Quando il gioco si fa duro, i veri tifosi si mettono a tifare

Abbiamo tre coppe da onorare. Siamo a due punti dal terzo posto. Nessuno osi seppellire questo Napoli, dentro lo spogliatoio e dentro lo stadio, ora tocca a noi dare tutto
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    di Boris Sollazzo

    Sono contento. Sì, sono contento che non vinciamo dall’8 novembre. Perché le mappine che escono fuori solo con le vittorie, sugli spalti del San Paolo e sui maledetti social (Ottavio Bianchi quanto sarebbe durato con Facebook? Lo avrebbero esonerato a Tolosa i competenti del computer), quelli che si palesano come neanche i funghi dopo la pioggia, si ritireranno finalmente e torneranno, la domenica, alle loro precedenti occupazioni: bricolage, compere al centro commerciale, film porno, campionato ceco di pallamano, golf in altura, Candy Crush, quello che vogliono, basta che ce li togliamo di torno.

    E torneremo ad essere noi, quelli che si emozionavano a vedere la nostra maglia pure quando la teneva su Giubilato (non so perché cito sempre lui, non era neanche il più scarso). Prendetemi in giro, datemi del perdente, fate quello che vi pare tifosicchi che san fischiare ma non cantare: ma io a due punti dal terzo posto, ai sedicesimi di Europa League da giocarmi a Trebisonda, con tutte le coppe ancora da giocare, no, il mio Napoli non ve lo regalo. E sì, magari perdiamo con quel maledetto Parma che sempre ci fa brutti scherzi, ma io sarò lì. A urlare, riempiendo i vuoti che ci saranno, e non dovrebbero. E non mi dite che fa freddo, che nonna quella sera fa gli gnocchi, che la vostra fidanzata o il vostro ragazzo quel giorno fa mezza giornata al lavoro e potete darci dentro. Non mi dite che il presidente non si merita nulla, che i giocatori sono senza carattere e cazzimma, che Higuain non vi attizza più neanche vestito da antico romano, che senza Pepe Reina e con il Mondini brasiliano vi sentite perduti.

    Noi tifiamo per il Napoli. Noi dobbiamo riempire lo stadio da qui alla fine della stagione. Noi, però, non abbiamo nulla a che spartire con quei personaggi che dicono “noi siamo il Napoli”, perché pretendono senza saper amare e la nostra storia non la conoscono.
    Avete mai sentito i tifosi del Blackburn Rovers dire “noi siamo il Blackburn?”. No, ve lo dico io. Eppure hanno vinto uno scudetto e una coppa più di noi. E i tifosi dello Schalke 04? Oh, hanno vinto tante coppe quante noi (pure una Uefa e una Coppa delle Alpi) e ben 7 scudetti, anche se l’ultimo nel 1958. Di storia ne hanno. Niente, pure quando sono ultimi tifano come pazzi. E non vi dico il Borussia Dortmund. Loro, dopo la prima vittoria dopo una vita, si mettono a intonare pure Jingle Bells per festeggiare Babbo Natale Gundogan.
    E il Valencia del nostro ex Benitez? Sei scudetti, mica bruscolini, e vari riconoscimenti vicini e lontani. Niente, al Mestalla non si schifarono nemmeno dopo i 5 gol di Daniel Fonseca. Tifavano, pure sotto di cinque. Persino quei rompiballe baschi di Bilbao e San Sebastian, tifano sempre e comunque. Ci tengono così tanto alla maglia che se te ne vai devi portarti via tutte le generazioni precedenti e posteriori a te, altrimenti son guai, però per loro “al di là del risultato” non è un vezzo o uno striscione a cui credono solo quei ragazzi che tifavano, giovedì, pure contro lo Slovan.
    A noi basta un gol di Verdi a zittirci. A noi, essere settimi fa schifo. A noi, che ci siam fatti C e B pochi anni fa (anche questa è la nostra storia “da Napoli”, miei cari), la prima difficoltà ci fa dileguare. Al massimo pensiamo, neanche fossimo il PD, a insultarci tra noi, e poi però ci scandalizziamo se nello spogliatoio si prendono a ceffoni. Il rafaelita che appena vince dà dei fessi agli infedeli, il papponista che quasi è contento se i nostri perdono. Andatevene a quel paese tutti e due.

    Io Benitez lo terrei. Io De Laurentiis lo vorrei sempre presidente, nonostante non abbia imparato a stare zitto. Se invece di dire “voglio lo scudetto” avesse detto “non posso far altro che tenere i migliori, stateci vicini e proviamo l’impresa, possiamo farcela”, ora il morale sarebbe tutt’altro, fuori e dentro la squadra. Ma sono mie opinioni personali: so che pochi hanno fatto tanto quanto loro per la nostra città e per la nostra squadra, e comunque non mi interessa. Per me conta solo il Napoli. Per me può andare via chiunque. Ma noi no. Noi dobbiamo essere là a cantare, a sostenerli, a fargli capire che sì, “noi siamo il Napoli”. Ma non perché DOBBIAMO vincere. Ma perché noi siamo un popolo straordinario e appassionato, che sa lottare e resistere. Che ama, senza volere nulla in cambio, soprattutto al San Paolo. Non siamo quella gente che vediamo ora, esigente e imborghesita, siamo la marea azzurra che sapeva invadere l’Italia e l’Europa, l’urlo unisono di decine di migliaia di voci che hanno annichilito Yaya Touré, affascinato Ibrahimovic, strappato applausi ai tifosi dell’Arsenal (a proposito, anche loro hanno vinto più di noi: ora se la passan peggio di noi e riempiono lo stadio anche in quelle che noi, solo dopo averle vinte, chiamiamo coppette).

    No, io non ci sto quando tutto va bene. Io scalderò il mio posto in curva B ora, che tutto sembra perduto. A voi. Perché a me basta la maglia, i colori, la voglia di ricominciare, sognare, svegliarsi delusi e sperare di nuovo. Perché da anni non andavamo così bene e se a voi non basta, restatevene pure a casa a guardare i mondiali di curling.

    Forza Napoli Sempre, questo conta. E a quei damerini che abbiamo visto ieri, dobbiamo insegnargli noi cosa vuol dire essere cuori azzurri. Non conta vincere, ma sudare (per) quella maglia. Che pareggino e perdano altre partite, ma non mi facciano mai più vedere quella sufficienza, quella indolenza, quel senso di resa. Quello sì, non è da Napoli. Se rimpiangete il Real Madrid, andatevene. Non vi vogliamo.
    Preferisco Rafael, quegli occhi mortificati in un talento acerbo o forse inesistente, a voi presunti campioni che non sapete mettere le palle e che scaricate le vostre responsabilità sui compagni. Hamsik, in difficoltà e involuto, è il mio capitano, perché nei suoi occhi si legge la mia delusione. Mesto, vi dirò, è il mio capitano: ieri la mia maglia l’ha onorata. E preferisco gli ultras che si sgolano a cantar brutti cori a voi disfattisti, vedove di giocatori che non ci hanno voluto, a voi disfattisti che rimpiangete Behrami o vi chiedete che fine abbia fatto Inler, uno su cui sputavate sentenze e insulti fino a pochi giorni fa, a voi disfattisti che non sapete essere il dodicesimo uomo in campo. Anzi.
    Rimanete a tutti a casa, che siate galacticos o occasionalicticos. Questo è il tempo per noi.
    Quando è duro vederli giocare, noi duri raddoppiamo il nostro tifare.

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