A 25 anni dal secondo scudetto, a me piace ricordare Napoli-Genoa del 4 marzo 1990

Va bene l’1-0 alla Lazio del 29 aprile che ci regalò il tricolore, ma la stagione svoltò proprio nella gara contro i Grifoni: una vittoria insperata tra fischi e mugugni
  • di Errico Novi

    Sì certo, il 29 aprile. E chi se lo dimentica. L’urlo di Baroni, il San Paolo avvolto da centomila bandiere. Ma c’è un’alta immagine che mi torna cara. Ed è lontana dal giorno del trionfo, dall’1-0 alla Lazio. Quasi due mesi prima, 4 marzo, stadio San Paolo, Napoli-Genoa. E’ la prima volta in quel campionato che il Napoli non è capolista. Il Milan ci ha superato. E quella domenica gioca ad Ascoli. Andiamo in vantaggio ma il Genoa ci raggiunge. Mancano pochi minuti al triplice fischio, il pubblico rumoreggia. Sì, abbiamo giocato male, siamo in crisi, poche settimane prima abbiamo preso un rotondo 3-0 dai rossoneri e lo spettro del tricolore perso due anni prima, nel maggio dell’88, si materializza di nuovo. Ma come si fa a fischiare una squadra così? Maradona, Careca, Alemao, Carnevale? Tutto inspiegabile. Lo resteranno per sempre, nel mio ricordo, gli improperi scaraventati sul povero Crippa, colpevole di essere andato a esultare sotto la curva B dopo il gol dell’ormai insperato 2-1, firmato fa Gianfranco Zola. Poco ci manca che al povero Massimo piova qualcosa in testa. Chi avrebbe mai detto che dopo un mese e mezzo ci saremmo trovati di nuovo in testa, a un passo del Secondo Scudetto? Quei fischi di marzo dimostrano quanto sia sbagliato mollare prima di aver perso davvero, nel calcio. Disperarsi e poi vincere il secondo tricolore, il secondo della nostra storia. Quella domenica di fine aprile, appunto, perché dopo ci sarebbero stati i Mondiali. Le bandiere, il boato al gol di Baroni, che io vidi proprio lì sotto di me, perché quel giorno, pur di regalare anche al mio fratellino Alessandro la gioia di assistere a un evento storico, regalai non ricordo a chi l’ultimo tagliando del mio abbonamento in curva B, lasciai soli i miei compagni di ventura abituali, scovai due biglietti di curva A e abbracciai quel ragazzino di 14 anni che non credeva ai suoi occhi. Come se io adesso, un quarto di secolo dopo, riuscissi a rendermi conto di cosa successe davvero quel giorno.

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