Caro Spadetta, io voglio fare il re di coppe: vincere aiuta a vincere. E sognare aiuta a sognare

Il primo articolo di Giulio per Extranapoli ha creato un dibattito: meglio mollare l'Europa League? Un altro extrablogger gli risponde
  • tifonapoli.it

    di Boris Sollazzo

    Caro Giulio, lo confesso. Quando mia sorella ed io, con quella amatriciana, ti abbiamo sedotto e portato qui dentro ad Extranapoli, l'ho fatto con la speranza di potermi godere quelle parole così ben scritte e spesso lontane dal mio modo di vedere. Per il gusto di farmi quasi convincere da quella prosa elegante, decisa e persuasiva, da quel pensiero lucido e poi reagire. E divertirmi come un pazzo, perché il dibattito, ovunque, è il sale della vita. E con il tuo primo articolo (di tantissimi, spero) hai subito esaudito il mio desiderio.

    L'ho capito a Birra e Bollicine, dietro al San Paolo: abbiamo parlato del mio libro, hai detto che dovevo andare più a fondo, che dovevo andare al centro di quella malattia che chiamiamo Napoli. Che solo in alcune pagine si sentiva, ma che doveva essere il nostro Febbre a 90, senza pudori.

    E allora, ti dirò, quello che ha scritto “speriamo di uscire dall'Europa League” è solo la scorza dello Spadetta sentimentale che parlava di quelle pagine e ascoltava le confidenze, che giovedì sera guarderà soffrendo (e speriamo esultando) Napoli-Swansea, mentre io sarò in curva B. Sì, caro Giulio, tu tiferai con tutto te stesso per raggiungere gli ottavi di finale di Europa League. Tu vuoi lo Juventus Stadium a maggio. Tu sei un sognatore romantico travestito da cinico razionale, come Mario Monicelli. Sempre pronto a fare il bastian contrario, a tirar fuori la battuta tagliente e poi, di nascosto, dolcissimo e utopista. Perché, come lui, senti il bisogno di proteggere te stesso e gli altri dalle illusioni. Ti capisco, sai? A Napoli ci hanno quasi ucciso illudendoci e deludendoci. E quando qualcuno ci ha portato oltre i nostri limiti, lo hanno punito. Quando un dio ci ha dato il fuoco, quando quel Prometeo riccio ha voluto donare a noi, uomini, la magia e il riscatto, è stato punito, schiacciato, sacrificato. Per poi rialzarsi. E cadere ancora. Lo ha fatto per sé e per noi.

    Parli per paura, perché sai che noi napoletani siamo nati per soffrire, perché temi la capacità di Rafa Benitez di insegnarci a sognare. Non vuoi rimanere a bocca asciutta, hai paura di un “zero tituli” nell'albo d'oro. E mi chiedo perché, se sei così razionale da sperare in un'eliminazione. Quest'estate e anche dopo io ho sempre sostenuto che questo sarà un nobile anno di transizione, che avremmo diviso tra grandi imprese e partite sbagliate, in cui ci saremmo dovuti accontentare di un quarto o quinto posto. Altro che eliminazione, io ho puntato molto più in basso. Per l'evidente squilibrio con cui era stata costruita la squadra. Un'inevitabile incompletezza: anche il Napoli di Maradona non fu costruito in un giorno. Ma in tre anni. Io sono stato così realista da prevedere un anno avaro di soddisfazioni, ma ricco di spunti per il futuro. Tu così sognatore da immaginare vittorie importanti. Sin prisa e sin pausa è un progetto, lo sai, non una realtà. Abbiamo dato cinque anni a Edy e quattro a Walter, ti chiedo solo di darne altrettanti a quest'uomo che si gioca la carriera sul Golfo. Qui, dove molti non vogliono venire e non sanno cosa si perdono.

    E già, Giulio, tu sogni, da quest'estate, sei un rafaelita latente: dici che l'Europa League non la vuoi, ma ti contraddici dicendo che poi, magari, non ci rimane nulla in mano quest'anno. Sogni più di me. Ma sei abituato a un Reja che ha sempre giocato in difesa – in tutti i sensi – sia pur con cuore e stile, o al Mazzarri speculativo che non sapeva sorprenderci, nel bene e nel male, come fa Don Rafé. Sì, amico mio, io lo chiamo così, per me è più di un allenatore, è una rivoluzione, è uno spagnolo che sta tirando fuori quella napoletanità di cui siamo fieri e che finora è sempre stata perdente. Lei sì perché con il suo pessimismo nichilista, la sua sfiducia, è sempre stata sconfitta. Per difesa e non per orgoglio. La nostra napoletanità. Rafa non è snob, è popolare: è un Masaniello colto, mai populista e ambizioso. Lui, ironico ed empatico, è uno che può vincerla la sua rivolta.

    Vincere aiuta a vincere, Giulio. E non scendo nella speculazione spicciola, quella che mi porterebbe a dire che il girone di Champions così difficile nasce dalla EL snobbata l'anno prima. No, superare se stessi ti porta a sviluppare carisma, carattere, grinta, cazzimma. Non avremmo mai vinto contro la Roma, se non ci fosse stato l'Arsenal. Sei abituato agli azzurri che vanno a Londra, avanti di due reti, e non sognano e non segnano, se non per caso. Non provano l'impresa, tentano il realismo catenacciaro. E perdono. Sei abituato a chi contro il Psv perde volentieri, a chi contro Bologna e Viktoria Plzen si fa buttar fuori quasi di proposito per quello che dici tu. Per prendere quel poco (la Champions senza preliminari), benedetto e subito. Io no. Rischiamo pure il terzo posto, viviamo un'estate di palpitazioni e magari un mercato non faraonico, ma proviamo ad accarezzare quei trofei. Sai perché? Perché se hai sulle spalle un'Europa League vinta o un'altra Coppa Italia, tu senti la responsabilità di una maglia da vincente addosso. E non ti accontenti dell'1-1 contro il Genoa. Non speri in un 1-0 striminzito. No: hai visto la Juventus quando pareggia a pochi minuti dalla fine? Sì, viene aiutata dall'arbitro, ma sembra tarantolata. Ecco, io voglio diventare così. E per farlo servono imprese, anche insensate e faticose. Mi dirai: i forcing di Mazzarri erano epici: già, con le piccole però. Come quei bulli che se la prendono solo con coloro contro cui possono prevalere.

    Magari poi usciamo in semifinale e la Fiorentina accorcerà le distanze o ci supererà in campionato. Ma io voglio sognare, io voglio pensare a un futuro con Rafa Benitez, ad altri Higuain che arriveranno, a un centro sportivo avveniristico, a bambini che cambiano squadra perché il Napoli si fa conoscere anche fuori dall'Italia. Non al secondo o al terzo posto.

    Il calcio ci ha tolto tutto, forse troppo. Ma non i sogni. Ma questo, Giulio Spadetta, lo sai meglio di me. Perché tu, io lo so anche se non lo ammetterai mai, stai pensando di tenerti libero il 14 maggio per salire con me sulla Punto Bianca a cercare di espugnare, finalmente, quello stadio che ci odia.

    Walter Mazzarri, ti prego, esci da questo corpo. Lascia libero Giulio e i tanti che la pensano come lui. C'è da capirli, il meglio noi l'abbiamo vissuto con Ottavio Bianchi. Uno che sta ai sogni e alle grandi visioni come io sto a George Clooney. Spadetta, ricorda che lì, a farci volare, in tutti i sensi, ci pensava Diego. E ricordiamoci che anche se cantiamo sempre “devi vincere”, come ci insegnano i Rokes, bisogna saper perdere. E pure pareggiare.

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