Così Rafael ci ha fatto rivivere l’incubo del povero Coppola

Proviamo a rivedere Napoli-Udinese attraverso le analogie con gli azzurri del passato. Higuain ci fa tornare al leggendario Vinicio, per Fernandez si rispolvera Massimo Tarantino nella sua stopper edition
  • di Errico Novi

    RAFAEL – Se ci si limita al dettaglio tecnico dei tre tiri finiti alle sue spalle, non ha colpe immediate. Nemmeno sul secondo, nonostante le apparenze. L’autogol di Fernandez è fuori concorso, il pareggio finale di Basta pure. Il tiro di Bruno Fernandes è peggio della punizione di Pirlo in Juve-Napoli: il portoghese calcia di punta nel timore (infondato) che qualcuno gli piombi addosso all’improvviso, come pure dovrebbe essere se parlassimo di una difesa normale. La parabola è imprendibile, si abbassa giusto dopo essere passata sulla testa di Rafael come nelle iperboli manga di Holli e Benji. Ma non è questo il punto. Il fatto è che Rafael si porta eccome sulla coscienza il 2-2 dei friulani per la scelleratezza dell’appoggio laterale da cui nasce tutto il pasticcio, laddove chiunque – anche Reina – avrebbe sparacchiato lontano. Aggiungiamo l’alone di paura in cui avvolge irreparabilmente i compagni con quel fantozziano tentativo di entrare nella sua porta palla al piede a inizio partita. Ecco, si ha l’impressione di un altro Nando Coppola, più che di un replicante del povero Rosati. Anche Coppola fu rovinato dall’ansia di dover dimostrare a Zeman le sue inesistenti qualità di libero aggiunto, fino al disastro di quel Napoli-Bologna 1-5. Rafael cerca di emulare la scioltezza di Reina anziché essere se stesso, cioè un portiere forse decente. C’è da sperare di non averlo perso per sempre. Comunque, COPPOLA.

    MAGGIO – Un arcigno veterano che rincorre affannosamente i ragazzini, ma senza avere, dei veterani propriamente detti, la fierezza e il senso tragico. Da apprezzare almeno la tenacia con cui si spinge avanti per gli ultimi vani assalti. Ma la sua retrò-pagella non può andare oltre l’accostamento a SEAN SOGLIANO.

    FERNANDEZ – Lento, impacciato, al limite del fantozziano sull’autogol. Spegne definitivamente l’illusione che in attesa di gennaio potesse essere lui il minimo sindacale da affiancare ad Albiol. Non ha alibi. Certo, i calci d’angolo e le fagiolade assortite da cui scaturiscono i gol arrivano anche per le troppe palle perse da centrocampisti e trequartisti, per la dissennatezza di Rafael sul disimpegno da cui nasce il 2-2. Ma lui dà un’impressione di inebetimento a ogni istante della partita. TARANTINO (se ben ricordate Massimo Tarantino, prima di andarsi a far rieducare da Mazzone a Bologna, giocò anche da stopper. Perlomeno lui doveva sbrigarsela con Van Basten, non con Nico Lopez)

    ALBIOL – Sempre più smarrito, sempre più stanco di doversela sbrigare da solo. Non è un superuomo, è un buon difensore centrale, un po’ lento, che soccombe nel mare di nefandezze di chi gli naviga accanto. LUPPI

    REVEILLERE – Sbaglia passaggi elementari, dà la netta sensazione di non sentirsi le gambe. Mandato in campo per disperazione, è evidente. QUADRINI

    DZEMAILI – Non è uomo da spezzoni di partita fulminanti. Soffre l’impiego col contagocce, perché pure in un campionario di buone intenzioni fa errori da svampito. La corsa al gol gli viene per antico istinto, gli resta appena quello. PASQUALE CASALE

    INLER – Fa quello che può e deve, cioè l’onesta partita di un tranquillo mediano senza infamia, senza lode e con qualche asso della manica (i tiri da fuori) che stavolta non ha l’opportunità di calare. In copertura paga le troppe palle perse da Insigne e dagli altri lì davanti. DAL FIUME

    CALLEJON – Gira spesso a vuoto ma, con una generosità che gli fa davvero onore, si sforza di essere ovunque. Prova a compensare la scarsa lucidità con spasmodica abnegazione. Avrebbe meritato un turno di riposo, uno dei pochi errori di Benitez è il fatto di considerare Calleti una specie di Braveheart da schiere in qualsiasi battaglia. VINAZZANI

    PANDEV – Lezioni di calcio uniche, uno spreco, uno schiaffo alla miseria del calcio. Il secondo gol  è proprio un colpo alla GIORDANO.

    INSIGNE – Non è più lui. Da tempo però. Non si capisce dove sia finito l’Insigne di Pescara. E qua non si tratta di passare dalle difese di serie B al mondo degli adulti. Spiace dirlo ma ha ragione Sacchi quando sentenzia che Lorenzo «ha perso gioia» e che «sembra un mestierante» (vedi l’interista pubblicata da Extranapoli a firma di Massimiliano Riverso). Più che i dirimpettai smagati e meno creduloni della serie A e della Champions, soffre probabilmente il rapporto con i compagni e l’allenatore. L’anno scorso era ossessionato da Cavani e Mazzarri, oggi che i suoi presunti seviziatori sono andati lontano si è fatto imprigionare da qualche altra paura. Recuperare lui agli standard che gli si addicono sarà forse più difficile che far dimenticare ad Hamsik la delusione per il mancato Mundial. BENNY CARBONE

    HIGUAIN – Non abbiamo mai avuto un centravanti così, è una specie di Rummenigge con piedi da sudamericano. Ma, come Pandev, è un insopportabile spreco, in mezzo a quel desolato panorama di sventatezze. VINICIO

    MERTENS – Dovrebbe entrare prima, forse: quando gli tocca trova in campo un’atmosfera arroventata e fa meno di quel che vorrebbe. MONTEZINE

    BEHRAMI – Non ha il tempo di domare gli avversari. MAGONI

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