Era il 5 luglio di 30 anni fa: «Buonasera Napolitani…». Ma quell’epopea può tornare

Oggi ricorre l’anniversario della presentazione di Diego al San Paolo. Più che rimpiangerlo come un’apparizione divina irripetibile, dovremmo convincerci che noi, Maradona, ce lo siamo meritati. E che meritiamo nuove vittorie come quelle vissute con lui
  • di Errico Novi

    Ecco, quella sera cambiò tutto. Nulla sarebbe stato come prima. Noi tifosi del Napoli siamo nati una seconda volta il 30 giugno 1984. Quella sera il nostro zapping artigianale si paralizzò davanti alla sovraimpressione di Telestudio 50: a tutto schermo e a caratteri lampeggianti c’era scritto “Maradona è del Napoli!”. Io personalmente mi accappottai da sopra alla sedia. Dopo nemmeno due minuti sentii già i caroselli delle auto. Ancora paralizzati dall’incredulità qualche giorno dopo corremmo al San Paolo per vederlo palleggiare venti secondi. E per incantarci al suono di quelle parole: “Buonasera Napolitani, sono felice di essere con voi…”. Era il 5 luglio. Trent’anni giusti giusti.

    Già in quella specie di folgorazione improvvisa era evidente, era implicito che la nostra vita di tifosi sarebbe cambiata per sempre. Così è stato. Ma trent’anni dopo è giusto chiedersi se noi napoletani sentiamo fino in fondo l’orgoglio di aver avuto il più grande di tutti i tempi. A volte penso di no. L’ho pensato davanti al film di Marco Risi su Diego, qualche anno fa. E mi sembra chiaro quando leggo un certo irriducibile, fatale pessimismo negli occhi di tanti amici innamorati della maglia azzurra come me. Noi siamo ancora convinti di aver ricevuto una grazia, la visita imprevista di una divinità. È scesa tra noi, ha fatto molti miracoli, ci ha concesso di vivere per 7 anni al di sopra dei nostri sogni, poi se n’è andata e siamo tornati com’eravamo. E no. Non può essere così.

    Mi piacerebbe se ci sforzassimo di credere che noi Maradona non solo ce lo siamo meritato, ma meriteremmo di riavercelo ancora, se solo fosse possibile. E soprattutto mi piacerebbe che cominciassimo a vedere in Diego e nelle meraviglie che ci ha concesso di vivere “il motore per un futuro di vittorie”, come ha detto Maurizio De Giovanni a Boris Sollazzo a proposito del primo scudetto. Maradona ritorna, vedrete. Non nel senso che torna lui, o uno come lui. Ma perché può tornare, se solo ci crediamo, un Napoli così. E soprattutto, noi meritiamo di vivere di nuovo quell’epopea.

    Invece a volte ho l’impressione che la maggioranza dei tifosi napoletani si senta come una specie di cenerentola che ha vissuto l’incanto di una notte – una notte bellissima durata sette anni – e ora è destinata a restare per sempre con i suoi poveri stracci. Così a ogni errore di un giocatore del Napoli, a ogni stagione in cui pur tra molte prodezze non arriva il tricolore, noi sentiamo come l’avverarsi di una profezia di sconfitta, e cominciamo a imprecare contro il primo che passa: in genere, De Laurentiis.

    Nel calcio lo sconfittismo esiste. E noi che abbiamo avuto il più grande di tutti avremmo il dovere di liberarci di un sentimento simile. Di questo 5 luglio rivissuto 30 anni dopo proviamo a fare la promessa di nuove vittorie. E ricordiamoci che le vittorie, prima ancora che dei fatturati, hanno bisogno della fede di chi le aspetta.

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