Napoli-Inter: quella pazza semifinale di Coppa Italia targata Beto

Stasera i nerazzurri tornano al San Paolo per una sfida in Coppa Italia: e la mente corre subito a un altro inverno di 20 anni fa…
  • di Tommaso Lupoli

    Stasera, per la Coppa Italia, al San Paolo arriverà l’Inter. Di precedenti tra le due squadre ce ne sono parecchi, uno su tutti - passato alla cronaca sportiva nazionale come Una notte Maradoniana - per la generazione pallonara nata dopo gli anni ’80 ha un sapore particolare. Stagione 1996-1997, il Napoli di Gigi Simoni fu protagonista di un’ottima prima metà di campionato arrivando, alla sosta Natalizia, al secondo posto (a pari punti con il Vicenza) dietro alla Juventus. In Coppa Italia, eliminate Monza, Pescara e Lazio gli azzurri - dopo l’1 a 1 dell’andata a Milano - aspettavano l’Inter.

    Sugli spalti erano in settantamila. In campo, senza Ayala, Crasson, Pecchia e Cruz, Simoni preferì la tenacia di Policano alla freschezza di Longo, ed affidò alla maschia marcatura di Mauro Milanese il temuto francese dagli occhi a mandorla Youri Djorkaeff.

    L’Inter passò in vantaggio, dopo undici minuti, con un sinistro angolatissimo di Javier Zanetti. La svolta della partita arrivò al 34esimo del primo tempo, quando Ganz, a palla lontana, colpì Colonnese e si guadagnò un rosso. Con l’uomo in più il Napoli toglieva il fiato all’Inter ma non riusciva a trovare il pareggio. Tutti gli interisti erano in linea nella loro tre quarti per tenere indietro gli avversari. Al 32esimo finalmente Beto - servito da Caccia - anticipò Paganin, si presentò da solo al cospetto di Pagliuca e con un tocco delizioso firmò il pareggio. (Il Napoli conquistò poi la finale ai rigori vincendo 6 a 4).

    Più che una rete, un simbolo

    Nell’ancora acerbo immaginario collettivo di un ragazzino napoletano, che si avvicinava per la prima volta con consapevolezza al calcio, il gol di Beto diventò un simbolo. Quel brasiliano di colore arrivato dal Botafogo, in quella fredda sera del 26 febbraio 1997, salvò dall’incertezza da tifo l’intera generazione di pallonari orfani di Maradona. Di colpo le scorpacciate di VHS e, i racconti stakanovisti di chi aveva visto - con le proprie cornee, senza filtri - El pibe de oro acquistarono un senso. Finalmente anche un ragazzino napoletano, alla pari dei coetanei milanesi e torinesi, poteva tifare con orgoglio la squadra della propria città. I napoletani quella sera piacquero, e tanto, anche allo scrittore Joe McGinnis [1]. L’americano, perdutamente innamorato del calcio italiano, era da cinque mesi a Castel di Sangro per raccontare al mondo la favola di una città di cinquemila abitanti approdata alle soglie del grande calcio.

    [1] Napoli, c’è una città nel calcio, l'Unità, 27 febbraio 1997

     

    Condividi questo post