Clemente Russo un altro sogno si avvera, dopo essere diventato campione del mondo, ecco il Tatanka Club

Il pugile di Marcianise domani sera combatterà a Maddaloni. E a Caserta, a pochi chilometri dalla sua Marcianise, apre il Tatanka Club. Ecco cosa ha scritto del suo Napoli nel Manuale di chi tifa Napoli. Citando un certo Messi...
  • QN

    Questa sera Clemente Russo affronterà al Pala Angioni Caliendo di Maddaloni Josh Temple. Sarà il match decisivo della sfida tra la Dolce&Gabbana Italia Thunder e gli Usa Knockouts, nell'ambito del campionato a squadre nazionali WSB. E questo fine settimana, per il campione campano, è davvero speciale: realizza finalmente il sogno di una palestra nella sua terra. Un progetto che porta avanti con due amici e soprattutto con la moglie. Inaugurerà domenica, infatti, alle 18.30. Il Tatanka Club, una struttura all'americana, straordinaria, in cui praticare le discipline di famiglia (pugilato e judo, lei è una Maddaloni) e molto altro. E con la Military Strenght, una gabbia-percorso brevettata da lui e dal suo gruppo di lavoro, unica al mondo. Ovviamente non potrà mancare Livorno-Napoli sugli schermi. Noi, per augurargli il nostro doppo in bocca al lupo, riproponiamo un pezzo del libro #Chevisietepersi, in particolare il capitolo scritto da lui. Lo mettemmo sul sito per festeggiare la sua incredibile e meravigliosa vittoria all'ultimo mondiale.

    Sabato 26 ottobre. Sei anni dopo, Clemente Russo è di nuovo campione del mondo. Chicago 2007- Almaty 2013, dagli Stati Uniti al Kazakistan: in mezzo due argenti olimpici, ma quest'oro brilla di più. Perché arriva dopo 7 mesi di sacrifici, con la forma che è arrivata durante il torneo perché un infortunio - e non solo - gli ha impedito di prepararsi al meglio. Perché è l'unico non cubano né dell'est Europa ad aver conquistato la medaglia più pregiata. Perché il suo stile è innovativo e completo.
    Oggi questo ragazzo di Marcianise, esempio per tanti giovani, uno che nei momenti precedenti alla partenza aveva anche trovato il tempo per spendersi nella lotta per la Terra dei fuochi, entra nella leggenda. Tatanka, The White Hope, ora guarda a Rio. Un peso massimo, in tutti i sensi.
    Noi, qui, siamo ancora troppo emozionati per scrivere della sua grandezza. Nel libro #Chevisietepersi - Manuale di chi tifa Napoli (ed. Fandango) ci ha svelato un aneddoto divertentissimo che ha visto protagonista lui e Lionel Messi e quale sia il suo ruolo con il pallone tra i piedi.

    Quella volta che a Messi dissi...

    di Clemente Russo

    Avevo 5 anni e con mio zio sventolavo una bandiera. Era quella del Napoli, eravamo immersi nei festeggiamenti del primo scudetto. Dopo più di 60 anni dalla nascita della società, avevamo vinto il primo campionato: credo di aver amato quei colori fin da allora. Fotografavano cos'era il Sud, cos'eravamo noi meridionali, come sarei cresciuto io: pieni di talento e voglia di fare, ma anche costretti ad affrontare mille difficoltà. Perché dalle mie parti, dalle nostre, nessuno ti regala niente. Lo sport è lo specchio della società e nella carenza di impianti sportivi – io stesso ne so qualcosa, nella mia formazione d'atleta ho dovuto lottare contro questo problema – trovi una dimostrazione pratica del disagio economico e sociale della nostra terra. Così la vittoria nasce dai tuoi sacrifici, dal tuo sudore e dal tuo sangue, devi fare tutto da solo, mentre chi nasce al Nord ha molte più opportunità.

    L'amore per il Napoli, probabilmente nasce da qui, dal fatto che mi identifico in chi lotta contro tutto e tutti. Così come sarò sempre più vicino a Maradona che a Platini. La favela di Diego, in fondo, sembra un pezzo di Napoli, dove si gioca per strada, tutti si conoscono e si lotta ogni giorno per sopravvivere ed emergere. Da tifoso, come molti credo, scelgo quelli che sento più vicini: mi ha sempre entusiasmato il Pocho Lavezzi, e non solo perché nella prima partita che vidi con lui in campo in 5 minuti fece ammonire tre avversari, ubriacandoli con giocate straordinarie, ma anche per le sue qualità di uomo e per la sua storia personale. Ricordo ancora che al Villaggio Olimpico di Pechino incontrai Messi, era entrato con tutta la sua nazionale in un fast food: non gli chiesi un autografo o una foto, ma gli dissi solo queste parole “Scusa Lionel, ma Ezequiel dove sta?”. Davanti al numero uno del mondo, da vero partenopeo, io chiesi del nostro scugnizzo.

    Non sono un ultras, ovviamente: con la mia vita non posso seguire sempre la squadra, al massimo posso spostare un allenamento di qualche minuto per vederla. In altre occasioni ho cercato, all'estero, canali improbabili per non perdermi la partita. E fa uno strano effetto vederla con il commento in arabo, ve l'assicuro!
    Siamo unici al mondo, per attaccamento alla maglia e per la qualità magica che possiamo definire solo con la parola “napoletanità”. Lo siamo anche nei difetti: se perdiamo, non ci riprendiamo per giorni, mentre per gli altri passa tutto al fischio finale. Ma è inevitabile, questa passione è qualcosa che va oltre : lo sento anche quando tifano per me. Migliaia di voci sincere e appassionate che ti incitano sono un'emozione unica. Al San Paolo come nei palazzetti di olimpiadi e mondiali.

    Essere tifosi, però, vuol dire anche godere del presente: Diego Armando Maradona è unico e irripetibile, ma anche i ragazzi che vestono la maglia azzurra ora hanno fatto cose straordinarie. Certo, forse per loro nessuno costruirà nicchie votive a ogni angolo di strada come si faceva per il numero 10 argentino, ma vanno applauditi e sostenuti perché onorano la maglia, sempre.
    Nello sport, infatti, conta lottare ed essere leali, prima ancora di vincere. E del calcio pochi ricordano, ormai, che è soprattutto un gioco: ecco, quello che chiedo a noi napoletani è non diventare come altri tifosi, presuntuosi e antisportivi, che stanno rovinando il calcio. Perché sostenere una squadra non deve essere mai una malattia: violenza, calcioscommesse e molto altro nascono da un modo distorto di vedere e vivere lo sport. Se chi lo pratica perde l'umiltà e la voglia di divertirsi, spesso è colpa anche dell'ambiente che intorno, di chi lo fa sentire un dio e pochi giorni dopo lo accusa di ogni nefandezza.
    Ciò non toglie che io sogni in grande: vorrei tanto vedere questi ragazzi sul tetto d'Europa. E se il Napoli facesse suo il campionato prometto, qui, di salire sul ring con la maglia numero 3. In onore del tanto atteso terzo tricolore.
    Per ora, però, mi accontento di fare qualche partitella di calcio a cinque, nella stessa posizione in campo di Inler. Pugile anche lui, guarda un po'.

     

    Condividi questo post