Mi dite a che serve un nuovo stadio a Napoli se il resto è una giungla?

Vi racconto una giornata di ordinario far west metropolitano vissuta al San Paolo. Dai trasporti ottocenteschi alle prepotenze di chi occupa il posto altrui. Vale davvero la pena di ristrutturare l’impianto senza cambiare prima tutto il resto?
  • di Nello Del Gatto

    Ha senso fare lo stadio senza pensare a formare i suoi occupanti o coloro che ci devono lavorare? No, non credo. È come se nel Risorgimento si pensasse a fare l’Italia e non gli italiani. Un paragone che può sembrare irrispettoso, ma che non lo è e che mi dà la possibilità di raccontare una giornata di ordinaria follia e disorganizzazione.

    Con gli amici, decidiamo di andare a Napoli a vedere la sfida con la Fiorentina. Partiamo in auto da Roma. Già all’altezza dello svincolo per Acerra, c’è molto traffico. La radio annuncia che la tangenziale è impraticabile per il traffico diretto allo stadio. Dobbiamo quindi desistere dal nostro primo proposito di arrivare in zona e parcheggiare da qualche parte. Da un lato meglio: stavamo scervellandoci su dove lasciare l’auto, visto che nei dintorni del San Paolo di parcheggi non ne esistono, a parte quello poco dopo l’uscita del casello che si riempie subito. Decidiamo di andare con i mezzi pubblici, arriviamo a piazza Garibaldi e parcheggiamo. Nella Napoli delle stazioni della metropolitana più belle d’Europa, l’unico mezzo per arrivare allo stadio è ancora la vecchia rete ferrata. La stessa che prendevo da studente, venti e passa anni fa. I convogli sono gli stessi, la versione successiva alla diligenza da Far West. I dintorni dello stadio sono a metà tra una bolgia dantesca e un infimo bazar arabo. Consci del fatto che per evitare malattie è meglio non avvicinarsi a quelli che non possono neanche essere chiamati servizi igienici all’interno dello stadio, paghiamo un caffè in un bar per poterci liberare. Forti del biglietto già acquistato, ci facciamo largo nella folla che mi rimanda alla memoria l’esodo degli ebrei verso la terra promessa e arriviamo ai tornelli. Lì ci ricongiungiamo con altri tre membri del gruppo, arrivati in treno da Roma. Ci accolgono giovanotti con pettorina fosforescente. Senza che nessuno guardi il biglietto, senza che nessuno controlli che il biglietto che ho in mano sia proprio mio, entro. Che cavolo ho dovuto portare a fare il documento quando ho comprato il biglietto? Perché mi hanno negato l’acquisto del biglietto per mia moglie della quale non avevo il documento? Ma, comunque, mi sento un fortunato e, credo, sia stata la mia stazza a rendermi tale. Perché vedo uno dei miei amici, più piccolo fisicamente di me, che, mentre entra, deve subire la quasi sodomizzazione di un gentleman venuto probabilmente da Oxford il quale, con la complicità dell’uomo in pettorina, entra senza biglietto. Vi assicuro che il mio amico non è propenso alla sodomia, ma non ha potuto replicare od opporsi in nessun modo.

    Raggiungiamo il settore. Inutile dire che i posti riportati sui nostri biglietti erano già occupati. Vediamo un buco in alto e ci andiamo. Poco dopo, un esponente della fraternita ΥΦΨ della facoltà di fisica teorica di Cambridge ci “invita” a spostarci. Dopo qualche resistenza, non possiamo certo non restare affascinati dalla sua cortesia e dalle sue argomentazioni e ci spostiamo di qualche panca. Poco dopo, arrivano gli altri gentlemen della fraternita, tutti in perfetto tight color carne e tatuaggio che, praticamente, ci calpestano per restare in piedi e conquistare l’area che reputano di loro esclusiva proprietà. Che poi la partita non l’hanno neanche guardata, ma si sono sempre e solo rivolti verso la sparuta rappresentanza viola spesso oggetto di loro gesti o cori. Ci dobbiamo spostare, non foss’altro che quel giorno i gentlemen avevano dimenticato il deodorante. Anche lì, nessuno steward. Vediamo la partita divisi. Di fianco a me due cugini con i loro bambini di 8 e 9 anni. “Quanto è costato il biglietto per loro?”, chiedo ingenuamente. “Ma che, i bambini devono entrare gratis”, mi rispondono. E io pensavo ai soldi spesi nelle partite precedenti per portare mia figlia. Finisce la partita, i confratelli della ΥΦΨ si abbandonano agli ultimi cori contro i parenti femminili di arbitro, tifosi e giocatori viola e cerchiamo di riconquistare l’uscita. Questa volta, per poterci liberare le vesciche, dobbiamo comprare una pizza. Cosa che facciamo anche per attendere di poter riprendere il convoglio della diligenza per tornare a piazza Garibaldi. All’esterno della stazione, dopo un’ora dalla fine della partita, una folla male assortita e messa lì a caso, attende che gli agenti permettano di passare a gruppi. Riusciamo a prendere il treno che sembra uscito direttamente da Pietrarsa, il museo delle ferrovie di Portici che raccoglie anche i veicoli della prima ferrovia italiana, la Napoli-Portici appunto. Una voce metallica, quasi giunti al traguardo, ci informa che la linea è rotta. Attendiamo ancora un po’ ma la sorte ci viene incontro e ripartiamo. Riprendiamo l’auto e torniamo a Roma. Leggo che si parla di stadio nuovo costruito sul vecchio. A che serve la struttura se non è raggiungibile? A che serve la struttura nuova se chi controlla è complice se non favoreggiatore di chi continua ad affossare l’immagine di Napoli e della sua squadra? È difficile per società e Comune fare in modo che questi controllori facciano il loro lavoro? È difficile per l’amministrazione comunale intensificare i trasporti in occasione della partita? Qualcuno mi faceva notare che con uno stadio nuovo, i membri delle confraternite come quelli degli ΥΦΨ non potranno sfarfalleggiare. Io non ne sono sicuro. Temo che sia un cancro che vada estirpato con la forza. Possiamo avere lo stadio più bello del mondo, ma se mancano i controlli e ci sono connivenze allora tutto è inutile. Detto questo, ho appena acquistato il biglietto per la prossima partita. Che il dio dei bigliettari mi aiuti.

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