Harakiri azzurro

  • di Antonio Moschella

    Tre sconfitte consecutive, dopo un inizio folgorante, sono l'apertura di una breccia profonda nel fortino azzurro. Ma se, paradossalmente, la debacle di Bergamo era più 'logica', i due scivoloni consecutivi con Roma e Besiktas in casa sono non solo il frutto di mancanza di concentrazione, bensì simboleggiano l'harakiri del gruppo azzurro, la cui crisi di nervi fa tremare le gambe anche dei singoli più esperti, Reina su tutti. 

    Quello degli azzurri è un suicidio. Non c'entrano i gufi che parlavano di possibile storica qualificazione agli ottavi di finale dopo sole tre giornate così come niente ha a che vedere il pubblico scontento, che ieri sera comunque aveva quasi riempito il San Paolo. E poche responsabilità ha anche una dirigenza spesso tignosa e poco disponibile fin dal reparto di comunicazione, con una censura assoluta durante la preparazione estiva conclusasi solamente con l'obbligo delle conferenze stampa pre partita.

    La colpa di questo crollo, almeno per ora, ricade tutta sulle spalle deboli della squadra, e non della società. Sarri ha perso il filo, o meglio la corda, che dovrebbe mantenere unito l'ambiente a livello psicologico, perché i suoi show in conferenza stampa sono purtroppo stati macchiati da lamentele vittimistiche fine a sé stessi. Poi il mister, incolpevole sulla mancata cessione di un Gabbiadini che da centravanti proprio non connette, è tornato sui suoi passi spremendo un gruppo di 13 calciatori, dimostrando poca intuizione nei cambi in corso. L'autorità del mister è indiscutibile, ma a parte i casi di DIawara e Rog che speriamo possano essere risolti al più presto, alcune scelte sono davvero discutibili. Fare esperimenti con Maggio e Chiriches, arrugginiti da un po', in una partita che si doveva vincere per blindare il passaggio agli ottavi di Champions e rallegrare l'ambiente, è stato nefasto. Continuare a dare fiducia a un Jorginho che annaspa da un mese e i cui segni di cedimento si erano già visti dal match col Benfica è stato un altro errore importante. 

    Se poi a tentennare è anche l'unico vero leader dello spogliatoio, quel Reina che da troppo si fa notare più per le incertezze che per le parate, allora è logico che l'effetto domino sul gruppo sia devastate. Hamsik non è un condottiero, Insigne litiga con sé stesso ed è frenato dalla sua boria da fenomeno di quartiere che gli fa calciare un rigore come nel parco sotto casa, mentre Callejón dà tutto ma ha perso lucidità sotto porta, il che si nota soprattutto da quando manca Milik.
    In sostanza, si tratta di una tragedia scritta a più mani dagli azzurri stessi, con una fantasia che manco Sofocle, con i connotati di una scena di suicidio generale più propria di Yuko Mishima. L'unico che sembra ribellarsi a questa situazione è Dries Mertens, che, guarda caso, è anche quello che più rabbia mette in campo ed esprime più amore per la maglia e la città al di fuori. L'unica certezza in questo momento scuro, è proprio lui, che ovunque giochi 'butta il sangue', come diremmo qui. E non è poco.

     

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