Ce l'avete fatta. Di questa serie A non ce ne frega più nulla

Ogni sport ha vissuto il suo personale declino, fatto di vincenti mediocri. La Juventus umiliata ieri al San Paolo è una grottesca dimostrazione di cosa sia questo paese, un luogo in cui vince chi è più gretto e furbo. E noi ci siamo arresi
  • di Boris Sollazzo

    Sono un grande appassionato di tennis, ciclismo e Formula 1. E so che in certi sport arriva l'era dei vincitori mediocri. Dei pallettari nel tennis, dei passisti nel ciclismo, degli autisti e non dei piloti nella formula 1.
    Jim Courier e Thomas Muster negli anni '90 sono stati numeri 1 ATP. Due cannonieri da terra battuta: mediocri e tenaci, noiosi e privi di classe, la negazione del tennis. Sfruttarono il pompaggio esagerato dei corpi degli atleti di quel periodo - Becker accusò l'austriaco di doping a Montecarlo: finì in ospedale Thomas dopo aver battuto l'italiano Gaudenzi in semifinale, il giorno dopo sconfisse a spasso il buon Boris -, la totale ossessività della prevalenza del fisico sulla tecnica degli allenatori di allora (Bollettieri in primis), l'evoluzione di racchette e palle verso velocità e potenza. Era finita, con loro, l'era poetica dei tennisti con fisici normali, con movenze da ballerini e solo Federer e Sampras, poi, seppero invertire il destino, dall'alto di un talento smisurato. Allora, nella dittatura dei rosci, noi amanti del tennis lo abbandonammo, annoiati e irritati. Loro ebbero il successo, ma quello sport visse un momento doloroso. Vale anche per il dominio di Indurain o i tour dopati dei Lemond e degli Armstrong, ad ammazzare le due ruote prima delle sostanze dopanti sono state le tappe con media a 50 all'ora. L'insensata corsa verso la massimizzazione fisica della prestazione, la folle programmazione di grandi giri con tappe dai 250 km in su.
    E la Formula 1, dalla coppia Hill-Villeneuve su Williams fino a Button su Brawn e al poker del pur ottimo Vettel su Red Bull, ha consegnato ai circuiti l'insopprimile indifferenza verso vincitori che erano tali perché sopra monoposto piene di furbizie e trucchetti, che hanno annullato ogni competitività.

    Per fortuna nel calcio non è così.

    Pensate alla Juventus, corazzata straordinaria che sta vincendo l'ottavo scudetto nonostante le sanguinose cessioni di Audero e Cerri, di Sturaro e Orsolini, di Favilli e Mandragora, di Caldara. A cui si aggiunge la prossima partenza di Rogerio e gli addii di Lirola, Cassata e Romagna dell'anno scorso. Per circa 140 milioni di euro complessivi, tutti ricevute da società mai troppo munifiche e di sicuro non grandi d'Europa, ma curiosamente in ottimi rapporti con i bianconeri, con cui a volte si sono scambiati anche dirigenti o loro parenti. Quasi tutti, per questi campioni, hanno compiuto alcuni tra gli investimenti più consistenti della propria storia.

    Ecco, gli otto scudetti della Juventus, ci dicono sempre i soloni bianconeri, verranno giudicati dalla storia. Hanno ragione. La Storia ci racconterà di una squadra che nessuno stima - pensate che prendono Ronaldo anche perché la clausola da un miliardo d'euro il Real su Ronaldo l'aveva messe per le big di tutte il continente, scordandosi la Vecchia Signora -, nei propri confini e fuori, che da Madrid a Napoli viene accusata senza problemi di favori arbitrali (il tipico vittimismo madrilegno: l'Atletico si è detto preoccupato per la prossima designazione di Juve-Atletico), che di un gioco speculativo e avvilente ha fatto una firma. Una squadra e una società che hanno costruito il proprio potere sulla prevaricazione economica, su una rete di relazioni ambigue ed oscure, su rapporti di mercato con procuratori improbabili e con valutazioni spesso esilaranti. L'arroganza del mitico "il fine giustifica i mezzi, grazie Triade" è rimasta la filosofia di chi ha esercitato con muscolare disinibizione il proprio stile, che di elegante non ha mai avuto nulla (Agnelli, Boniperti si vestivano solo meglio degli attuali capi, ma il know how è quello). Conte e Allegri valgono Courier, Muster, Lemond, Brawn.

    Il pubblico lo ha capito. E come con Courier e Muster l'interesse per il tennis crollò, così come avvenne nel ciclismo nel post Pantani e nella Formula 1 nei momenti delle diavolerie tecniche, questo sta avvenendo negli anni '10 del calcio. Ieri, presi dalla sindrome di Stoccolma, alzi la mano chi non ha trovato normale la direzione di Rocchi. Chi non si è persino stupito dell'espulsione di Pjanic (forse hanno contato anche i cartellini di Inter-Juve della scorsa stagione) e del rigore dato a Insigne (sappiamo tutti che a -5 o -3 non sarebbero stati fischiati). Una partita che smuoveva fino a poco tempo fa masse ed emozioni, ieri è stata vista con noia da molti napoletani, interessati solo alla prossima partita con il Salisburgo, valida per una competizione non drogata da doping finanziario fatto di plusvalenze e arbitraggi a senso unico con direttori di gara affranti per il dispiacere di Miralem nell'abbandonare il campo. Non c'è più neanche la voglia di spiegar loro che Meret non tocca Ronaldo che pure urla di dolore, che il rigore è sacrosanto soprattutto se hai rotto le palle per mesi con #MertensaCrotone e che Chiellini sulla punizione dello 0-1 trattiene Zielinski in barriera mentre un suo compagno e forse anche lui sono in fuorigioco più che attivo. Non te ne frega nulla perché ne hai viste troppe, perché non ci credi più, perché questo sport non ti diverte. E così ti ritrovi il San Paolo con poco più di 40.000 persone sugli spalti. Perché al Roland Garros non hanno mai incassato meno di quando Courier lì spadroneggiava. Perché gli autodromi si svuotarono quando l'elettronica ha iniziato a massacrare la F1. Perché la Juventus è una vincente mediocre, grottesca dominatrice di un campionato a lei asservito, con Gravina che le augura una vittoria in Europa nella stessa competizione in cui c'è ancora la Roma. 

    Il Milan di Sacchi, il Napoli di Maradona, l'Inter di Morinho, la Juventus di Lippi ma persino la Samp di Mantovani, la Lazio di Cragnotti (che si è inventato il doping delle plusvalenze) e la Roma di Capello rimarranno nella storia. Questa Juventus solo nei record degli albi d'oro. Vai a spiegare ai frustrati bianconeri che Vettel è andato in Ferrari per dimostrare di essere davvero campione. Per loro l'unica cosa che conta è vincere. Ed è in questo che si marca la differenza tra noi e loro: a noi non basta, noi vogliamo meritarcelo. Noi questo sport vogliamo migliorarlo, vogliamo che abbia momenti indimenticabili, vogliamo la favola. Ecco perché non capiranno mai che un Sarri vale più di 8 scudetti, come i 4 campionati del mondo di Vettel non valgono un decimo dei tre di Ayrton Senna, che la sconfitta di ieri per noi vale più dei loro 72 punti. Lo sa anche Cristiano Ronaldo: ha passato una serata a bestemmiare contro i compagni chiedendo anche solo di avanzare qualche metro, di pressare come un dignitosissimo Chievo almeno, di essere una squadra di calcio. Si vergognava, così tanto, che a un certo punto frustrato e irritato si è girato verso Allegri e ha urlato "Mister!". Una cosa che neanche Speroni con Oronzo Canà.

    Questi 8 scudetti - potenzialmente 10, 12, 15, gli automatismi economici e di potere messi in atto sono potenzialmente indistruttibili - verranno ricordati come quelli del Salisburgo in Austria. Con la Red Bull che ha comprato un nome e una società, ma non la sua storia e neanche il fascino: a festeggiare i loro scudetti sono 10.000 nei giorni migliori. In Champions non vanno oltre i preliminari. La Juventus, invece, si regala parecchi coiti interrotti. Ma quest'anno, vedrete, che andrà bene: quel debito strutturale in bilancio è una grande preoccupazione anche per l'Uefa. Il 12 marzo rimonteranno e ci chiederemo come avranno fatto. E nel caso non gli riesca, Chiellini farà il segno del "money" e Bonucci magari parlerà di succhini.

     

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