San Paolo, lo status quo che Sscn e Comune non cambieranno mai

Al club fa comodo utilizzare un impianto che non possiede e che è in una posizione gradita ai tifosi. Al sindaco torna utile la proprietà di una struttura che dà potere in mille forme diverse. Si andrà avanti a suon di proroghe. I bagni? Resteranno quelli
  • di Francesco Bruno

    La vicenda San Paolo sta diventando paradossale. Il balletto tra De Magistris e De Laurentiis va avanti ormai quasi quotidianamente a suon di conferenze stampa e interviste, ma progressi definitivi in ordine alla ristrutturazione dello stadio non se ne registrano. Nel frattempo il livello del confronto si abbassa clamorosamente. Nelle scorse settimane si è riusciti anche a discutere sulla pulizia dei bagni, e sull’argomento, certamente di rilevanza nazionale, è intervenuto perfino un noto telecronista Mediaset.

    Alla base dell’annosa questione c’è uno stadio, il San Paolo, che risulta agli occhi di chi lo frequenta quasi fatiscente, nonostante i numerosi interventi effettuati negli ultimi anni soprattutto con lo scopo di adeguarlo alla regolamentazione Uefa. E c’è una convenzione stipulata dieci anni fa con l’allora sindaco Iervolino, che fu talmente favorevole per la società da voler quasi rappresentare una sorta di contributo comunale nella fase di rinascita del Calcio Napoli. A dieci anni di distanza, e con un fatturato societario passato da 10 a oltre 150 milioni di euro, è lecito, da parte dell’Amministrazione comunale, richiedere alla Ssc Napoli un congruo aumento del canone. Ma è francamente improponibile volere addossare al Napoli una ristrutturazione radicale dell’impianto, senza che a quest’ultimo venga concesso un cospicuo arco di tempo di pieno utilizzo tale da poter rientrare dall’investimento effettuato. Se, come sembra, la durata della proroga della convenzione d’uso dello stadio sarà soltanto fino al 2016, prepariamoci a un futuro caratterizzato da altre scaramucce verbali tra il sindaco e il presidente, con annessi fantomatici proclami di costruzione di un nuovo stadio in una qualsiasi altra zona della Campania, senza che seri progetti di riqualificazione e ammodernamento del San Paolo vedano la luce.

    D’altra parte, la situazione sta bene a tutti. L’imprenditore De Laurentiis svolge la sua attività in un immobile che non è di sua proprietà e che si trova in una posizione logistica graditissima ai suoi clienti-tifosi. Per di più, come le vicende giudiziarie dinanzi alla Corte dei Conti dimostrano, può pagare il canone come e quando vuole, essendo certo che mai nessun sindaco di Napoli sarà disposto a sloggiare il Napoli da Fuorigrotta. Ma anche il sindaco De Magistris, che è il proprietario, ha tutto da guadagnare. Detenere un impianto sportivo pubblico significa, dal punto di vista politico, gestire un potere enorme. Al di là del terreno di gioco e di quanto compreso nella convenzione, tanti altri spazi e tante altre strutture restano a disposizione di amici ed amici degli amici che, a tempo debito, se ne ricorderanno.

    Una volta fatte queste semplici considerazioni diventa pura fantasia pensare che il tempio di Fuorigrotta possa essere radicalmente ristrutturato, o che addirittura dalle sue ceneri possa nascere uno stadio nuovo. Si andrà avanti di proroga in proroga e a noi poveri tifosi non resterà, a proposito di servizi igienici, che dotarci di comodi pannoloni, magari azzurri, che andranno ad arricchire il nostro classico abbigliamento da stadio fatto di sciarpette e cappellini.

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