La Grande Bellezza di Napoli? Noi la vedemmo una notte di maggio

Quella che ci accompagnò verso Napoli-Fiorentina del Primo Scudetto fu una settimana da sogno. Cominciata con il ritorno dalla trasferta di Como, portò in paradiso una città fasciata d’azzurro che non era mai stata così unita
  • di Ivan Cappuccio

    Nel momento in cui Andrea Carnevale stoppò (di mano) il pallone e lo buttò dentro proprio sotto la nostra curva, iniziò la settimana della passione, del sogno, della felicità. Como-Napoli era finita, la pioggia invece no. Quel 3 maggio del 1987 era scesa per tutta la giornata in riva al Lario. Eravamo partiti con il nostro pullman, quello dei Blue Lions, da Piazza Plebiscito come sempre a mezzanotte quando c’erano le trasferte al Nord Italia, ed eravamo consapevoli che dopo la partita del Sinigaglia si poteva aprire finalmente la porta del paradiso. C’erano tutti nel pullman, non mancava nessuno, l’appuntamento era troppo importante. Avevamo vinto a Torino, a Bergamo, all’Olimpico, mancava l’ultimo tassello e poi potevamo esplodere di gioia. Il Como era passato in vantaggio con Giunta e noi soffrivamo parecchio, ma l’Inter che in quel momento ci inseguiva perdeva ad Ascoli e tutto procedeva nel verso giusto.

    Andrea Carnevale da Monte San Biagio insaccò alle spalle di Paradisi e pareggiammo la partita. Al triplice fischio dell’arbitro Bergamo di Livorno eravamo bagnati fradici, ebbri di gioia con la certezza che bastava battere la Fiorentina in casa per vincere lo Scudetto. Raggiungemmo i pullman, salimmo su e ci asciugammo con le tendine coprivetri. Le luci della sera erano scese e iniziò il lungo ritorno verso Partenope. Vedere negli occhi dei tuoi amici, dei tuoi fratelli grandi e piccoli la gioia per essere ormai a un passo da quello che i nostri padri e i nostri nonni avevano sognato in tutti i 60 anni di storia del Napoli è una delle cose più emozionanti della vita di un tifoso. Nella notte in autostrada nessuno riuscì a dormire pensando a cosa sarebbe successo la domenica successiva con la Fiorentina, ricordo il silenzio e ’o burdello, i pianti di gioia e le risate, la gioia, la felicità. Quello era, come diceva Leopardi, il sabato del villaggio: l’attesa della felicità è la felicità stessa. Nasceva in quei momenti l’attesa per una cosa mai vissuta prima, sempre sognata, sempre desiderata e adesso era proprio lì a una manciata di giorni. Mi ripetevo spesso tra me e me: «Possibile che tutto questo sia successo a me, possibile che Diego giochi e vinca con noi?».

    Arrivammo a Napoli alle prime luci dell’alba, una corsa alla prima edicola per comprare tutti i giornali possibili e godere ancora una volta. La nostra città non è mai stata così bella nella sua storia come in quella prima settimana di maggio. Iniziò una corsa alle mercerie per acquistare stoffa azzurra e tricolore per poter imbandierare ogni angolo, ogni strada, ogni vicolo, ogni piazza di Napoli. Avere, come me, 17 anni a quel tempo lo reputo un privilegio, a scuola era festa, per strada era festa, la notte era festa. Avevamo appuntamento con l’eternità. Ho sempre sostenuto che vivere quella settimana che ci portò al 10 maggio è stato un dono divino, abbiamo conosciuto tutti il vero volto di Napoli, la Napoli dei sorrisi, della solidarietà, della festa, della passione. La città era dipinta d’azzurro, eravamo tutti coinvolti, giovani,vecchi, bambini, donne e neonati. Adesso il mio desiderio è poter far vivere quelle fantastiche emozioni a chi non c’era a quel tempo per motivi anagrafici e magari riviverlo noi stessi, perché la gioia di uno Scudetto vissuto all’ombra del Vesuvio è una festa globale che non ha eguali nel mondo. Speriamo bene.

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