Carlo Alvino, il sorriso azzurro che manda in bestia i veronesi

Vi riproponiamo anche questo articolo pubblicato a propositio dell'aggressione subita da Carlo Alvino al Bentegodi durante Verona-Napoli dell'andata. Nell’occasione il dg scaligero definì «esemplare» il comportamento dei suoi tifosi...
  • di Errico Novi

    Gli inni nazionali non sono allegri. Sono solenni, ma non festosi. Certo con qualche eccezione: l’inno cubano, quello brasiliano forse: casi sporadici. Perché è così? Perché gli inni nazionali sono innanzitutto l’omaggio ai caduti per la patria. Danno il senso dell’unità della Nazione che si stringe attorno al sacrificio di chi l’ha difesa. Cantare un inno nazionale sulle gradinate di uno stadio, che dovrebbero essere luogo di festa, stona un po’. Ancor più quando quel coro dovesse levarsi per celebrare un gol, o una vittoria prossima a essere ottenuta. I veronesi festeggiano spesso i loro gol e le loro vittorie con l’inno inglese. Una cosa con cui tecnicamente non c'entrano nulla. Lo adattano, invece di “God save te Queen” dicono “Ale Verona alé, ale gialloblù”, ma il motivetto vagamente funereo sempre quello è. Sono fatti così, c’è poco da fare. E sono la nostra antitesi: loro cupi, un po’ necrofili, grevi, chiusi allo straniero; noi gioiosi, solari, aperti. A pensarci ogni altra considerazione sulla rivalità tra Verona e Napoli è superflua: nell’opposta gradazione dell’anima di queste due città c’è già il senso di ogni contrasto. Adesso, è inevitabile che Carlo Alvino si trovi sempre in mezzo a questa cosa. Perché Carlo, con il quale chi scrive ha avuto il privilegio di lavorare, è la gioiosità partenopea fatta persona. È allegro, il suo esultare ai gol del Napoli è di una spontaneità quasi infantile, non è mai animato dalla rabbia o dalla vendetta ma sempre, più di tutto, dall’amore per quello da cui proviene. Lui e il suo modo di condurre le telecronache tifose su Sky rappresentano l’erompere di un’umanità che i veronesi sentono irrimediabilmente opposta alla loro. Nel suo essere solare Carlo provoca invidia ai veronesi, esattamente come la provoca Napoli nella sua essenza.

    È per questo che al Bentegodi Carlo Alvino si trova nelle vergognose condizioni in cui l’abbiamo visto domenica scorsa. Quando in tribuna centrale l’esultanza al gol di Dzemaili gli è costata un bombardamento di oggetti da parte dei sovrastanti tifosi gialloblù in tribuna centrale, con accluse minacce di linciaggio. La cosa ancora più vergognosa è data dall’atteggiamento di chi avrebbe dovuto garantirgli l’incolumità, cioè il direttore generale del Verona Giovanni Gardini. Ieri in un intervento telefonico alla trasmissione di una tivù locale veneta ha avuto la sfrontata arroganza di sostenere che «i nostri tifosi ancora una volta sono stati esemplari». Ma esemplari in cosa, nel modo in cui hanno costretto Carlo a sospendere la telecronaca? Ma in cosa??? Questo spericolato dirigente ha poi espresso il suo stupore per i report che i media hanno restituito del pomeriggio al Bentegodi: «È incredibile quello che abbiamo potuto leggere su quotidiani e siti internet vari». Fino al ridicolo rivoltamento della frittata: «I napoletani non hanno il giusto atteggiamento, che dovrebbe essere quello di chi è ospite. Noi in giro per l'Italia non ci comportiamo così». Non si scappa. Sono così, e sono compatti nel dimostrarlo.

    Carlo e la sua allegria contribuiscono ogni volta a mandare in tilt i tifosi e l’organizzazione del club scaligero. Era già successo il 26 maggio del 2007, nell’ultimo Verona-Napoli disputato al Bentegodi prima di domenica scorsa. Quella volta l’aggressione si consumò non dopo un gol del Napoli ma immediatamente dopo la rete con cui i gialloblù accorciarono le distanze, come potete vedere nel filmato che trovate sotto l’articolo. Evidentemente Carlo non aveva avuto alcuna espressione che potesse attirare l’isteria dei presenti, in quel momento: lo avevano individuato e se lo andarono a cercare. Proprio come se lui fosse l’incarnazione di un nemico collettivo, come se rappresentasse la gioiosità napoletana tanto sconosciuta a loro, tetri abitanti delle terre subalpine. Io lo riconosco, Carlo, in questa sua genuina solarità partenopea, per averci lavorato assieme. È stato il mio direttore nella redazione giornalistica di un’emittente napoletana. Le nostre scrivanie facevano angolo, la mattina Carlo mi dava le consegne per i servizi da realizzare e le condiva tutte con una chiosa divertita, con una battuta. Avevamo un datore di lavoro genialoide ma molto impegnativo, e anche nei momenti più tesi non ho mai visto Alvino perdere il suo sorriso. Sky non avrebbe potuto compiere scelta migliore, nel chiedere a lui di fare la telecronaca tifosa del Napoli. Perché Carlo riesce a non perdere quel sorriso di napoletano vero neppure quando cercano di rinfacciarglielo come una colpa.

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