Siamo tutti leoni (da tastiera)

L'infortunio di Higuaìn come modello di una comunicazione sbrigativa. E poi ci lamentiamo se i giornalisti finiscono nel mirino.
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    di Francesco Albanese

    Nessuno merita di essere insultato soprattutto se, mentre è allo stadio per commentare una partita, si lascia andare a qualche tweet di troppo. Ci vuole equilibrio, in fondo sempre di calcio stiamo parlando.

    L'impessione però è che ieri si sia andati oltre una certa soglia. Con il Pipita ancora in barella dolorante e con le mani in faccia su Twitter è partita l'inevitabile pioggia di post. All'apprensione dei tifosi azzurri ha fatto da contraltare lo sfottò (poco elegante) di alcuni supporter di altre squadre. Fin qui nulla di anomalo. Di certo ha colpito di più l'atteggiamento di qualche comunicatore come Tancredi Palmeri (76mila followers, firma di beIN Sports, Gazzetta e Cnn. Uno che parla almeno tre lingue) che già ipotizzava il forfait del Pipita, non solo per la finale di sabato contro la Fiorentina, ma addirittura non escludeva l'addio al mondiale in favore dello scalpitante Tevez. Insomma in appena 140 caratteri veniva dato sfoggio di raffinate competenze ortopediche unite ad una ferquentazione ravvicinatissima con il cittì argentino Sabella.

    E' bene ribadire che gli insulti e le minacce seguite a quel tweet non hanno giustificazioni, un po' di prudenza in più però non guasterebbe. Chi vive di notizie (compreso chi scrive) avverte l'ansia di stare sul pezzo, la voglia di anticipare un fatto è ancora il sale di un mestiere a dir poco bistrattato, nondimeno un limite ci deve essere.

    Non c'è spazio per facili autoassoluzioni del tipo:" faccio il giornalista, è il mio lavoro commentare quello che vedo". Un conto sono i fatti, un altro le impressioni, altro ancora le provocazioni. Diciamo che con i tempi che corrono di queste ultime possiamo farne tranquillamente a meno. 

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