Ultras livornesi, ultimi mohicani della politica in curva

Sopravvivono a un’ondata repressiva che tende a cancellare dagli stadi sia il tifo militante che la politica. E lo devono alla saldatura del loro tradizionale antagonismo rosso con l’unica identità residua nelle curve: il conflitto con la polizia
  • di Errico Novi

    Certo, i dati parlano chiaro: con la tessera del tifoso gli incidenti allo stadio sono diminuiti. Di almeno il 31%, secondo l’ultimo rilevamento completo oggi a disposizione, quello tra lo scorso campionato di serie A e la stagione 2011/2012. In mezzo agli ingranaggi di una strategia repressiva decisamente più sofisticata che in passato ci finisce la cultura antagonista delle curve. Dalla fase della sua prima diffusione, tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta, il movimento ultras non era mai stato così in affanno. Da molti stadi scompaiono persino gli striscioni dei gruppi (vedi il caso Napoli), il più delle volte si rinuncia alle trasferte per non soggiacere all’obbligo della “schedatura”, e si dissolve ogni velleità di trasformare le gradinate in luoghi di aggregazione politica. Dinamica che invece si era ben osservata soprattutto nei primi anni di diffusione del fenomeno ultras. E che poi era tornata a inizio anni Novanta con declinazioni destrorse decisamente più consistenti che in passato. Oggi sugli spalti prevale una tendenza all’autocensura anche rispetto alle manifestazioni dell’identità politica. Diventano poi delle vere e proprie rarità le tifoserie schiettamente di sinistra. È così in realtà già da una decina d’anni. C’è un’eccezione, vistosissima: riguarda appunto la curva del Livorno. Una tifoseria che fino a metà degli anni 2000 si è organizzata attorno alle storiche BAL, Brigate autonome livornesi. Dopodiché una raffica record di Daspo determinò l’oggettiva scomparsa di quella sigla.

    Livorno-Verona dell’ottobre 2012

    Nonostante i duri colpi della repressione, la Nord dell’Armando Picchi continua a essere uno dei pochissimi casi di curva decisamente rossa tra le tifoserie italiane. Se n’è avuta una dimostrazione anche un po’ parossistica esattamente un anno fa, in occasione di Livorno-Verona del 20 ottobre 2012. Dal settore gialloblù partì un indegno coretto di insulti a Piermario Morosini, concepito però come risposta a un altrettanto indegno “pure voi, pure voi, nelle foibe ci mettiamo pure voi” intonato dagli amaranto, sulle note (pensate un po’) dell’indimenticabile "Maradona è megl’e Pelè". Estremo, ma al punto da suonare persino un po’ teatrale. Come se gli eredi delle mitiche BAL interpretassero più o meno consapevolmente il soggetto della perfetta tifoseria rossa. Un po’ come il Buffalo Bill che finì per immergersi in un’infinita tournée in cui reinterpretava sempre se stesso. A Livorno insomma si sentono dei reduci, dei sopravvissuti. E quindi tengono a dare segno della propria esistenza.

    Culture e sottoculture giovanili: la grande desertificazione

    Non si sbagliano, i tifosi amaranto. Perché la loro è non solo una delle ultime curve inequivocabilmente rosse rimaste in giro, ma anche una tra le poche ormai in cui davvero si riconosca una spiccata connotazione politica. L’ondata della Tessera del tifoso ha infatti trascinato via con sé gran parte delle espressioni identitarie extrasportive radicatesi negli stadi italiani. C’è una desertificazione delle culture e delle sottoculture giovanili che per decenni avevano quantomeno alimentato una pulsione aggregativa. Non è un caso che almeno fino all’ulteriore inasprimento imposto con la legge Maroni, avessero resistito meglio le curve di destra. L’identità “nera” infatti si può sviluppare anche come appartenenza più estetizzante che ideologizzata. Croci celtiche e saluti romani possono prevalere anche nella rarefazione della consapevolezza politica, grazie a quella dinamica, perfettamente illustrata da Ugo Maria Tassinari in Fascisteria, secondo cui il “nero” nell’estremismo politico è spesso la somma di tutti gli altri “colori”.

    La difficile resistenza dei “rossi”

    L’appartenenza rossa invece si lega in genere a un retroterra più strutturato, ai centri sociali attivi in quella città, a movimenti antagonisti che nascono ben al di fuori degli stadi. Presupposti che tendono progressivamente a scomparire, al pari del movimento ultras. Già secondo la mappa sul tifo politicizzato fornita dall’Osservatorio del Viminale subito dopo l’assassinio di Gabriele Sandri dell’11 novembre 2007, le curve davvero rosse della Serie A erano solo 4: Atalanta, Genoa, ovviamente Livorno, e Sampdoria. Nello stesso censimento, le tifoserie classificate come “di destra” o “di estrema destra” erano almeno 11. Una geografia completamente diversa rispetto a quella degli anni Settanta: all’epoca i settori caldi del tifo romanista e milanista, per esempio, erano nettamente collocabili nell’alveo dell’extraparlamentarismo di sinistra.

    Antagonismo politico e conflitto ultras-polizia: la coincidenza che salva Livorno

    Livorno sopravvive come curva “di sinistra”, e soprattutto come curva politicizzata, grazie al sovrapporsi della propria tradizione identitaria “rossa” con l’unica tendenza “politica” comune a tutte le tifoserie italiane: l’odio verso le forze dell’ordine. È quest’ultimo una forma di antagonismo residuale, quasi autosegregativo, per gli ultras italiani. Ma appunto l’antagonismo nei confronti delle divise ha una storia chiara e ben radicata nei movimenti politici tout court degli ultimi tre lustri: dai No-Tav della Val di Susa ai  No-Dal Molin del Veneto, da quel che resta dei leoncavallini ai tanti centri sociali della Capitale. C’è un processo evolutivo che a Napoli per esempio passa per le occupazioni di Officina 99 e arriva agli scontri con la polizia del Global forum celebrato proprio a Napoli nella primavera del 2001, pochi mesi prima dei tragici fatti del G8 di Genova che costarono la vita a Carlo Giuliani. Sono questi gli episodi chiave dell’antagonismo di sinistra italiano degli ultimi vent’anni. E sono tutte vicende segnate dal conflitto aperto, dichiarato, tra giovani e forze dell’ordine. Negli stadi è in corso ormai dall’epoca di Italia 90 esattamente lo stesso conflitto: ultras contro forze dell’ordine. I livornesi provengono da una tradizione di lotte antagoniste che è riuscita a sopravvivere anche allo stadio proprio perché si è saldata a quel conflitto con le forze dell’ordine aperto in tutti gli stadi d’Italia.

    Ultras Napoli insieme con i no global: era il marzo 2001

    Così è. E a riprova che l’unica spinta identitaria residua all’interno del movimento ultras nasca dall’odio per polizia e carabinieri, si può citare un processo inverso che riguarda proprio i tifosi del Napoli. Considerati da sempre tra i meno politicizzati d’Italia, gli ultras partenopei sono stati accostati per la prima e forse unica volta ai movimenti politici antagonisti proprio in occasione del Global forum 2001. In quella occasione diversi appartenenti ai gruppi del tifo militante azzurro parteciparono con convinzione ai cortei no-global, che sfociarono nei clamorosi scontri in piazza Municipio del 17 marzo. Non si è più osservata una simile sovrapposizione, almeno in forme così eclatanti, tra tifo azzurro e lotta politica. Ma di certo quella fu una delle occasioni in cui si consolidò la già fortemente avvertita ostilità degli ultras partenopei verso ogni genere di corpo militare dello Stato.

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