Quell’avvolgente, pedissequo e sterile possesso palla

Il gioco alla spagnola predicato da Benitez viene concretizzato solo in parte, finendo spesso in un vicolo cieco
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    di Antonio Moschella

    Dai, vai, ridai, riparti. Tua, mia, sua. Orizzontale, indietro, orizzontale, da un lato all’altro. Fino quasi alla nausea. È questo il tiqui-taca del Napoli, che ha poco a che vedere con quello espresso inizialmente dal Barcellona di Guardiola e poi, di riflesso, dalla nazionale spagnola di Del Bosque. Utile a far ammattire l’avversario, ma se non finalizzato riesce a far intontire prima i giocatori che lo propongono. E per carità, mica si può cercare la conclusione da lontano.

    Il Napoli è ormai ufficialmente in crisi. Le spensieratezze di inizio stagione, quando la freschezza atletica e l’entusiasmo sopperirono al gap tecnico-fisico col Borussia al San Paolo e la vittoria risicata di San Siro portò in alto i cuori di tutti i tifosi partenopei, sono ormai un ricordo. Certo, è presto per abbattersi e non è il caso di dare già tutto per perduto. Ma ci sono delle questioni da affrontare, a parte l’inadeguatezza di alcuni elementi della rosa. Il problema più attuale è, senza dubbio, il tipo di gioco interpretato dagli azzurri.

    Benitez, fin dal primo giorno, ha tentato di trasmettere positività e intraprendenza con i suoi modi pacati e gentili. In più ha iniziato a effettuare un lento lavoro di fino sulla mentalità dei calciatori, cercando di scacciare quella mancanza di carattere che aleggia su molti azzurri nei momenti decisivi. Il tutto convergeva nell’esecuzione di un modello completamente diverso da quello che Mazzarri aveva inculcato alla sua truppa per 3 anni e mezzo. Dalla clava si è passati al fioretto. Dal 3-4-2-1 mordi e fuggi al 4-2-3-1 di ricami e possesso palla. Un cambio rilevante, difficile da assimilare.

    Da buon spagnolo l’ex allenatore del Liverpool ha voluto inculcare la maniera di far calcio che più aggrada nel suo Paese. Un possesso palla esasperato, quasi stressante, col fine di sfiancare l’avversario. Che però porta con sé due difetti. Il primo è che se non hai a disposizione i calciatori adeguati, è un tipo di gioco che porta del tempo per essere concretizzato a dovere e nel frattempo può ritorcersi contro di te. Il secondo è che non prevede praticamente alcuna alternativa, soprattutto se in mediana si hanno a disposizione appena 3 elementi e nessuno di loro eccelle nel palleggio. Inoltre, sia il Barcellona sia la Spagna sono soliti giocare con un centrocampo a 3 e gli attaccanti esterni tendono principalmente ad accentrarsi per dialogare e sono, più che attaccanti, quasi dei trequartisti.

    Il Napoli di Benitez pare, dunque, schiavo della propria identità. Una maniera di essere quasi coatta che deriva dal tentativo più che ammirevole dell’allenatore iberico di cambiare tipologia di gioco e approccio alla gara. Tuttavia è necessario ricordare che nel calcio il fine giustifica i mezzi. Soprattutto se pensiamo al modulo. Un 4-2-3-1 necessita di due mediani di altissimo livello che sappiamo interpretare bene entrambe le fasi di gioco. La squadra azzurra, che dispone comunque di un Behrami monumentale in fase di distruzione del gioco e accettabile quando deve incorporarsi in attacco, difetta tuttavia di un vero metronomo, che sappia dettare i tempi e permetta alla squadra di disporsi armoniosamente come una fisarmonica. Suggestione Mascherano a parte, a volte, come magari sarebbe potuto essere ieri, disporsi a 3 in mezzo al campo potrebbe essere una soluzione.

    Il buon Rafa, che ha portato con sé un vento nuovo e gradevole, potrebbe magari fare un piccolo bagno di umiltà e cercare, quando è il caso, di adattare più il modulo ai giocatori che gli stessi al modulo. E nessuno potrà comunque avere l’ardore di additarlo come "catenacciaro".

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