Via Benitez, dentro De Luca: io dico che sono due facce della stessa Napoli

Il primo voleva programmare la crescita: ci siamo spaventati solo a sentirne parlare. Il secondo ci ha proposto il peggio in fatto di liste e candidati, perché sa bene che per noi la galleria degli orrori è un’attrazione irresistibile
  • [Foto: spazionapoli.it]

    di Francesco Pacifico

    Il parallelo è ozioso e cervellotico, caro Extranapoli, ma c’è un filo che lega la vittoria di Vincenzo De Luca alle Regionali e la cacciata (anche se non l’avesse preso il Real Madrid se ne sarebbe andato) di Rafa Benitez. E il filo conduttore è Napoli, meravigliosamente incosciente e autolesionista nel guardare al futuro. De Luca e Benitez sono due personaggi opposti. De Luca ha conquistato il consenso schierando la provincia contro la città, applicando il keynesismo nella sua accezione peggiore: rendendo Salerno un cantiere aperto con opere che sarebbero ingombranti anche a New York o a Tokyo. Benitez è arrivato a Napoli, convinto che «una città straordinaria avesse bisogno di una gestione ordinaria». Come se fosse possibile ridurre la Questione meridionale in poche parole. Lui ci ha provato, con una coerenza imbarazzante, a mettere regole. Ad ADL non ha chiesto soltanto un vigile urbano come Mascherano a centrocampo, ma ha provato a strappare anche una piscina olimpionica a Castel Volturno e un progetto per il settore giovanile in una città dove in ogni angolo si gioca a pallone. Perché soltanto una società ben organizzata, che si autofinanzia a 360 gradi, può vincere lo scudetto. Almeno questo succede all’estero, da Torino in su.

    De Luca ha rastrellato impresentabili di ogni risma. E l’ha fatto con mestiere sapendo che ex fascisti, residui della terza internazionale, gomorristi, omofobi e pervertiti (questo almeno secondo la magistratura e la Bindi) sarebbero stati la perfetta cassa di risonanza alla sua candidatura. E l’ha fatto perché, meglio ancora di Goethe, ha capito che Napoli è un inferno a forma di paradiso, dove solo i peccatori sanno prosperare. Benitez – piazzati il primo anno i “madridisti” anche per la gioia del suo procuratore – non ha più toccato palla sul calciomercato. Certo, ADL gli ha “rottamato” quella rogna di Cannavaro, cuore generoso ma vittima di un entourage di puntuti procuratori e fratello; per il resto l’allenatore ha gestito nel modo peggiore lo spogliatoio: ha brandito il dialogo dove – da Pesaola in poi – certi atteggiamenti si correggevano con urla e schiaffoni. Ha continuato a far giocare Insigne, nonostante il giocatore – pubblicamente – si ribellasse ai tentativi del mister di insegnargli a rientrare e di farne quel calciatore completo amato da Prandelli prima e poi da Conte. Ha rispettato e protetto il capitano, nonostante questi facesse le bizze per un ruolo che copre da anni in nazionale. E si è affidato alla squadra – nelle semifinali con la Lazio e il Dnipro o ieri al San Paolo – convinto di essere di fronte a dei professionisti. Che ingenuo.

    De Luca ha trovato sulla sua strada prima Matteo Renzi che aveva bisogno come il pane di un successo al Sud. Eppoi Rosy Bindi, che coatta nella meccanicità dell’apparatnicik, non si è nemmeno accorta che stava per creare un martire. Benitez ha avuto un datore di lavoro come De Laurentiis che vagheggia l’Nba, ma poi nei fatti – siccome a Napoli le magliettine si vendono solo false e il Comune vede lo stadio come un ammortizzatore sociale – non ha voluto aspettare un anno in più per creare qualcosa di bello che sarebbe passato alla storia. E se De Luca ha avuto la fortuna di imbattersi in una Bindi, Benitez ha dovuto accettare di essere triturato nelle parole di Auriemma e di una stampa codina, che ha venduto come grande calcio il baricentro basso e palla a Cavani che corre 60 metri e la butta dentro. De Luca darà a Napoli forca e farina, nell’accezione moderna di tagli di nastri, luminarie e liste di proscrizione (queste vere, non certo quelle della Bindi) cariche di avversari. Benitez voleva dare un progetto, per rendere stabile e duraturo quello che adesso è uno spleen di amore e disperazione. Fare del Napoli un’eccellenza in grado di portare lustro alla città a livello internazionale, magari aprendo un percorso per creare un indotto di buona gestione, che avrebbe generato altre occasioni nell’industria dell’intrattenimento e dell’accoglienza. Posti di lavoro e un muro alla diserzione di intelligenze e di capacità. Non soltanto uno stramaledetto scudetto, per fingersi civili.

    Un tempo avremmo detto che Napoli – votando De Luca e cacciando Benitez – aveva difeso la sua unicità e la sua libertà. E pazienza se abbiamo perso un’altra occasione. Oggi dobbiamo ammettere che Napoli si è soltanto arroccata sulla sua mediocrità.

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