La fuga di Conte mostra una Juve debole e ferita. Ma...

Dietro l'addio dell'allenatore leccese c'è quel bilancio juventino in cui il colore predominante non è né il bianco, né il nero. Ma il rosso. Attenzione, però, perché la Vecchia Signora potrebbe guardare alla Federazione
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    Tratto da "Il Garantista"

    di Boris Sollazzo

    Marotta che piange l'addio improvviso. Antonio Conte che in una sveltina di meno di quattro minuti a Juventus Channel, mette su una faccia funebre e con pause celentaniane saluta tutti. Tutto questo a cavallo del giorno del raduno. Ce le saremmo aspettate, queste scene madri a stagione iniziata, dal Palermo di Zamparini, non certo dai bianconeri, società modello del calcio italiano moderno, almeno a sentire gli stessi inquilini di Vinovo. Si era capito che il buon Antonio non era più così vicino ai suoi quando si lasciò scappare che prima di lui c'era solo chi era riuscito a farsi revocare due scudetti. Proprio lui che aveva affiancato Andrea Agnelli e gli altri dirigenti zebrati nella penosa battaglia sugli scudetti #sulcampo (a tal proposito c'è anche un bel libro edito da Fandango e scritto dall'ottimo Massimo Zampini). L'allenatore, però, era da un anno che soffriva, tra investimenti che mancavano – digerì male la cessione di Giacchierini, ad esempio -, altri che gli venivano promessi e poi disattesi (Xabi Alonso) e obiettivi che rimanevano alti solo grazie alla sua capacità di tenere sulla corda i suoi ragazzi.

    Si era ripromesso, per affetto nei confronti dei tifosi e del suo gruppo, di rimanere un altro anno, Conte. Aveva parlato per settimane con Nedved e Paratici, in particolare, minacciando l'addio per assicurarsi un mercato che potesse lanciarlo verso quell'Europa che l'aveva sempre respinto in questi anni. Non ha voluto rinnovare, ma aveva promesso di rimanere fino a fine contratto. Fino all'estate 2015, per poi andare nell'agognata Premier. Ma i mondiali lo hanno visto masticare amaro, tra campioni che andavano sempre e solo altrove e i suoi pretoriani, le sue scoperte, Vidal e Pogba, spudoratamente sul mercato.

    E nel giorno del raduno, pare abbia scoperto che Chelsea e Manchester Utd non avevano solo chiesto Paul e Arturo, ma li avevano già praticamente comprati. Si è sentito beffato, privato di due top player ed escluso dalla gerarchia decisionale e, come successe a Bari, dove se ne andò solo tre settimane dopo il rinnovo, ha sbattuto la porta (e urlato parecchio, dicono), chiudendo i rapporti.

    Un divorzio per interesse, a vederlo bene. Antonio Conte avrà fatto i suoi calcoli, anche se a ora non ha trattative in corso e neanche una panchina sicura: liberandosi subito, può candidarsi prepotentemente per la nazionale e comunque andare via dalla Juventus da supervincente. E, di fatto, entrare nel mito senza affrontare la stagione più scomoda, quella di una conferma sempre più difficile e dell'obbligo di sfondare in Europa.

    Dall'altra Andrea Agnelli, che con Conte tanto parlava della campagna acquisti del Napoli e dei 100 milioni spesi lo scorso anno, si ritrova con un bilancio in rosso. Pochi hanno valutato che il rampollo di casa Fiat ricevette la Vecchia Signora in attivo di sei milioni di euro e l'ha portata, ora, a 160 milioni di passivo (con 200 di debiti). Una notizia di qualche settimana fa poco sottolineata da organi di stampa sempre troppo condiscendenti con la società più titolata d'Italia.

    Vero è che il bilancio sportivo, invece, ha all'attivo tre scudetti e due supercoppe, ma il buco da riempire rimane.

    Ecco perché serve Max Allegri, già efficiente curatore fallimentare del declino del Milan berlusconiano, almeno fino a sei mesi fa. Potrebbe servire, questo repentino cambio della guida tecnica, persino a tornare indietro dall'oneroso rinnovo a Pirlo – con cui il mister, a dispetto delle dichiarazioni concilianti, è in freddo per averlo cacciato dalla squadra rossonera – e a metabolizzare cessioni dolorose e quasi certe come quelle del cileno Vidal e del francese Pogba, da cui arriveranno almeno 105 milioni di euro. Da aggiungere ai 25 già incassati con la metà di Immobile passato al Borussia Dortmund, i 7 del riscatto di Zaza da parte del Sassuolo, i 6,2 della cessione di Vucinic e i 4,5 promessi da Squinzi per Peluso. E ci sono ancora illustri panchinari come Quagliarella – si spera in almeno 5 milioni di euro per l'ex napoletano – da piazzare.

    Centotrenta milioni di euro che, con l'arrivo di un sostanzioso contratto con la Adidas il prossimo anno, potrebbero riportare la barca in rotta, magari indovinando anche una rifondazione basata su giovani e investimenti oculati. Anche perché i ben informati raccontano che la favola dello Juventus Stadium come miniera d'oro sia, appunto, un racconto di fantasia. Il quartiere di periferia in cui è situato non sarebbe stato riqualificato come necessario e ora quella struttura, efficacissima sportivamente, commercialmente stenterebbe. E parecchio.

    Antonio Conte è un cuore bianconero, ma anche un cervello fino. Non era disposto a rimanere per fare il capro espiatorio, non nel momento più alto della sua carriera. E soprattutto se cercano di fargli friggere il pesce con l'acqua a sua insaputa.

    Interesse di Conte andarsene e di Agnelli di strumentalizzare la sua fuga per una piccola grande rivoluzione che gli consenta di diminuire il rosso in bilancio o, comunque, di rifare una squadra che sta andando in avanti con gli anni, sacrificando due dei suoi campioni.

    Non sottovalutate, però, una Juventus che si è scoperta povera e abbandonata: con 130 milioni di euro, potrebbe ripetere il miracolo di Antonio Conte. E gabbare tutti di nuovo. Anche perché forse quest'estate più che al calciomercato, dobbiamo guardare alla lotta in federazione. Chissà che le zebre non si impegnino soprattutto su quel fronte.

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