Gennaro Migliore: "Davide Bifolco non l’ha ucciso Napoli"

Il politico napoletano dice la sua sull'omicidio del giovane ragazzo
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    di Boris Sollazzo

    tratto da giornalettismo.com

    Gennaro Migliore, fin dai tempi del G8 a Genova, per molti giovani è il punto di riferimento politico della netta opposizione agli abusi di potere delle forze dell’ordine nei confronti dei cittadini. In questi anni, da Rifondazione alle acrobazie vendoliane fino al recente approdo a Led (Libertà e Diritti, nuovo soggetto politico nel gruppo misto creato con altri dopo la separazione con Nichi), non ha mai rinunciato a lottare in questa direzione. Ora molti lo pensano come possibile candidato alla poltrona di sindaco di Napoli – e pare che Renzi veda con favore l’idea -, ma lui non ci pensa. Ma di sicuro è proprio nella sua città che vuole cambiare le cose. E la tragedia di Davide Bifolco sta sconvolgendo i napoletani, ma sta anche provocando una riflessione importante. Da cui, forse, si può ripartire. Migliore ci proverà fra due settimane con la Fonderia delle Idee, qui con noi, invece, dice la sua su ciò che è successo all’alba del cinque settembre: un alt non rispettato, tre ragazzi su un motorino senza assicurazione, un carabiniere che li insegue, li sperona e poi uccide uno di loro. Per sbaglio, dice lui. In posizione di tiro, dicono testimoni e famiglia della vittima.

    Le forze dell’ordine sembrano riprendere le cattive abitudini del G8. E’ d’accordo?

    Genova 2001 in qualche modo è stato un punto di svolta. Dopo quel momento c’è stata, purtroppo, la ripetizione di comportamenti illeciti da parte delle forze dell’ordine – di una piccola parte di loro, ci tengo a dirlo, trovo assurdo le generalizzazioni ideologiche – ma anche una maggiore capacità di discernimento dell’opinione pubblica, prima pregiudizialmente contraria a chi manifestava e sempre supina di fronte alle versioni ufficiali. Nel 2001 c’è stato il disvelamento di una pesante, possibile, e irrisolta, distorsione nell’esercizio della propria funzione pubblica di rappresentanti dello Stato, perché questo sono poliziotti e carabinieri, questo sono gli uomini in divisa. Attenzione, ci tengo anche a dire che io appoggio questi ultimi quando lavorano con coscienza e ancora di più quando lamentano di essere lasciati soli, di non essere pagati abbastanza. Hanno ragione e penso che molte responsabilità nella gestione del loro lavoro siano politiche e di prefetture inadeguate che non dei singoli individui.
    Il punto, però, è che ora è necessario accertare l’accaduto e prendere i giusti provvedimenti. E’ stato ucciso un ragazzo. Davide non doveva morire e tanto meno con quella dinamica inaccettabile. Dobbiamo riflettere su molte cose, non ultima la selezione e la preparazione del personale assegnnato ai luoghi più rischiosi.

    Nel frattempo il resto d’Italia punta il dito sulla vittima e assolve il colpevole. Secondo lei perché?

    Sono choccato da questo tentativo di spostare il problema sulle condizioni ambientali, parlando di una fatalità napoletana inevitabitabile, quasi necessaria. Di una periferia napoletana che viene raccontata come colpevole in quanto tale, trovo il livello di queste analisi e tali reazioni profondamente inquietanti. Si vuole mettere una città sul banco degli imputati, a me invece interessa la verità. E’ vero che il carabiniere ha sparato alle spalle, dopo aver speronato Bifolco? Il colpo è partito per caso o il carabiniere si è messo in posizione? Qui invece interessa solo puntare il dito sull’ambiente. Tutti cercano le colpe della vittima: è naturale che ci si debba fermare a un alt e che non si debba andare su un motorino senza assicurazione in tre. Ma è altrettanto vero che l’infrazione di queste regole non può comportare la pena di morte. Fare ragionamenti sulla damnatio dei napoletani è avallare una logica di questo tipo, dobbiamo essere chiari in proposito. E’ già successo subito dopo lo sparo a Ciro Esposito: il resto del paese e soprattutto i media parlavano del comportamento di un capotifoso, non di un’aggressione poi rivelatasi letale. Giudicare un contesto e una città per singoli fatti è discriminatorio e sbagliato.

    E cosa dovremmo fare allora?

    Parlare della tutela dell’integrità e della dignità delle persone come uno dei compiti irrinunciabili di chi deve salvaguardare la sicurezza pubblica e delle persone, ricordare a tutti, e a loro per primi, che l’obiettivo principale delle forze dell’ordine è quello. E purtroppo, non di rado, viene disatteso: penso a Cucchi e Aldrovandi, a Uva.

    Sembra esserci un razzismo antinapoletano di matrice quasi “statunitense”. A Ferguson un bianco in divisa può sparare a un nero. Per il solo colore della pelle. A Napoli, in fondo, accade lo stesso. Conta dove sei nato e vivi, non cosa hai fatto

    No, non sono d’accordo. Da una parte c’è sempre stato un pregiudizio antinapoletano, si pensi al Savoldi su cumuli di spazzatura o al periodo del colera in cui insulti e pregiudizi erano a livello di guardia. Capisco che leggerla così è una tentazione forte, ma proprio per cercare di cambiare questa situazione si deve ragionare in altro modo. Qui c’è un problema di divaricazione sempre più netta tra gli ultimi, gli outsider e le istituzioni. E a Napoli tutto ciò è estremamente evidente. Non amo il vittimismo, è una deriva pericolosa che spesso impedisce a noi napoletani di ribadire il diritto all’uguaglianza rispetto alle altre realtà italiane, al rispetto della nostra dignità, alla pretesa di essere trattati in modo adeguato, senza pregiudizi né malafede. Il tuo pezzo, ad esempio, dice con una provocazione che Napoli non deve essere “speciale”, né sentirsi tale. Molti intellettuali, anche e soprattutto napoletani, invece fanno passare per primi quest’interpretazione, in cui Napoli ha dei territori da Far West e loro sono altrove. Non difendono la loro città, la discriminano per primi.

    Ma Napoli è in una situazione difficilissima. Come risolverla?

    Non nego certe cose, io vengo dalla periferia di Casoria, conosco Scampia, so che vuol dire vivere in un luogo in cui senti una totale assenza di sicurezza, è qualcosa di molto forte. Per questo serve un ragionamento più complessivo su come costruire un patto di cittadinanza a Napoli e in tutto il Mezzogiorno. Il problema è tutto politico: basta vedere la discriminazione territoriale costante e parossistica in tutte le curve italiane, dimostra l’incapacità della politica stessa, soprattutto quella nazionale, di mettere i riflettori su quanto Napoli e il Sud siano importanti, fondamentali per l’Italia, questo paese senza di loro non andrebbe da nessuna parte. La distanza tra Napoli e resto d’Italia, purtroppo, c’è sempre stata, ma ora quello che mi preoccupa è la “napoletanizzazione” di altre parti d’Italia. Serve una grande assunzione di responsabilità di tutti, noi politici in primis.

    E lei, Gennaro Migliore, cosa farà per invertire la tendenza?

    Ho sempre combattuto perché Napoli rimanesse al centro dell’attenzione nazionale e mai come in questo momento sento la potenzialità, la forza e il desiderio di tante persone di valore che vogliono far uscire la loro città da questa condizione di difficoltà. Si deve reagire, si deve raccontare cosa succede. Tutti ormai conoscono la Terra dei fuochi, ma pochi sanno che c’è stata la chiusura di almeno la metà delle aziende agricole della zona. Perché? Per la totale incapacità nostra e del territorio di rappresentarsi come una risorsa per questo paese. Faccio parte di una generazione che si è misurata con tante difficoltà, tra cui l’idea rassegnata di un’apocalisse napoletana. Non dobbiamo fermarci a colmare il fossato scavato da pregiudizi e disagio, ma di (ri)costruire qualcosa di nuovo, che permetta alla città di primeggiare come merita. E’ un luogo che offre una straordinaria ricchezza al paese, io voglio vedere un orizzonte positivo piuttosto che denunciare ciò che scrive Gramellini.

    Da dove comincerà?

    Non serve fare catenaccio, bisogna guardare avanti. Ecco perché faremo la Fonderia delle Idee il 26, 27 e 28 settembre a Napoli, in cui noi giovani politici quarantenni napoletani daremo voce alla generazione negata. Bisogna lavorare dentro la città, con chi è ostaggio di poche centinaia di persone armate, con chi è stato abbandonato dallo Stato. Io sono dalla loro parte, innanzitutto, e rifiuto la frattura sempre incombente nella nostra città tra “Chiaia sì e ChiaiaNo”, va ricomposta e superata. Si deve lavorare su una città che si ritrovi unita, su una rivoluzione culturale. Su un festival da tenere a Scampia, magari, su una Città della Scienza che deve essere strumento per tutti, anche e soprattutto delle periferie. Si riparta da questo, dal rompere la frontiera del “lì non si può fare”. Così fai crescere una consapevolezza diversa fin dalle nuovissime generazioni. Dobbiamo mettere tutte le nostre energie nell’unire le due mezze città che ora sono separate in casa: Napoli le cose migliori le ha fatte solo quando i suoi cittadini si sono uniti, le sue resurrezioni nascono da una città coesa.
    E poi va costruito un nuovo rapporto di vicinanza, si deve trovare un legame nella tragedia. E sapere che queste cose possono accadere e sono successe anche nella periferia di Roma o Milano. Il “succede solo a Napoli” va rigettato, il mito di “una città in guerra” serve solo a un’emergenzialità che fa male a tutti e che devasta il tessuto sociale e civile. Io non voglio combattere su un fronte di guerra, voglio essere dal lato di chi la rifiuta, di chi la evita, di chi la supera.

    E a livello nazionale?

    Un’interrogazione parlamentare sostenuta da diversi di noi alla Camera. Sulle responsabilità delle forze dell’ordine dall’Olimpico a Rione Traiano, sulle vittime dello Stato. Io sono stato tra i pochissimi a intervenire nel dibattito post Fiorentina-Napoli, quando venne Alfano a riferire dei fatti della sera della Coppa Italia, contestando fermamente gli errori delle istituzioni e delle forze dell’ordine in quel contesto. In quest’occasione voglio fare un passo in avanti, con altri colleghi, per chiedere di nuovo conto al Ministro dell’Interno di questo fatto luttuoso. Abbiamo, ho la responsabilità di tenere alta l’attenzione su cose del genere.
    Sbaglia chi schernisce la reazione indignata del quartiere: io di ragazzi come Davide ne ho conosciuti tanti e non è concepibile che possano perdere la vita così facilmente, in questo modo. Quell’unione, quella commozione generale è qualcosa da cui ripartire. La collettività si unisce per cambiare le cose: l’importante è che non rimanga una cosa estemporanea.
    E vorrei mettere insieme, nell’interrogazione parlamentare, anche le valutazioni di associazioni che si occupano di questi fatti da sempre, Antigone in primis.

     

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