzo non può che esserci lui: Aurelio De Laurentiis, (s)oggetto del contendere. Pappone avaro o napoletano vero che cerca riscatto insieme ad un popolo? Io non lo so più. Parliamo di un accentratore a livelli estremi, gira tutto intorno a lui, solo che lui non è Megan Gale. Un uomo che vive costantemente proiettato in sé stesso (negativo o positivo, scegliete voi). Il primo presidente introspettivo nella storia del calcio, un uomo alla ricerca della verità dentro di sè, la sua filosofia è: io, me stesso, mio. E di certo anche lui trova conforto nei Fab Four, in quella canzone che fa "all through the day, I, me, mine, I, me, mine, I, me, mine" ("I,Me, Mine", da "Let It Be", 1970). Pezzo firmato da un terzo incomodo: il buon Harrison. Quest'ultimo, a differenza di De Laurentiis, si è sempre districato e dimostrato accomodante nei confronti delle due forti personalità di cui sopra.

    Di certo abbiamo tutti nelle orecchie l'urlo del San Paolo e negli occhi i suoi spalti gremiti e festanti. Perché il Napoli è la nostra Penny Lane: "Penny Lane is in my ears and in my eyes!" ("Penny Lane", da "Magical Mistery Tour", 1967). 

    Infine, c'era un ragazzo, che come me, amava i Beatles e il Napoli. Infine, ci sono io che tra queste due filosofie così forti e difficilmente intaccabili non so scegliere, come, del resto, quando mi chiedono chi preferisco tra Lennon e McCartney non so mai rispondere. Posso solo dire a tutti voi: rilassatevi, it's only rock 'n' gol guys! A me non rimane altro che mettermi la dietro, dove stava Ringo Starr, perché un charleston e un rullante sono già abbastanza per me. Voi ditemi quando c'è da suonare che il mio "stum cha" arriverà preciso e regolare. E se mi concederete spazio, canterò quella canzone del mitico Ringo "don't pass me by, don't make me cry, don't make me blue, 'cause you know darling I love only you" ("Don't pass me by", da "The White Album", 1968). Perché se mai questa band dovesse sciogliersi, come del resto fu per Ringo, io sarei uno di quelli che più ne soffrirebbe e che verserebbe più lacrime.
    Perché non contano i soldi o i colpi di mercato, conta solo e soltanto l'amore. I love only you. Amo solo te. 

    Forza Napoli. 

    Sempre, comunque e dovunque.

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