Littizzetto e beIN Sports: l'ignoranza del pregiudizio

Da Che tempo che fa al canale transalpino, la Napoli criminale diventa stereotipo utile a battute di bassa lega. E noi, che amiamo il politicamente scorretto, condanniamo il sonno della ragione che le rende accettabili a tutti
  • melty

    di Boris Sollazzo

    Non siamo razzisti, sono loro che sono napoletani. Ce li immaginiamo così, Luciana Littizzetto e il gotha della divisione francese di beIN Sports, rete globale di canali sportivi di proprieta qatariota. A fare questa battutaccia, e riderne. Forse persino in buona fede. Perché stereotipi, luoghi comuni e pregiudizi sono come un virus, lento e inesorabile, spesso asintomatico. Quando la malattia ti ha invaso, è già troppo tardi per guarire.

    Guardate Luciana la Rossa. Spesso autrice di monologhi puntuti e persino coraggiosi, divertente anche in quella volgarità che sa cavalcare. Poi, anche una come lei, cade. Malamente. In un predicozzo - a Che tempo che fa le è presa così - contro l'abitudine degli italiani a denigrare il proprio paese, che fa? Mostra che i tedeschi non sono così precisi se fanno pilotare un aereo a Lubitz e che gli olandesi che a Piazza di Spagna devastato la Barcaccia, i famosi orange, tanto civili, "mica erano napoletani". Già, l'ha detta così. Se non ci credete andate a vedervi qui il podcast della Rai, attorno al minuto otto.

    E guardate, credo sul serio che lei avesse anche buone intenzioni. Che in quel "mica napoletani" ci fosse la volontà di dire: "Rotterdam, non Napoli: smettiamola di mitizzare gli altri". Il problema, però, è il razzismo che è tutto in quella battuta. In quelle parole. In quel "mica napoletani". In quell'esempio negativo che viene naturale. Pensateci bene e provate a sostituire olandesi e napoletani con altri. "Avete sentito che puzza in quel bar? Eppure era pieno di inglesi, mica di negri". "Ehi, non hanno dato neanche un soldo per la raccolta di beneficenza, meschini tirchi che sono. Eppure erano svedesi, mica ebrei!". Dà fastidio, vero? E possiamo fare di meglio. "Avete visto l'Expo. quanta corruzione? E sono milanesi, mica siciliani o calabresi". E così via. E' insopportabile, terribile solo a leggerlo.
    Ma su Napoli si può. In Francia scrivono nell'intervallo di Wolfsburg-Napoli che "Gonzalo Higuain è troppo da Napoli per essere onesto". Napoli ladra, furba, incivile. Napoli che viene ferita a morte quando un romano ammazza un napoletano. E la prima cosa che esce è che è un regolamento di conti tra criminali. Già, l'equazione pistola-partenopeo-violenza non può che portare alla camorra. Poi si è arrivati a "la pistola forse era dei napoletani". E sì, perché noi siamo tutti camorristi, un'arma da fuoco con il calcio limato la riceviamo per Natale a 4 anni. Insieme al primo coltello a serramanico e alla prima dose di droga pesante. Il giorno dopo che papà ci ha insegnato a lanciare "'a monnezz'" dalla finestra. 
    Nel frattempo lo scandalo era Genny 'a Carogna, la sua richiesta di andare al Gemelli a vegliare Ciro Esposito e la sua maglietta. Non il sangue versato. In quei giorni più dell'identità dell'assassino, più della verità, interessava cercare qualche ombra nella vita di Ciro: un giovane di Scampia, figuriamoci se può essere pulito. E' quasi un anno che provano a infangarlo: per ora hanno trovato un lavoratore indefesso, un ragazzo innamoratissimo della sua squadra di calcio e di una ragazza dolcissima, una famiglia integerrima. Nient'altro.
    Nel mentre c'è una città, Roma, che è la quinta in Italia per infiltrazione mafiosa, ma che nel discount dello stereotipo viene salvata. E ai francesi andrebbe ricordato che Sarkozy e Strauss-Kahn, per dire, fanno impallidire persino quel Berlusconi che ci rinfacciano da anni. E che Higuain, peraltro, è francese. Di Brest.

    Non ho mai amato il vittimismo che a Napoli diventa fatalismo che tutto affida alla nostalgia delle Due Sicilie (giustificata, alla luce degli ultimi 150 anni e rotti) e al sottovalutare qualsiasi errore dei nostri conterranei. Mai amato chi leva gli scudi contro il razzismo del Settentrione per mascherare i problemi in cui viviamo. Ma qui si parla di una battaglia culturale. Su cui non abbassare la guardia. Se non lo capite, è gravissimo. O forse siete come Vincenzo Cuomo. Parlamentare, ex sindaco di Portici. Brav'uomo e buon amministratore, a occhio. Alla presentazione del libro di Antonella Leardi "Ciro vive" allo Stadio Olimpico di Roma, interviene. Lui da Ciro ci è andato durante l'agonia, più volte, non è lì per opportunismo, ci crede sul serio, c'era quando serviva. Dice belle parole, promette di lottare accanto a quella madre coraggiosa e perché la morte del figlio non sia vana. Poi racconta quella notte maledetta tra il 3 e il 4 maggio. Di quando arriva al Gemelli. E confessa "pensavo di trovare una vajassa, invece mi trovo Antonella".
    Lui, di Piano di Sorrento. Non la piemontese Littizzetto e neanche gli snob francesi di beIN Sports. No, lui. Il pregiudizio è pericoloso, è un parassita. Attecchisce anche su quelle piante che ne sembrano immuni. Cuomo si sentì consolato, quel giorno, di trovare una che non sembrava napoletana. Come se fosse un peccato mortale apparire tale. Sì, Antonella è una donna eccezionale. Perché è napoletana, non perché non sembra che lo sia. Ormai ci hanno talmente abituato al disprezzo che ci dedicano appena possono, che lo abbiamo introiettato. L'onorevole sapeva che se davanti si fosse trovato una donna onesta e pulita, addolorata e pronta al perdono, ma sopra le righe e magari non troppo istruita, come ti immagini una donna di Scampia (stereotipo anche quello), l'Italia si sarebbe scagliata contro di lei e Napoli. E ci è cascato anche lui nel gioco di "mica erano napoletani".

    E' solidarietà pelosa, nel migliore dei casi, quello della Littizzetto. Potremmo pure rispondere scherzando sui piemontesi che hanno rovinato questo paese. Che so, parlare dell'Ucraina sconvolta dalla guerra, già sotto il tacco della crisi e annessa dalla Russia dicendo "è stato Putin, mica Cavour". Oppure raccontare le banche americane ed europee sostenute dagli Stati dicendo "mica erano gli Agnelli". Ma noi siamo superiori e non lo facciamo. Ci fa schifo ragionare per schemi meschini e razzismi da bar. E ci siamo scocciati di questi errori, di queste gaffes, di queste offese a buon mercato.

    Perché grazie a questi "incidenti", ora a un napoletano puoi sparare: ti difenderanno sui muri, allo stadio e attaccheranno la madre di chi hai ucciso. A un napoletano puoi insultarlo a ogni latitudine: eleggeranno un presidente della FIGC che la discriminazione territoriale la renderà un'innocua fabbrica di ammende. A un napoletano puoi calunniarlo: dallo striscione "meno due" al treno devastato dall'orda azzurra, entrambi mai esistiti, ci sono leggende che continuano a girare impunite, aiutate dalla Rete e dai social. A un napoletano puoi dargli del tifoso violento: cercate, però, le statistiche e scoprirete che gli episodi relativi alle intemperanze di stadio e dintorni vedono il Napoli fuori anche dall'Europa League, con squadre di città molto più "civili" ben più in alto in classifica. A un napoletano uno straniero può umiliarlo con parole in sovrimpressione in tv: perché gli italiani non napoletani sanno di aver messo loro, quelle parole, in bocca agli stranieri. E molti godono quando le sentono.

    E chiedo anche ai napoletani di fare quadrato. Ne sento troppi storcere il naso di fronte al presunto "presenzialismo" della Leardi. Una stronzata: difende più lei noi di quanto siamo riusciti a fare noi con lei. Combatte, non presenzia. Soffre per rendere il nostro paese e anche la nostra città migliore. 
    Ne sento altri pronti a difendere l'ignoranza di comici e giornalisti che superficialmente diffondono il razzismo, dicendo che dobbiamo essere meno "permalosi". Ma quei cronisti francesi che non hanno ironizzato sul Marsiglia quando gli hanno dato un rigore inesistente, nonostante lì vi siano clan niente male. Ma quella intrattenitrice piemontese, guarda un po', pur andando in onda di domenica, a schiaffi cagliaritani stampati in faccia ai giocatori rossoblu e stadio del Varese devastato dagli ultras già ai disonori delle cronache, con la Curva Sud giallorossa che insulta l'unico presidente che prova a cambiare le cose, pensa "mica i napoletani". Non ai sardi, ai varesotti o ai romani. Ai napoletani.

    Se avete riso, dunque, ve la meritate la Littizzetto.

    Difendiamoci. Con l'orgoglio di chi siamo, non con la sudditanza a chi ci insulta. Non giustifichiamo l'ignoranza, combattiamola. Come abbiamo fatto in Napoli-Lazio, quando abbiamo sostenuto la squadra e ai vergognosi cori giallorossi, ai ributtanti striscioni abbiamo reagito con l'indifferenza, con l'esempio della nostra civiltà. Ad Aurelio De Laurentiis chiediamo, magari, di non essere troppo signore. Di fare una battuta delle sue non solo ad Astori, Nainggolan e Ilaria D'Amico, ma anche a questi fessi. Magari a freddo, quando sarà più efficace. Quando servirà a ritornare sull'argomento. Ed ecco perché il modello Benitez-De Laurentiis è fondamentale: perché dimostrano che con la programmazione e un'imprenditorialità seria, si può vincere. Nella bestiale Napoli. Mentre le civili Roma e Milano cercano prestiti monstre o nuovi proprietari. Attualmente è Napoli a indicare la rotta di un modo corretto e virtuoso di fare calcio: fair play finanziario, un allenatore di statura internazionale e caratura culturale altra rispetto alla mediocrità italiana, con Higuain che dal Real va al Napoli dopo che la "civile" Torino l'ha corteggiato per due anni. Con tre trofei.
    Siamo una capitale. Tocca a noi estirpare questi stereotipi. Rispondendo civilmente a questa ottusità, non permettendole di inocularsi nel senso comune. Possiamo farlo contrastando l'indifferenza a ciò che dice la Littizzetto, sostenendo un modello napoletano virtuoso e andandone orgogliosi e con l'esempio. Di una grande capitale europea, appunto.

    Perché, come ci piace cantare al San Paolo, voi non siete napoletani. Rovesciando un coro insultante che ci cantano ovunque. Non sanno cosa si perdono. Alla Littizzetto e ai francesi, invece, li mandiamo a quel paese.

    Che avete capito? A Rotterdam, ovvio.

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