Napoli-Juventus vista da Napoli, Fuorigrotta, San Paolo, distinti inferiori (ovvero "Vacanze partenopee").

Quando leggi un pezzo come quello di Alessio Capone, alla sua seconda "trasferta in casa" in tutta una vita, capisci che noi napoletani non perdiamo mai. Perché loro, parole così, non sapranno mai pensarle, oltre che scriverle.
  • tuttonapoli

    di Alessio Capone

    Non poteva essere una cronaca e non sarà una cronaca, non la solita. Troppa confusione per raccontare la partita minuto per minuto da quei seggiolini. Ma partiamo dall'inizio.

    "Ciro ma allora i biglietti li hai fatti?"

    "Sì, sì, tappò scinn nun te preoccupà"

    Era giovedì, avevo due giorni per capire come e quando partire, dove e come dormire, ma in quel momento importava ben poco, in quel momento avevo la certezza che la mia seconda nella vita al San Paolo stava prendendo corpo: Napoli-Juve con tributo a Pino Daniele, non una partita qualsiasi.

    Ci vogliono quattro ore e mezza di treno, più o meno, per raggiungere il Capoluogo campano dalla stazione centrale di Milano. Alle 15.55 arriviamo a destinazione, raggiungiamo la nostra stanza d'albergo e andiamo a trovare il nostro amico in zona Toledo.

    A mio fratello bastano quattro vie e un babà per risorgere dalle ceneri di Busto Arsizio ed immergersi nella napoletanità che così tanto, e in maniera così magica, lo rigenera. La nostra passeggiata è sempre quella: via Toledo, Galleria Umberto I con sosta da Mary per il babà, discesa in piazza Plebisicito e risalita in via Chiaia dove finalmente provo le patatine di quei famosi negozi che sono sbucati come funghi a Napoli (per intenderci, come i Kebab nella mia zona) e mi chiedo come facciano a lavorare così tanto: le patatine fanno pietà, sono fritte malissimo e friggere male qualcosa a Napoli è un po' come avere Britos terzino e Higuain in attacco. 'Na Bestemmia. L'aperitivo in piazza del Gesù è solo uno stuzzichino, una preparazione a quel momento, per me sacro, che devo consumare e celebrare con religiosa minuzia: la Pizza. Questa volta è il bustocco napoletano (ha vissuto due anni nella mia città) Roberto Bratti, con la sua bella Lara, ad accompagnarci: un amico sincero scoperto nella fascinosa nebbia e ritrovato nell'osannato sole. La pizza è la pizza. La pizza a Napoli la puoi mangiare alle 23 per poi coricarti a mezzanotte e dormire sereno, se non esageri con gli ingredienti. Per descrivere la pizza non ci sono parole: sarebbe come tentare di descrivere una strabiliante notte di sesso o di amore. Impossibile. Posso solo augurare a tutti un'esperienza simile. La pizza dico, eh!

    Il risveglio è dolce, il sonno è stato profondo e la voglia è già tantissima. È domenica, mancano poche ore a Napoli Juve e noi siamo a Napoli. This must be the place, per citare quei Talking Heads tanto cari a Sorrentino: un altro che si sarà svegliato con lo stesso pensiero fisso in testa che non è la pizza e nemmeno quell'altra cosa, bensì La Partita. Ci vestiamo e ci immergiamo nuovamente in quelle vie, vicoli e vicoletti intrisi di tensione e attesa e che oramai conosciamo bene: una passeggiata tra piazza Bellini, San Gregorio Armeno e Castel dell'Ovo, dove un messaggio perentorio mi scuote: "Guagliò, aspettiamo con ansia un tuo reportage. Dove sei stato ieri? Che stai facendo? Non penserai mica di farti le vacanze? Anzi, ho già un titolo: Vacanze partenopee". È Mimmo Taglialatela, il presidentissimo dei cazzeggiatori di "Didì, Vavà, Pelé site 'a guallera 'e Cané!". Sono le 12.30 e raggiungiamo ancora Ciro per il pranzo: 'a pignata ai Quartieri Spagnoli. Non c'è migliore pre-partita, una tipica trattoria napoletana dove solo con l'antipasto sei sazio (specialmente se hai lo stomaco accartocciato dalla tensione come il mio): una serie di piatti, piattini, piattucci e scodelline con dentro ogni tipo di delizia di terra e di mare, fritta e non. Però non ci si può fermare all'antipasto, almeno i paccheri ai frutti di mare vanno provati, è d'obbligo, ci fa capire Ciro. Ovviamente, da tavolo a tavolo, con i camerieri e con il proprietario l'argomento è sempre e solo quello. Ci sono napoletani venuti da Torino per La Partita, e poi ci sono i napole(n)tani come me e mio fratello. La caccia alla lota, al napoletano juventino che si nasconde, è aperta: chi rimane in silenzio viene stuzzicato dal proprietario: "Eccolo, lui è uno juventino! Guarda come sta zitto!" "No! No! ma che dici, ma quando mai?!". Nel frattempo mio fratello ha attaccato bottone con un signore di ottantaquattro (84!) anni, preoccupato che fossimo juventini, ma rasserenato dalla napoletanità e dalla spontaneità di Nicolò. Il vecchino (ottima forchetta, ha mangiato il triplo di quel che ho mangiato io, lunga vita a lui!), incoraggiato dall'entusiasmo di mio fratello, si alza e si avvicina al nostro tavolo tirando fuori una foto di quando era giovane. Era un pescatore, ci racconta, proprio come il nostro bisnonno. A fine pranzo fratomo non resiste e si dirige verso il suo tavolo per salutare, lo bacia e lo abbraccia, poi si volta verso di me con gli occhi pieni di tutto ed esclama: "Certe cose solo a Napoli!". Voi credeteci, io ancora mi emoziono. Anzi, forse mi sto emozionando per la prima volta ora che lo sto scrivendo, adesso che ho lo stomaco sgombro da qualsiasi tipo di tensione.

    Il ritorno in hotel è dovuto solo ed esclusivamente ad un motivo, no due: riposarci prima della battaglia e indossare la mia Record Cucine. Sì, l'ho portata anche qui, non potevo lasciarla a casa.

    Verso le 16.10 ripartiamo dall'hotel in direzione via Toledo, per raggiungere Ciro e andare allo stadio. C'è anche Kyo, un'amica giapponese di Ciro al suo esordio al San Paolo. E che esordio! Ressa, gente che si muove, frenesia, io oramai ansimo, l'amico Matteo Forte mi trasmette fibrillazione anche con semplici messaggi: "Dove sei? io sono qui. Ti aspetto, ingresso 14". Sono le 17.30 e ci sono già file interminabili ai vari ingressi. Abbraccio Matteo mio, lo stringo più forte che posso e poi lui mi presenta le Oj Vite Luca Catalano e Rosaria Luongo che lo hanno raggiunto per conoscerci. Ci sono altre anime che vorrei abbracciare e stringere, i Malati Azzurri del Gazebo, ad esempio. Ma Ciro ci spinge ad entrare, non c'è tempo e la mia tachicardia è oramai incontrollabile. Matteo aiuta, ma non aiuta, mio fratello è impaziente. Aiuto, adesso implodo. Siamo seduti, distinti inferiori. Piano piano il San Paolo si riempie, le curve, la tribuna. Ci siamo tutti. La colonna sonora è la sua. Le vecchie canzoni di Pino Daniele sono degli autentici capolavori musicali. Il San Paolo adesso è pieno, zeppo, entusiasta, positivo. Il San Paolo di sera è come una donna che conosci e che si fa bella per te, un po' come la mia ragazza. Io lo so che la mattina, appena sveglia e con il viso stropicciato di sonno è bella, ma ci sono sere nelle quali la guardo tutta in tiro e rimango lì, come un coglione, senza nemmeno capire, realizzando solo il giorno dopo, ecco: è così il San Paolo di sera.

    "Napul'è" adesso è diventata ufficialmente l'inno del Napoli e dopo una bella introduzione di De Laurentiis, accompagnato dal fratello del compianto Artista partenopeo, può risuonare in un'arena addobbata di sciarpe azzurre stese. Brividi.

    Si parte.

    Napoli guardingo e Juve arroccata. De Guzman sbaglia un gol fatto e Pogba ne inventa uno dal nulla, dopo un rimpallo tra due juventini. Uno a zero per loro e fine primo tempo. Noi non siamo né insoddisfatti né abbattuti. Il secondo tempo si riapre con la stessa pioggerellina che ha contraddistinto l'inizio della partita. Io mi copro con la sciarpa modello suora, anzi modello Ferrero. Beh, dai, vinciamola! Chissà come sono brutto. Al gol di Britos sono ovviamente partiti abbracci, strattoni, urla e baci. Britos? Io vengo a vedere il Napoli contro la Juve e segna Britos?? Qui i casi sono due, o vinciamo in goleada, oppure... Il gol di Cacarcoso ci taglia le gambe. Ma i nostri non desistono, ci provano, Zapata, invece di buttare pallone e portiere in porta, sviene, poi Gonzalo mio fa qualcosa che non capisco, ma sicuramente di magico. Angolo per noi, contropiede e gol per loro. Non abbiamo meritato la sconfitta, soprattutto così ampia, ma abbiamo sprecato molto, con sofferenza accettiamo la sconfitta in maniera serena.

    Finita.

    Matteo e Ciro ci accompagnano al 151, il bus che va da Piazzale Tecchio in Garibaldi, dove alloggiamo noi. Percorro la strada in silenzio, cerco qualche sguardo di conforto nei miei compagni d'avventura, poi, alla fermata del pullman, li ringrazio, li abbraccio e li saluto. Il viaggio è lungo, un'ora in piedi, con la partita nella testa e il pullman gremito di persone. Ci trasciniamo verso l'hotel con la sola voglia di stenderci e riposare.

    Comincia un'altra partita.

    Scopro il "ci può stare" di Benitez, realizzo che il secondo gol era in fuorigioco oppure era la terza gamba di Koulibaly che li teneva tutti in gioco. Un'altra partita. Mi ricordo quel gioco che facevamo da piccoli: quando piove o Tagliavento alle palle stacci attento. Leggo i tweet al veleno di De Laurentiis. Leggo di Marotta e del suo: "Il campionato non è una finale che viene decisa dalla lotteria dei rigori" e realizzo che questa infatti l'ha decisa un tombolata di Tagliavento. Sarebbe stato meglio rimanere allo stadio "e nun sa a verità".

    Poi  Christian Russo mi consegna la giusta chiave di lettura con un semplice post in cui scrive di non riuscire ad essere scontento, di avere ancore le emozioni di "Napul'è" cantata da tutti, di essere fiero di essere napoletano. Allora mi ritorna in mente il video che ho fatto di quella sciarpata che ad inizio partita mi ha cullato insieme a quelle dolci note, me lo riguardo e mi sale un caldo incredibile. Rivedo quel San Paolo di notte, quella Grande Bellezza che qualche ora prima non avevo realizzato davvero, appieno.

    "Napul'è mille culure, mille paure, è una carta sporca, è tutto un sonno e lo sa tutto il mondo, ma non sanno la verità".

    Un video bruscamente interrotto nel finale perché ho sentito il bisogno di stendere la mia sciarpa per partecipare a quello spettacolo del quale non potevo sentirmi davvero parte, fino in fondo. C'era la napoletanità nell'aria, c'era un popolo complesso, dal cuore gigante, un popolo permaloso, controverso, incredibile, sempre pronto a sorprenderti; un popolo descritto solo nella parte brutta e mai nella bella, un popolo pazzesco, pronto ad accogliere chiunque; un popolo di eccessi, fiero, entusiasta, esuberante ed esagerato nel bene e nel male. Un popolo, una cultura che non si può pretendere nemmeno di sfiorare in pochi soggiorni. Però mi piace pensare che in quel momento, quando ho steso la mia sciarpa, un po' di quella verità mi sia entrata nella pelle, nello stomaco.

    Napul'è mille culure.    

       

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