Napoli-Lazio, il secondo scudetto e una partita giocata 100 volte in una settimana. Al Subbuteo

La partita del trionfo tricolore vissuta da un dodicenne innamorato follemente dei colori azzurri: tra una radiolina (allora) modernissima e la gioia di un’intera famiglia
  • di Boris Sollazzo

    Una casa al mare che portava fortuna. Una radio, regalatami da mio zio, nera e moderna (allora) di cui andavo tanto fiero. Un dodicenne già malato che ha chiesto in ginocchio di essere portato a Napoli. Senza riuscirci. E che per questo aveva passato tutta la settimana dopo Bologna-Napoli a difendere nella propria via Alemao e a dire che il poker di Bologna non contava e che la Lazio, pur senza alcuna velleità e soprattutto necessità di vittoria, era l'avversario peggiore. Quel dodicenne in quella settimana inventó la lavagna tattica, altro che Baconi e Giovanni Galli. Era un telo del Subbuteo su cui avrà giocato almeno 100 volte quella partita. E anche se quei giocatori erano fermi e alla sua mercé, che neanche David Lopez, trovavano sempre il modo di preoccuparlo. Quando poi, magari, il Napoli segnava e già radiocronista nell'animo (quel preadolescente neanche 10 anni dopo avrebbe raccontato azzurri ben meno esaltanti in radio, grazie a Ezio Luzzi) urlava "rete! È scudetto", imparai dal mio serissimo padre le potenzialità dello sfregamento del cavallo dei pantaloni per un maschio che creda nella forza soprannaturale della sorte.
    Attorno a quel tappeto verde c'era anche una nana di otto anni. Ancora non sapeva quanto amava quei colori quello scricciolo.
    Arriva la domenica. Mamma capisce che non è un giorno come gli altri. Non riesco a mangiare, non insiste. La radio è troppo alta. Non la abbassa. Cammino, calcio tutto quello che ho a tiro, una piccola donna al seguito stranamente silenziosa. Papà si affaccia ogni tanto, mamma soffre con me, quella gnometta è mia sorella e sembra preoccupata per me. Segna subito Baroni, o così almeno mi sembra. Non capisco perché Tutto il calcio minuto per minuto si colleghi anche con altri campi: è un complotto contro di me! In quei 4-5 minuti mi convinco che fare 123 passi durante la pausa porterà fortuna. Passano ore dal gol di Baroni. Ricordo di essere stato gelato da un colpo di testa biancazzurro, da un tiro all'ultimissimo minuto di quegli avversari che non vogliono scansarsi. Poi finisce. Tutta la famiglia mi abbraccia, io semplicemente non ci credo. Urlo ma la voce non si sente. Esulto ma le braccia non si alzano. La felicità pura era quella, un nirvana che ti porta altrove per qualche minuto. Poi sì, ovviamente ho urlato, pianto, saltato, rotto utensili.  Ma quei quattro abbracciati in un giardino di Colle Romito, chi se li scorda più.

     

     

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