Bologna-Napoli, culla del secondo scudetto. E non solo

Al Dall'Ara sono passate spesso le nostre speranze e le nostre delusioni. E quasi 24 anni fa lì capimmo d'aver bissato il tricolore del 1987
[Foto: Ivan Cappuccio e calcio.fanpage – Clicca sul lato per scorrere]

di Boris Sollazzo

"Bologna è una donna emiliana di zigomo forte, Bologna capace d' amore, capace di morte". Nessuno lo sa meglio del Napoli, che al Dall'Ara ha vissuto momenti indimenticabili: uno scudetto raggiunto a cui mancava solo il timbro della matematica nel 1990, uno sperato e solo sfiorato nel 2010, vent'anni dopo. "Bologna è una strana signora, volgare matrona, Bologna bambina per bene, Bologna "busona", Bologna ombelico di tutto, mi spingi a un singhiozzo e ad un rutto, rimorso per quel che m' hai dato, che è quasi ricordo, e in odor di passato". Che Francesco Guccini sia un poeta, lo si capisce da questi versi in cui disegna quella città accogliente e bastarda, presuntuosa e coraggiosa, eroica e provinciale. Che anche nel calcio è stata grande e piccolissima, come ha saputo essere, munifica e spietata, per i partenopei.

Si faccia raccontare il ds Riccardo Bigon cos'è Bologna da papà Albertino. Quel signore col volto scavato e meno dolce del suo lì fece un capolavoro, dopo un quarto d'ora devastò una pur ottima compagine felsinea alla penultima di campionato. La monetina su Alemao era già caduta, la capata di Baroni contro la Lazio sarebbe arrivata una settimana dopo a realizzare il sogno. Ma lì dimostrammo d'essere i più forti, i meritevoli vincitori di uno scudetto ingiustamente contestato e che sanava, o meglio leniva il dolore del 1988. Lì accogliemmo il gol di Sotomayor, di Pellegrini a tre minuti dalla fine, l'espulsione di Baresi e Van Basten, il crollo, anche nervoso del Milan di Arrigo Sacchi.

Ero a casa. Sandro Ciotti mi raccontava una partita finita dopo 15 minuti, rendendola comunque interessante. Enrico Ameri interveniva dal Bentegodi. Tutto il calcio minuto per minuto. Ma io in quella giornata sentivo durare ogni singola frazione di secondo, altro che minuto per minuto. Ero insopportabilmente teso verso un trionfo che tutti cercavano di macchiare e infine dolcemente cullato dalla grottesca sconfitta del Milan nell'odiata Verona. Sotomayor divenne il mio eroe, perché riuscì a darmi l'ultima gioia prima di vent'anni e più di digiuno (la supercoppa italiana con una Juventus imbarazzante fu eccitante quanto il tombolino a Natale). E lo fece scontentando gli odiati veronesi, che non potevano sostenere l'onere d'averci aiutato a portare a casa di nuovo quel meraviglioso triangolino di stoffa, e i milanesi, allora nostri rivali indefessi e simbolo di una città che ci ha sempre ferito. Città così invidiosa di noi che persino nella sua canzone principe che inneggia alla loro bella madunina, sentono il bisogno di citare Napoli. Un po' come Mazzarri.
Che giornata che fu: il primo campionato vinto ce lo assaporammo fin dall'autunno, eravamo più forti e ci abituammo all'idea di arrivare primi, con il solo (e solito) terrore di buttar via tutto da soli, come sempre. Quel 1990, con Bigon a prendere il posto di un Bianchi tenuto fermo da Ferlaino per ripicca, pagato profumatamente, e con un Diego imbronciato per il mancato passaggio a Marsiglia (e che a quel rifiuto rispose con i capricci di Mosca in Coppa Campioni, ma che ci regalò anche magie contro l'Ujpest, in una partita in cui faticava a stare in piedi, per il mal di schiena) era forse l'ultima occasione per rendere ancora più grande quella squadra meravigliosa. Si sentiva nell'aria che la Coppa Uefa aveva sancito l'apice di quel gruppo e che presto avremmo dovuto ripensarlo. C'era un solo anno, quello, per essere grandi. Speravamo in Europa, ancora, per la competizione più importante. Ci accontentammo della penisola, contro il miglior Milan di sempre, forse. Fu una battaglia lunga mesi, a cui sapemmo porre il nostro sigillo: allora eravamo i più forti d'Europa. Ma non lo sapevamo. Quel Bologna-Napoli fu il riassunto di una stagione implacabile, spettacolare, ricca di gol e prodezze, di esodi di noi tifosi ed emozioni meravigliose. Ecco cos'è Bologna per noi. Quel giorno di primavera, indimenticabile, in cui - perdonami l'affronto, Diego - Careca disegnò calcio come forse mai prima d'allora e Maradona fu ottimo comprimario. Il brasiliano, di tacco, mandò in gol anche Francini, il cui clone sogno possa giocare sulle fasce asfittiche di questo Napoli qua.

Sperammo, tutti, che vent'anni dopo (meno qualche settimana) la magia si ripetesse. Andammo in 15.000 al Dall'Ara. "Siete ospiti" cantavamo ai rossoblu, che scoprimmo, più d'un tempo, razzisti, con cori non degni di quella sensibilità, cultura e passione che quel luogo sa esprimere spesso e volentieri. Finì 2-0 per noi, uscimmo cantando "vinceremo il tricolor". Non era mai successo, proprio da quel 1990, che lo intonassimo. Nella pancia del Dall'Ara lo facemmo, insieme, lo confesso, a improperi ai soliti milanisti. Non andò così, arrivammo terzi, ma fu una giornata speciale. Ricordo l'amico Dario Bevilacqua che ci accolse fraternamente, una barista affettuosa che mi salvò, l'abbraccio con mia sorella Tania al gol di Mascara - l'unico, forse, messo dentro dall'attaccante in una partita vittoriosa: il catanese aveva la pessima abitudine di metterla dentro solo nelle sconfitte (poche, come le sue reti d'altronde) -, la felicità in quelli di Domenico, con cui, letteralmente, non riuscivamo a crederci. E come gufammo io e lui, mentre Tania dormiva, sentendo alla radio Fiorentina-Milan. Segnò Santana, credo, che poi sarebbe venuto da noi a parametro (e rendimento) zero, ma il Diavolo vinse lo stesso. Ricordo persino Cavani, squalificato, esultare in tribuna: certo nulla a che fare con il Pocho a Cagliari e all'Olimpico dopo la vittoria della Coppa Italia, né con Higuain dopo l'Arsenal. Ma lì lui smise per un attimo di essere il bomber e mi entrò un po' nel cuore. Là, forse, ci voleva bene anche lui. Forse.

Bologna, però, fu anche un'enorme delusione. Una qualificazione in Champions sfumata l'anno dopo. Tania venne con me, sfruttammo un lavoro che in quel momento facevo per la Rai, NUM3R1, trasmissione troppo bella, vista ed economica per essere apprezzata e riconfermata dal servizio pubblico. Dovevo fare un'intervista a uno dei tanti eroi sconosciuti del nostro paese, un artista che tiene tuttora l'unico conteggio delle morti bianche del lavoro nero. Carlo Soricelli (guardate attorno al minuto 36 del link), che alla fine ci accompagnò allo stadio. Tuttora l'unico bel ricordo di quella domenica assurda. Tirammo da ogni lato, con ogni tipo di potenza, con quasi tutti i giocatori. Rimanemmo a zero. Loro, giocando sotto l'incitamento di una curva che, per la quantità di cori razzisti avrebbe meritato la squalifica a vita, ne fecero due. Era l'ultima partita di Di Vaio. Se avessimo vinto, la Champions sarebbe stata matematica. Io e Tania ci trovammo in mezzo ai bolognesi. Anche abbastanza ostili. Fino a che, come Simeone nel Lazio-Inter del famoso 5 maggio, con la voce spezzata dalla rabbia e dalla tristezza, urlai "questa è la gratitudine per aver preso Britos regalandovi pure 10 milioni, vergognatevi!". Pensarono per un attimo di sopprimere quello straniero, poi risero. E il mio vicino, alla compagna, disse "ha ragione, in effetti".

Ma sono tuttora convinto che quel pomeriggio incredibile in cui sbagliammo almeno una dozzina di palle gol, fu comunque fondamentale e in fondo positivo. Se avessimo vinto, forse qualche giorno dopo non avremmo trionfato in Coppa Italia, non avremmo avuto la stessa determinazione per schiacciare la Juventus. E io quel 20 maggio non lo baratto con nulla, neanche per rigiocare quella partita di campionato che ancora mi va di traverso, a ripensarci.

Bologna, fammi sorridere domenica. Sentirò la partita come in quel 1990, alla radio. Questa volta in aeroporto.
E tu, Riccardo, chiedi ad Albertino come si fa a render speciale quella città. Perché alla fine a Bologna gli ho sempre voluto bene, persino quando con una doppietta di Marazzina, negli anni bui, quasi mi toglieva una vittoria sicura. Tania c'era, e ancora la ricorda con terrore.

Bologna, non farti odiare. Non voglio. E magari, già che ci sei, riprenditi Britos. A me, in cambio, basta persino Natali, non chiedo tanto.

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