Gianfranco De Laurentiis: vi racconto la mia Rai tra Maradona e Platini

Intervista all'ex giornalista del servizio pubblico, testimone di cinquant'anni di sport. Aneddoti e curiosità di una carriera sul "pezzo".
  • extranapoli.it

    di Francesco Albanese

    Gianfranco De Laurentiis, romano classe 1939, ha iniziato la sua carriera giornalistica a soli 16 anni scrivendo di basket e rugby. Per oltre trent'anni è stato uno dei volti più noti e apprezzati dei programmi sportivi della Rai (Dribbling, Domenica Sprint, Pole Position) dove è approdato nel 1972 dopo aver scritto anche per il Corriere della Sera. Tifa Juventus. 

     

    Com'è cambiato il modo di raccontare il calcio?

    Moltissimo. Intanto se ne trasmette molto di più. Prima in Rai si poteva vedere al massimo una partita a settimana, adesso ci sono gare tutti i giorni dal lunedì alla domenica su molti canali e dunque si è anche moltiplicato il numero delle persone che raccontano calcio. Professionisti che non sempre è agevole istruire o preparare, soprattutto in un momento in cui tutto si esaspera per ovvi motivi promozionali: ogni dribbling è un "numero", ogni parata è un "miracolo", ogni gol è "splendido". Mi viene da pensare che o ci stanno mentendo oppure non hanno mai visto giocare Maradona, Platini, Pelè, Van Basten...

    Dei talk show e delle interviste a caldo che si fanno oggi che ne pensi?

    Da questo punto di vista qualcosa si è guadagnato. Il proliferare dei commentatori permette più spesso la formulazione di domande più ficcanti. 

    La tua generazione di giornalisti la si paragonava un po' alla categoria degli arbitri: non si doveva sapere la vostra squadra del cuore. Per esempio che Paolo Valenti tifasse per la Fiorentina lo si è appreso soltanto dopo la sua morte.

    Esatto, per esempio chi avrebbe mai detto che Martellini fosse del Perugia? Di Giorgio Martino si conosceva la fede romanista, ma ascoltandone le telecronache non te ne accorgevi. L'unico vezzo che si concedeva era quello di chiamare i calciatori della Roma per nome e cognome. Tra me, juventino, e lui, giallorosso, le litigate erano all'ordine del giorno, ma questo non ha mai inciso sulla nostra professionalità. Per esempio il laziale Galeazzi soltanto una volta fu inseguito da alcuni tifosi che volevano picchiarlo ed erano proprio quelli della sua squadra del cuore!

    Tra i tuoi programmi di maggior successo certamente ci fu “Dribbling”. La scaletta di una trasmissione così seguita come si preparava? Si aveva un occhio di riguardo per i bacini di utenza?

    Naturalmente se tu fai un servizio sulla Juventus, sull'Inter o sulla Roma ha un'altra presa rispetto ad uno sul Genoa. In ogni caso si cercava di dare spazio a tutti. Quella fu una delle tante invenzioni di Maurizio Barendson. All'inizio un servizio poteva anche durare un quarto d'ora, poi i tempi si sono accorciati anche se abbiamo sempre tenuto alta l'attenzione sui grandi temi di attualità come per esempio il doping. 

    Hai mai ricevuto pressioni?

    Onestamente no. Ricordo solo una volta un episodio con la Fiorentina. Mario Cecchi Gori ci chiese di avere uno spazio a Dribbling per poter difendere i viola a seguito del burrascoso licenziamento di Radice ad opera del figlio Vittorio. Papà Mario era furioso per quell'esonero dettato da motivi non esattamente sportivi, ma che riguardavano da vicino la vita privata dell'allenatore e quella della famiglia di Cecchi Gori junior. A proposito di Mario Cecchi Gori mi viene in mente un altro aneddoto. Lui era spesso nostro ospite in Rai per vedere le partite in bassa frequenza, in quel periodo faceva lo stesso anche il mio amico Claudio Ranieri che da poco aveva lasciato la panchina del Napoli. I due si conobbero e, grazie a quegli incontri, Ranieri di lì a breve passò ad allenare la Fiorentina. 

    Ci vuoi parlare del tuo rapporto con Maradona?

    Con Diego ho avuto sempre ottimi rapporti. A quel tempo riscosse un certo successo la trasmissione Rai del sabato sera “Numero 10” e Maradona con un trucco mi invitò come ospite a Napoli perché voleva riprodurla con me, ma non in Rai bensì in una tv locale! Naturalmente gli dissi che con tutto l'affetto che potevo avere per lui, non mi sarebbe stato permesso di fare una cosa del genere. Diego è un bravissimo ragazzo rovinato dalla sua ingenuità. Pensa che quando giocava l'argentina Gabriela Sabatini agli Internazionali di tennis di Roma, lui arrivava in città con quindici persone al seguito per fare il tifo. Tutte a carico suo! Gli pagava alberghi e ristoranti. Durante la sua vita ha sempre campato così.

    E Platini?

    Un personaggio completamente diverso. Se gli chiedevi conto della sua situazione economica ti rispondeva: “Non so niente, pensa a tutto l'Avvocato. Se la Fiat va bene, va bene Platini. Se la Fiat va male, va male pure Platini”.

    Ti sorprende che sia diventato il presidente dell'Uefa?

    No affatto, mi aveva meravigliato la scelta di fare l'allenatore. Michel come Diego sono stati dei giocatori troppo bravi. Gente così non può mettersi ad allenare. Non capisco come ci sia riuscito un altro grande come Roberto Mancini.

    Come nacque il Telebeam?

    Una grande invenzione. Una moviola elettronica innovativa che accolsi con favore tranne che per il tentativo che facevano i tecnici di ampliarlo e di utilizzarlo per il fuorigioco: la fedeltà dell'immagine di allora non era tale da permettere un uso efficace per casi del genere.

    E il gol di Turone? Dimostraste che era buono.

    Il Telebeam arriva nel 1985. Il gol di Turone è del 1981. Analizzammo l'episodio nel corso di “Gol Flash” nell'unica puntata in cui però non c'ero io a condurre. Ero in montagna a sciare. Non saprei dire che cosa avvenne esattamente in quella circostanza. Certo Boniperti si arrabbiò molto.

    Più in generale, la moviola era manipolata?

    L'unica manipolazione poteva consistere nella scelta errata delle immagini, ma per il resto non si "aggiustava" nulla.

    E quel 1982?

    Una grande soddisfazione. Ero tra i pochi, se non il solo, ad essermi schierato dalla parte di Bearzot. Fu così che divenni una sorta di intermediario tra il cittì e gli altri giornalisti Rai. Tra i “nemici” di Bearzot c'era pure il compianto Beppe Viola, grazie ai miei buoni uffici alla fine il “vecio” gli concesse l'intervista, ma non fu affatto semplice convincerlo. 

    Ti senti un privilegiato per come hai potuto vivere la tua professione?

    Sicuramente. Ai miei tempi si entrava negli spogliatoi con la telecamera mentre i calciatori si stavano ancora infilando i pantaloni. Con la generazione degli azzurri di Azeglio Vicini poi il rapporto fu speciale. Avevano tutti più o meno l'età dei miei figli e c'era grande complicità. Un giorno Vialli mi passò di soppiatto un pacchetto di sigarette per non farselo scoprire dal cittì.

    Che cosa ha significato essere un giornalista del servizio pubblico?

    Una bella responsabilità. Al pari di molti miei ex colleghi godevamo di una grande credibilità anche presso gli stessi calciatori. Ricordo che una volta Zidane, che mai avevo conosciuto, mi mandò i saluti tramite un collega che era andato ad intervistarlo. Oggi è diverso. Per esempio chi fa il mercato spesso riceve l'imbeccata dal procuratore sol se in cambio “pompa” un po' il suo assistito.

    I tuoi maestri?

    Non ci sono maestri. Ci sono punti di riferimento da cui apprendi. Io ne ho avuti tre e tutti di scuola napoletana: Gino Palumbo, Maurizio Barendson ed Antonio Ghirelli.

    La sensibilità di Palumbo era incredibile. Si aggirava per la tipografia e se un tipografo gli diceva qualcosa che lo convinceva era capace di rifarti fare un'intera pagina del giornale (Corriere della Sera ndr). Capiva che cosa voleva la gente in quel momento, il che non significa prostituirsi.

    Anche Maurizio Barendson era dotato di una straordinaria sensibilità. Una grande inventiva unita ad una straordinaria facilità di parola. Novantesimo minuto è una sua creatura, anche di Paolo Valenti per carità ma soprattutto di Barendson così come Dribbling.

    La cultura di Ghirelli era impressionante, faceva paura per certi aspetti. Rammento nel 1972 un Napoli-Juventus, dovevo fare 90 righe per il Corsera, ero molto svelto devo dire. Ghirelli doveva fare una pagina intera per il Corriere dello Sport e fece prima lui di me! Una rabbia!

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