Ecco a voi Citterio 'o scartellato, primo di una lunga serie di “perché”

EXTRA FLOP. Con lo sgraziato terzino inauguriamo una rubrica che farà rivivere momenti, per un motivo o per l'altro, indimenticabili
  • Citterio nel Napoli 81-82: in alto, secondo da sinistra

    di Errico Novi

    Ci siamo visti una sera, e quella è stata la sera in cui è cominciato tutto: Extranapoli viene al mondo in mezzo a paccheri variamente conditi e la certezza che un sito sul Napoli dovesse raccontare innanzitutto le nostre storie di tifiosi. Quelle sì che avvicinano i milioni e milioni di appassionati sparsi per il globo, più di tutto il resto. Di ricordi dunque ne avremmo parlato, ci si disse quella sera, e poi ci venne un lampo, a tutti: «Se c'è una cosa che non può mancare sono le pippe. Quelli proprio scarsi, che ci pensi e ti chiedi come cavolo abbiamo fatto a comprarli». Il primo nome è Prunier. Il secondo a ruota è frutto di uno sforzo di concentrazione più tecnico: Esteban Lopez, il terzino destro che arrivò dall'Udinese insieme a Montezine. Poi i nomi girano, girano come la ruota di un luna park dell'orrore e qui, direbbero i matematici, comincia a osservarsi una progressione aritmetica: più vai avanti, e più la percentuale di terzini sinistri flop che saltano fuori si fa impressionante. Com'è che ne abbiamo avuti così tanti? «Extra flop, chiameremo la rubrica Extra flop». Sì, non ti distrarre: perché tanti terzini sinistri? E chi lo sa: Frappampina, Boldini, Rizzardi, ma anche La Palma. E in fondo anche quelli che come giocatori avevano un perché si macchiarono di scempi abominevoli, vedi la doppia fetecchia di Carannante nella semifinale di coppa Uefa col Bayern Monaco. Concessomi l'onore di inaugurare questa splendida rubrica, parto da lì: dal ruolo che oggi, per fortuna, è di Zuniga e Armero. In particolare, da un quasi contemporaneo dei vari Frappampina e Boldini: Filippo Citterio. E sì, lui. Che in realtà non meriterebbe proprio proprio le celie a cui vi abituerà Extraflop. Ma ci sta per fatto personale. Gli dice solo male che cominci io, dunque.

    Filippo Citterio gioca nel Napoli dell'82-83: il primo Napoli che vedo allo stadio. Si parte con qualche speranzella d'Europa, traguardo che negli anni precedenti era stato raggiunto quasi sempre. È arrivato Diaz, astro nascente del calcio argentino, con lui il baffuto centrocampista Dal Fiume e quasi nient'altro. Ma ci sono ancora colonne del recente passato, a cominciare dal grande Rudy Krol per finire con il prolifico Claudio Pellegrini. Citterio è a Napoli già dall'anno prima, ha pure segnarto un paio di volte, è un terzino fluidificante che, per spiegarci, sarebbe un po' una via di mezzo tra Aronica e De Ceglie, almeno come corporatura. In realtà ha una caratteristica tutta sua: è molto magro e corre un po' ingobbito. Il suo guaio, perché questo è il segno particolare che lo condanna all'eterno ricordo. Almeno il mio. Va detto che i sogni se non di gloria almeno di pace svaniscono presto: Diaz si rivela l'unico argentino afflitto da saudade (quella in genere ce l'hanno i brasiliani), Criscimanni è l'ombra di se stesso, Pellegrini pure, Krol fa i conti con il suo orologio biologico. Resta il solo Castellini a tenere botta ma a volte gli gira la testa tanti sono i pallloni che arrivano, E Citterio, direte? Citterio va (a proposito di terzini che vanno, va detto che fu geniale il coro dei veronesi a Caverzan: "Caverzan/ Caverzan/ sulla fascia va/ Caverzan/ Caverzan/ dove casso va?"), Citterio va, dicevo. Non è dei peggiori. Il punto è come va. Ingobbito, magro, con le scapole che quasi gli escono di fuori, come il naso d'aquila che in effetti gli esce fuori del tutto. E qui entra in scena mio padre.

    Mio padre non sa di calcio, sviluppa anzi forme antipatizzanti verso quelli che ne sanno troppo. Però con me fa un gesto di vero amore paterno: capisce che a 11 anni sono già malato di pallone in modo irreversibile e mi asseconda, mi accompagna al San Paolo. È rimasto colpito dai Mondiali di Spagna (siamo nell'82), da come li ho vissuti, soprattutto dal fatto che da lì ho cominciato a comprare tutti i giorni la Gazzetta e non ho smesso per l'intera estate. Fa un sacrificio e non mi fa perdere una partita in casa. Ma la squadra va come va e la sua reazione di profano indispettito dai patiti onniscienti si scarica tutta sul povero Citterio. Quando passa sotto di noi lo fulmina impietoso: «'O Citte', oilloco 'o scartellato...». Mi sforzo di vedere anche l'evanescenza di Criscimanni, la sterilità patologica di Diaz, le inutili corse di Scarnecchia. Ma alla fine anch'io mi convinco che l'andatura sgraziata di quel terzino è il simbolo della nostra armata brancaleone.

    Deve arrivare il grande Bruno Pesaola a tirarci fuori dai guai, fino a una salvezza presa all'ultima giornata con un gol di tacco segnato da Dal Fiume. Alla fine Citterio tira la carretta come gli altri, gioca quasi tutte le partite, non gli si può attribuire nessuna specifica colpa. Se non quello scartiello che poi magari ci portò anche un po' della fortuna necessaria a scansare la B, chissà. Fatto sta che Filippo deve aver sentito addosso troppi sguardi insoddisfatti e a fine stagione se ne andrà per sempre, all'Ascoli. Mio padre dovrà scegliersi un'altra vittima. Io lo rimpiangerò di lì a poco, quando al suo posto ne arriveranno addirittura due, Simone Boldini e Angelo Frappampina. Che messi insieme non facevano uno scartellato.

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