Tifare Napoli è un’altra cosa, è un filo che ci unisce in tutto il mondo

Non passeremo mai il tempo a lucidare trofei in bacheca. Ma questa passione è uno stato d’animo che gli altri neppure immaginano. Lo racconta il nostro Alessio Capone dopo il suo primo anno finalmente vissuto in giro con gli azzurri
  • di Alessio Capone

    Insomma ci siamo. Il prossimo calendario è stato stilato e a pochi passi dal primo impegno ufficiale, con delle amichevoli di lusso ad accompagnarci, ci arrabattiamo nei nostri classici deliri da mercato. Tra incontentabili che vogliono sempre di più e che mal digeriscono la figura del nostro presidente e accontentabili (tra i quali mi colloco) che, guardando al passato, si tengono stretti questi ultimi anni di soddisfazioni. Comunque tutti insieme sotto il faro di quel grande obiettivo comune.

    Poco importa. In questa sede voglio parlarvi della stagione conclusasi poco più di due mesi fa. Una stagione speciale, per me. La prima di vera Condivisione. Grazie al web, ai social (Facebook in particolare) non sono più un tifoso solitario che vive una passione insieme al fratello e al padre e trasmessa dal nonno. Adesso siete tantissimi. Tutto è cominciato grazie ad un’amica in comune con Alessandro Coraggio, napoletano trasferitosi a Milano che ho aggiunto tra le mie amicizie perché... dai, non avete bisogno che vi spieghi il perché! Lui e Roberto Bratti sono stati i fautori della mia prima tessera in un Napoli Club: il Napoli Club Milano. Non solo. Mi hanno anche coinvolto (sobbarcandosi la faticosa ricerca dei biglietti anche per me “non tesserato”) in ben tre trasferte organizzate che, unite alla consueta (per me) trasferta a San Siro e alla mia prima al San Paolo, hanno fatto sì che quella scorsa sia stata la stagione in cui ho collezionato più presenze in assoluto allo stadio. Già, il mio Battesimo al San Paolo. Quello lo devo a Gino Di Mare che non ha esitato un istante ad invitarmi da lui una volta appreso che non avevo mai visto il Napoli giocare in casa. No, non ci conoscevamo nemmeno, ovviamente. Questione di feeling, questione di tifare Napoli. E sempre a Gino devo l’ingresso nel gruppo dei Malati Azzurri, dove ho capito che la mia malattia è una cosa normalissima, dove ho conosciuto tra i tantissimi (non vi posso citare tutti, ma grazie davvero ad ognuno di voi) anche Boris Sollazzo, uno dei fondatori di questa bellissima web magazine alla quale mi ha invitato a partecipare attivamente. Non posso non citare Mimmo Taglialatela e il suo gruppo di Cazzeggiatori (sì, ci siete anche voi, e chi se lo scorda più?). Lui l’ho conosciuto perché “uno con il tuo cognome lo devo avere per forza tra gli amici” e alla fine ha accettato la mia richiesta. Io ve l’ho detto che sono malato. Infine (non è vero, la lista sarebbe lunghissima, ma son sicuro che mi capirete), Matteo Forte. Con lui ci scriviamo in continuazione, prima e dopo ogni partita: ha vissuto per diciassette anni a sette chilometri dalla mia città e non l’ho mai conosciuto, e adesso che siamo a settecento chilometri di distanza sto male se non gli do la buona notte. Questione di feeling, questione di tifare Napoli.

    Sono lontani i tempi in cui quel bambino in classe si sentiva solo, circondato da compagni che tifavano sempre e solo per quelle tre là. Anni in cui tifare Napoli era davvero difficile, soprattutto in una scuola di Busto Arsizio. Anni in cui tutti avevano quelle figurine speciali che prendevano in giro le altre squadre. Tutti, tranne lui. Perché quelle figurine esistevano solo per quelle tre squadre là. Sono lontani i tempi di quell’unico, breve e indelebile momento di incertezza: quel giorno in cui quel bambino decise di prendere le figurine e l’album dell’Inter per non sentirsi escluso, perché l’altro nonno tifava per l’Inter. Durò qualche settimana, fino a quella fatidica figurina che non ricordo come cominciasse ma che finiva lo sfottò con: “...al Napoli che sta andando sempre più a fondo”. È ancora vivida quella stretta allo stomaco che sembrò soffocarmi: buttai via tutto, in quel preciso istante capii che non c’era scelta e che l’amore mio mi andava bene anche in un polmone di acciaio. E qui, amici miei, so che mi avete capito. Già, “la più bella tra le belle...”. È esattamente così.

    Quindi rilassatevi e non avvelenatevi per i pochi acquisti arrivati sin qui o per un presidente che vi va poco a genio (al quale comunque dobbiamo molto). Perché tifare Napoli non è una rincorsa al nome ad ogni costo, tifare Napoli non si riduce ad uno sporco conteggio di coccarde e tifare Napoli, rassegnatevi, non vorrà mai dire lucidare innumerevoli coppe in bacheca, ma non vorrà nemmeno mai dire mettere a ferro e fuoco una città, la propria città, quando le cose vanno male. Forza Napoli è qualcosa di diverso. Forza Napoli è qualcosa di illogico, con buona pace del pur bravo Cremonini; qualcosa che va al di là del bene e del male, della vittoria e della sconfitta. Forza Napoli è una condizione emotiva, una predisposizione mentale, qualcosa che ci permetterà di riconoscerci a pelle nel mondo sempre. Sì, anche a me che non sono nato lì. Ecco la vera potenza che sta dietro forza Napoli: un insieme di battiti, di emozioni, di gioie, di sofferenze. Condivisione vera e solidale. E non sono frottole, la passata stagione è lì a dimostrarmelo: quelle braccia di sconosciuti che mi hanno strattonato per un gol allo stadio, quell’impegno di persone conosciute da poco per permettermi di vivere esperienze inedite. Forza Napoli è qualcosa che ti fa sentire speciale, unico, vivo.

    Forza Napoli.

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