«Commando di 40 ultrà, 2 pistole: a Tor di Quinto hanno attaccato perché credevano di trovare solo tifosi del Napoli tranquilli». Altri racconti sull’agguato

Nuove testimonianze raccolte tra i napoletani che hanno assistito aii fatti del 3 maggio confermano la ricostruzione verso cui finalmente si muove la Procura e che avevamo riportato in un precedente articolo. Ultras partenopei senza scorta a Cinecittà
  • di Errico Novi

    Come no, una bravata solitaria. Passano i giorni e la vergogna di Tor di Quinto si svela sempre più per quello che è stata: un agguato a mano armata. Tendono a confermarlo altre testimonianze che abbiamo raccolto tra chi c’era. Tra i napoletani che hanno vissuto quei minuti di furia criminale. Testimonianze secondo cui il manipolo di aggressori sarebbe stato di ben 40 persone. Le pistole poi. Perché pare si debba usare il plurale: una è quella trovata dalla polizia al “Ciak village”. Ma sul luogo dell’aggressione culminata nel ferimento di Ciro Esposito, Gennaro Fioretti e Alfonso Esposito ci sarebbe stata, raccontano questi testimoni, almeno un’altra arma da fuoco. «Spunta fuori nel momento in cui i napoletani hanno il sopravvento e gran parte dei complici di De Santis scappa: uno di questi dà le spalle ai napoletani e comincia a sparare in aria nella speranza di disperdere i ‘nemici’, poi scompare».

    «Dalle ‘siepi’ del vialetto sono spuntate decine di aggressori»

    In pratica la descrizione che abbiamo riportato in un articolo pubblicato su questo sito poche ore dopo gli scontri trova ampie conferme in questo nuovo racconto: «C’è il primo attacco con le bombe carta, alcuni napoletani s’infilano nel viottolo per vedere di che si tratta, trovano sei-sette persone, poi da dietro le siepi ne spuntano molte altre, in tutto saranno state più di trenta. I napoletani se la vedono brutta, ma poco alla volta ne arrivano altri, alcuni dei ‘gruppi’, e non si capisce più niente. Dura minuti, finché il prevalere dei napoletani, diventati anche loro decine, non induce la maggior parte degli aggressori a scappare verso il viale interno. Davanti al ‘vivaio’ (cioè il “Ciak village”, laboratorio cine-teatrale confuso con un vivaio per il cancello attorniato da vasi di palme, nda) restano solo pochi del commando iniziale. A quel punto qualcuno spara, preso dal panico per il progressivo accorrere di altri tifosi del Napoli. Ciro, Gennaro e Antonio vengono feriti, qualcun altro ancora spara verso l’alto e fugge. Alla fine resta solo De Santis e viene massacrato. Nella confusione di quegli attimi», è la conclusione del racconto fatto da questo testimone, «è impossibile dire se la pistola da cui sono partiti i primi colpi fosse impugnata da De Santis o da qualcun altro. De Santis è rimasto da solo a prendere le botte per un motivo: perché è caduto ed è rimasto lì, non perché tutti avessero visto che era stato lui a sparare».

    «Hanno attaccato perché convinti che a Tor di Quinto ci fossero solo tifosi del Napoli ‘tranquilli’»

    Da altre fonti in effetti si apprende che Daniele De Santis camminava male per una caduta da motorino di un paio di settimane prima. Resta comunque difficile da comprendere come sia potuto venire in mente, a lui e ai suoi complici, di attaccare una colonna di pullman con centinaia se non migliaia di napoletani. Secondo un’altra testimonianza che abbiamo raccolto tra i gruppi ultras napoletani la spiegazione sarebbe questa: «Quella gente era convinta di trovarsi di fronte a tifosi tranquilli, non appartenenti ai ‘gruppi’, ed è possibile che si fossero convinti di una cosa del genere», sostiene questa seconda fonte, «perché in effetti noi dei gruppi eravamo da poco arrivati a Cinecittà, dov’era stato approntato un parcheggio per i napoletani. Potrebbero aver ricevuto una soffiata e a quel punto hanno deciso di passare all’attacco. Non potevano sapere, gli aggressori, che una piccola parte dei ragazzi appartenenti ai gruppi ultras del Napoli aveva seguito un percorso alternativo, e si è trovata all’altezza del vialetto proprio quando è iniziato il lancio di bombe carta. I romani si sono trovati di fronte a una reazione che non si aspettavano».

    Il grosso degli ultras partenopei senza scorta a Cinecittà

    Questo degli ultras napoletani arrivati con le loro auto private a Cinecittà è un aspetto che svela un’ulteriore falla nel dispositivo di sicurezza. Secondo i racconti, infatti, le centinaia di appartenenti alle sigle delle curve al loro arrivo al parcheggio non hanno trovato neppure una camionetta della polizia. Increduli, si sono un po’ divisi tra metropolitana e altri percorsi per raggiungere l’Olimpico. Molti di loro lungo il tragitto hanno messo in guardia i compagni dal rischio che dietro quell’imprevista libertà potesse nascondersi un «tranello». In realtà la trappola era un’altra, e l’avevano predisposta gli aggressori di Tor di Quinto. Anche grazie al fatto che persino lì, in quell’altro punto caldo della “mappa”, il dispiegamento di forze dell’ordine fosse irrisorio rispetto alla massa di tifosi azzurri arrivati nella Capitale.

    P.s. Tra l’altro “Gastone” pare non sia affatto il soprannome di Daniele De Santis, ma di un altro ultrà giallorosso che ha il suo stesso cognome: una confusione che ha aiutato “Danielino” (suo vero nomignolo) a essere assolto dall’accusa di aver partecipato al ferimento del vicequestore di Brescia in una famigerata spedizione romanista in Lombardia del lontano 1994.

    Condividi questo post