Da Torino a Torino. Perché nella vittoria immeritata c'è la (grande) bellezza di Maradona. E Caniggia

I suoi voti sono attesi e temuti, nel calcio e non. Il professore e "bastian contrario" Enrico Ariemma, che ama sedersi dalla parte "sbagliata" per poter osservare meglio la realtà, dice la sua sul presunto furto in terra piemontese
  • globoesporte.globo.com

    di Enrico Ariemma*

    L’Entusiasta, il Disfattista, il Sofferente, l’Arrabbiato. Questa magnifica classificazione per tipologia di appartenenza del tifoso napoletano, elaborata da Maurizio de Giovanni, necessita da ieri, all’insaputa del suo incolpevole autore, di opportuna integrazione. Il Pudico, lo Sfrontato. Perché qui ci si sta assurdamente dividendo su una vittoria che ha, sì, il sapore adrenalinico della botta di pancia inattesa, di principio di gioia che coincide col (e nasce dal) culmine della sfiducia, ma che nulla di anomalo ha se non l’essere arrivata in zona-Mazzarri (ahi, ma un nome al passato che ritorna bisogna pur darlo), come ai tempi di Cagliari, del Lecce, della Lazio a mezzogiorno.
    Già, ma in circostanze di preparazione non proprio limpide e su uno sfondo di gioco e di contesto, siamo onesti, al limite del deprimente.
     
    E dunque, capita di sentire il tamarro coerente e sborone contrirsi nel più devoto dei confiteor, il radicalchic in servizio permanente effettivo sacramentare in vernacolo sugli augusti deretani granata, giallorossi, a strisce, tutti democraticamente deflorati dalla supposta del Pipita. Già, perché poi diciamolo, vincere giocando così male … e, suvvia, il fallo su Glik c’era, se urliamo il “dalli all’untore” quando si tratta di Chiellini o Marchisio, è uopo dar di cenere al proprio malconcio capo. Cospargiamoci tutti, “nous sommes tous des voleurs”.
     
    Io, per parte mia, prendo meno sul serio la cosa.
    Si è semplicemente vinta, godendo come mandrilli in astinenza perché correva il novantesimo, una partita giocata, come spesso da mesi, sottotono, senza uno straccio di cambio di ritmo. L’epilogo si consuma su una azione forse dubbia, ma non sanzionabile con certezza, ad onta del tamtam mediatico predisposto, con premeditata protervia, da anchormen d’accatto con lingue d’ordinanza lordate di letame. Io, come uno dei miei totem letterari, l’accademico di Spagna e tifoso madridista Javier Marìas, penso che la vita è ingiusta e che non sempre rispetta il merito: così ha sentenziato in una delle sue “Storie di calcio”. Ma, col barone di lapalisse, non potrei negare che vince chi la butta dentro, vale a dire chi porta con sé il merito più grande ascrivibile a un qualsiasi artigiano del pallone. Insomma, si è messa agli atti una partita che l’avversario ha complessivamente giocato meglio, ma senza possedere preventivamente la qualità che consente di venir fuori da un impasse antipatica. Il colpo d’ala che ti fa trasformare in oro un episodio anodino, quello di ReMida-Prometeo Higuain.
     
    Questi rigurgiti di moralismo postumo, questi liofilizzati di buonismo ipocrita, mi lasciano basito.
    Avimmo vinciuto, e punto. La storia del calcio è piena zeppa di risultati bugiardi. ma la menzogna, diceva Sienkiewicz, galleggia sulla superficie della verità. Il risultato bugiardo non esiste, al netto di furti progettati e realizzati nelle stanze del potere, anche ai livelli più alti. La fascistissima Italia del ’34 ci ha costruito la vittoria in un mondiale casalingo, garantendosi preventivamente la vittoria sulla Spagna. L’imperturbabile Inghilterra, stessa cosa, nel ’66. Ci provarono con la Corea, nel 2002. E poi la finale di Italia ’90, che D10S “doveva” perdere in casa sua. Quella fu ruberia preconfezionata per la quale Beckenbauer, che oggi si stizzisce per l’ispanizzazione dell’identità bavarese del Bayern, mai ha sentito di proclamare un accorato “penitenziagite”. 

    Ecco, il risultato bugiardo.
    Penso ancora a quei mondiali del ’90, nello stesso stadio in cui si è giocato ieri sera. Era san Giovanni, festeggiavo il mio papà. Quel quarto di finale a senso unico tra Brasile e Argentina, dominato in lungo e in largo dai verdeoro. C’era mezzo Napoli lì in mezzo, e pure qualcosa di più. Careca, Alemao, Maradona. Pali, traverse, assedio. Poi, al crepuscolo del giorno e del match, D10S, non più asciutto come quattro anni prima, prova la serpentina, contratto, bloccato, arginato. Ma mette una magia per quel cavallo pazzo, ossigenato, imprendibile di Claudione Caniggia. Il mondo si indignò. Come si era osato oltraggiare la sontuosa, aristocratica lezione di Sublime dei signori del calcio? Risultato bugiardo, bugiardissimo. Eh, no. Così si dà ascolto alle proprie menzogne, così non si distingue più la verità, come un Karamazov qualunque. No. Come nel caso di Torino-Napoli, come per la prodezza del Pipita, risultato giusto e vero.

    Perché Maradona ci diceva che Bello e Vero coincidono, e lui era Bellezza. Stava arrivando Mahmud Darwish a dirci “Beato colui che è sconfitto da Maradona”.
     
    *Docente di Lingua e Letteratura Latina

    Condividi questo post